1. La «modernità» della Gaudium et Spes
C’è una «parola-spia» nella «Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contempo-raneo», che è il titolo che il Concilio Vaticano II ha dato a quel documento che noi chiamiamo ormai «Gaudium et Spes» dalle prime parole che lo introducono. Questa parola-spia è l’aggettivo «pastorale», usato qui significativamente per indicare un atteggiamento, una presa d’atto, una constatazione: cioè il fatto che la vita attuale degli uomini e delle donne non può essere compresa con le tradizionali categorie mentali, religiose e teologiche, della dottrina ecclesiastica ereditata dai secoli, ma ha bisogno di nuovi, appropriati strumenti di analisi e di nuovi criteri di valutazione. Già in quell’aggettivo c’è, perciò, la novità e la modernità della Gaudium et Spes: il documento si occupa di situazioni storico-contingenti e non soltanto di princìpi dottrinali immutabili. Più specificatamente esso sviluppa nella sua prima parte la sua analisi «sull’uomo, sul mondo nel quale egli si inserisce e sui suoi rapporti con queste realtà» e nella seconda parte esso «prende più strettamente in considerazione i vari aspetti della vita odierna e della società umana, specialmente le questioni e i problemi che in materia [matri-monio e famiglia, cultura, vita economico-sociale, ordinamento politico, impegno a favore della pace e cooperazione internazionale], sembrano oggi più urgenti». Soprattutto nell’inter-pretazione della seconda parte si sottolinea che si deve tener conto «delle circostanze mutevoli cui sono intrinsecamente connesse le materie trattate».
Questa è la grande novità della Gaudium et Spes: per la prima volta la Chiesa cattolica rinuncia a costruire un documento a partire dal suo deposito dottrinale, cioè dal principio di immutabilità di una verità che trascende lo spazio e il tempo, per avventurarsi a cercare i «segni dei tempi» e di interpretarli alla luce del Vangelo. Detto con altre parole: la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo dichiara espressamente che la Chiesa si trova e si forma proprio in mezzo al mondo. Essa non esiste prima, né fuori del mondo, quale padrona della rivelazione divina, per poi, in un secondo momento, congiungersi al mondo (una Chiesa «sopra» o «accanto» al mondo!); essa invece riceve la sua esistenza in mezzo al mondo mediante «uomini che, riuniti insieme in Cristo, sono guidati dallo Spirito santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre».
Per questo la Chiesa è «realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» e i discepoli di Cristo che formano la Chiesa «hanno ricevuto [da Dio] un messag-gio di salvezza da proporre a tutti gli uomini» (G.S. 1). Perciò è suo compito manifestare «la solidarietà, il rispetto e l’amore di questo popolo – dei discepoli di Cristo – nei riguardi dell’intera famiglia umana, dentro la quale esso è inserito, e di instaurare un dialogo con l’intera umanità sui problemi che l’assillano» (G.S. 3).
Il mondo, qui, cioè «la famiglia umana», «l’intera umanità» viene assunto come «luogo teologico» (elemento costitutivo di interpretazione della vita della comunità cristiana), in cui i discepoli di Cristo sono convocati a formare la sua chiesa. Ribadendo il concetto di «chiesa» della Lumen Gentium, cioè della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, si sottolinea, all’inizio della Gaudium et Spes, che la Chiesa non esiste per se stessa, ma è un segno e uno strumento mediante il quale Dio chiama il genere umano e il mondo a partecipare alla sua stessa vita.
È molto bello quello che la Gaudium et Spes esprime al n. 2 del suo proemio: «Per que-sto, il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, passa ora senza esitazione a rivolgere la sua parola non ai soli figli della Chiesa né solamente a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti indistintamente gli uomini, desiderando di esporre loro come esso intende la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo.
Il mondo che esso ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l’intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno, liberato e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento».
Il cambiamento di mentalità introdotto al Concilio è davvero straordinario se si ricorda che solo 12 anni prima, nel 1953, era stata posta fine all’esperienza dei preti operai in Francia, a causa dell’eccessiva tendenza a lasciarsi interpellare «dalle situazioni e dalle necessità del giorno d’oggi». Il loro motto, infatti, era: «Presence au monde est presence a Dieu» (presenza al mondo è presenza a Dio!).
Fu, poi, certamente la Gaudium et Spes a influenzare, in anticipo (4 ottobre 1965) il di-scorso sulla pace pronunciato da Paolo VI all’assemblea plenaria dell’ONU e, alla chiusura del Concilio, i messaggi rivolti ai governanti, agli intellettuali e agli scienziati, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri, agli affamati e a tutti coloro che soffrono, e ai giovani.
Fu ancora la Gaudium et Spes a fare da punto di riferimento alla Conferenza di Medellin del 1968, organizzata dai vescovi latino-americani. Partendo dalle parole della Gaudium et Spes, secondo cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, e so-prattutto dei poveri e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (n. 1), i vescovi latino-americani concentrarono la loro attenzione nel voler scoprire come la Chiesa dovesse annunciare il messaggio con parole e azioni, nel loro specifico mondo, fatto di povertà, di oppressione e di violenza. Il documento redatto alla fine di tale incontro rappresentò l’inizio della teologia della liberazione che, secondo le parole di Gustavo Gutierrez, riteneva la solidarietà con i poveri una forma di con-templazione e di ascolto di Dio. In tale modo la presenza di Dio e il suo messaggio venivano a congiungersi e ad attuarsi nel contesto loro proprio, cioè nell’ambivalente storia umana, che, come Gesù ne ha dato testimonianza, reca con sé «i segni» dello spuntare del «regno di Dio».
2. I «segni dei tempi» nella riflessione conciliare
I «segni dei tempi» sono stati intesi da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II in due modi diversi:
– anzitutto essi sono stati riferiti a eventi e situazioni della società occidentale contem-poranea, cioè alle trasformazioni verificatesi nella società;
– in secondo luogo essi sono stati riferiti al passo di Matteo 16, 3-4: «Voi sapete inter-pretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? Una generazione perversa e adultera cerca un segno…». Si tratta dei segni escatologici, cioè dei segni della presenza del regno di Dio in questo mondo.
Va ricordato a proposito che i testi e i discorsi del papa Giovanni XXIII tendono ad asso-ciare i due significati, come se le trasformazioni della società avessero anche un significato escatologico (cioè preparassero i tempi ultimi).
Quanto all’intenzione del Concilio, quando usa l’espressione «segni dei tempi», non è possibile alcuna esitazione. Il Concilio voleva riconoscere che esiste la storia, che la Chiesa sta nella storia, che i tempi di cristianità erano ormai passati e che la Chiesa doveva aprirsi alla modernità. Per secoli la Chiesa aveva condannato la modernità, nella speranza di tornare un giorno alla cristianità; ormai era arrivato il tempo di riconoscere la realtà: il mondo era nuovo, diverso, «altro», ma non per questo «perduto», maledetto da Dio.
D’altra parte, se prestiamo per un attimo attenzione al significato di «segno», compaiono due interpretazioni:
– esso dice «allarme», avvertimento: fare segno significa richiamare l’attenzione, mo-strare la presenza di una realtà non avvertita, ma importante. In questo caso, certo, era la realtà della trasformazione in atto nel mondo, che diventava anche il segno che la Chiesa aveva ormai perso il suo ruolo guida all’interno della società e occorreva prenderne atto…
– esso dice «riconoscimento»: mostrare segni significa offrire elementi per un giudizio più adeguato, più preciso. In questo caso era la stessa modernità che presentava degli elementi che lo stesso papa Giovanni XXIII aveva giudicato positivamente sia nei progetti che nelle realizzazioni.
In proposito la Gaudium et Spes fa un elenco delle trasformazioni della modernità. Non si tratta di una esposizione scientifica, sociologica; è l’enumerazione senza pretese degli aspetti più visibili di quelle: scienza e razionalità scientifica, sviluppo economico, trasformazione sociale, diritti umani – il tutto visto in un’ottica ottimistica che corrispondeva alla visione del mondo che predominava in Europa occidentale in quel periodo e che era tipica anche dei partiti moderati (democrazia cristiana e socialdemocrazia) al potere nei paesi da cui pro-venivano i vescovi più influenti al Concilio.
L’interessante è notare che proprio in questi paesi le Chiese stavano perdendo potere. Ciò era dovuto per la loro incapacità di adattarsi a quella situazione di modernità «temperata»? Ciò non è da sottovalutare, come si può immediatamente percepire: l’incontro con la modernità (con il mondo) era ispirato dal Vangelo o dal desiderio di recuperare il potere per-duto nella società occidentale? La Chiesa dei vescovi del Vaticano II voleva seguire il Vangelo o restituire alla Chiesa stessa il potere perduto? La cosa non è del tutto chiara. Possiamo pen-sare che l’intento di Giovanni XXIII era più ispirato da motivazioni evangeliche, ma non si può affermare la stessa cosa di tutti i promotori della maggioranza conciliare, anche perché biso-gnerebbe ammettere che almeno alcuni di loro avessero già chiara l’idea di una Chiesa di minoranza o di una Chiesa disposta a chiedere perdono per gli errori del passato.
Occorre ricordare che, all’interno del Concilio «i conservatori erano convinti che tutti i problemi venivano dal mondo e che il male stava nel mondo e quindi era necessario lottare contro il mondo attuale. Essi potevano invocare come argomento il fatto che le difficoltà della Chiesa si presentavano proprio nei paesi che avevano accettato la modernità. Dove la Chiesa era rimasta fedele alla cristianità, come in Spagna o in Portogallo, quasi tutti gli abitanti erano ancora fedeli alla pratica di tutti i precetti della Chiesa cattolica. Tuttavia, il partito dominante al Concilio, che era quello dell’Europa settentrionale, riconosceva che il male stava nella Chiesa che non si era adattata. Ciò significava che la situazione del mondo moderno che pro-vocava problemi per la Chiesa era un segnale di allarme, ed era anche un segno indicativo della rotta che doveva essere presa: entrare nei valori della modernità e collaborare con essa» (in Josè Comblin, «I segni dei tempi», in Concilium 4, 2005, p. 100).
Quanto poi ai testi sui «segni dei tempi», tre sono esplicitamente della Costituzione Gaudium et Spes: i numeri 4, 11, 14; uno si trova nel Decreto Presbyterorum Ordinis (sulla vita del clero) al n. 9; uno nel Decreto Unitatis Redintegratio (sull’ecumenismo) al n. 4, e uno nel Decreto Apostolicam Actuositatem (sull’apostolato dei laici) al n. 14. Certo il testo che ha orientato tutti gli altri è quello di Gaudium et Spes 4.
Scrive il Concilio: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonché le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso dram-matiche.
Ecco come si possono delineare le caratteristiche più rilevanti del mondo contempo-raneo.
L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e ra-pidi mutamenti che progressivamente si estendono all’intero universo. Provocati dall’intelli-genza e dall’attività creativa dell’uomo, su di esso si ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e agire sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa.
E come accade in ogni crisi di crescenza, questa trasformazione reca con sé non lievi difficoltà. Così mentre l’uomo tanto largamente estende la sua potenza, non sempre riesce però a porla a suo servizio. Si sforza di penetrare nel più intimo del suo animo, ma spesso appare più incerto di se stesso. Scopre man mano più chiaramente le leggi della vita sociale, ma resta poi esitante sulla direzione da imprimervi.
Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza econo-mica, e tuttavia una grande parte degli uomini è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere moltitudini sono ancora interamente analfabete. Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e psichica. E mentre il mondo avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in una necessaria solidarietà, a causa di forze tra loro contrastanti, violentemente viene spinto in direzioni opposte; infatti permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali e ideologici, né è venuto meno il pericolo di una guerra totale capace di annientare ogni cosa. Aumenta lo scambio delle idee, ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti, assumono nelle differenti ideologie significati assai diversi. Finalmente con ogni sforzo si vuol costruire un ordine temporale più perfetto, senza che cammini, di pari passo, il progresso spirituale.
Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con quelli che man mano si scoprono.
Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l’angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo. Il quale sfida l’uomo, anzi lo co-stringe a darsi una risposta» (Gaudium et Spes, n. 4).
Così al n. 11: «Il popolo di Dio… cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio…». E al n. 14: «È dovere di tutto il popolo di Dio… di ascoltare attentamente, capire e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio…».
Nella Presbyterorum Ordinis, al n. 9 si afferma, invece: «[I presbiteri] Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici… in modo da poter insieme riconoscere i segni dei tempi…»; nella Unitatis Redintegratio, al n. 4 si invitano a loro volta «tutti i fedeli cattolici perché, ricono-scendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica…». Infine nella Aposto-licam Actuositatem, al n. 14, si ricorda che «tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente e inarrestabile senso di “solidarietà” di tutti i popoli che è compito dell’apostolato dei laici promuovere con sollecitudine e trasformare in sincero e autentico affetto fraterno…».
Da tutte queste testimonianze emerge che il dato fondamentale dei «segni dei tempi» è il mondo, il mondo moderno, la nuova situazione del mondo, l’insieme dei fenomeni del mondo attuale con le sue conquiste e i suoi problemi. I segni vengono presentati come dei dati oggettivi di un mondo, che è quello, come si è visto, dell’Europa occidentale, borghese e capitalista: senza rendersene conto il Concilio ha adottato la visione della borghesia del suo tempo e, in fondo, l’ha fatta propria. La dottrina dei segni dei tempi in concreto consiste, infatti, nell’ac-cettare il mondo moderno, legittimando, in più, il sistema che predomina nell’Europa occi-dentale.
Nello stesso tempo, però, due cose vanno sottolineate a vantaggio della Gaudium et Spes:
– essa testimonia che il Concilio ha comunque dato inizio all’ascolto del mondo mo-derno e il fatto di averlo ascoltato è stato già un grande progresso. E bisogna anche precisare che la borghesia di quel tempo non era tanto feroce, tanto dominatrice, tanto ipocrita e tanto indifferente alle sofferenze del mondo come lo è la borghesia mondiale attuale;
– inoltre essa ci ricorda che la Chiesa, con il Concilio, ha rinunciato al progetto di ri-costituire l’antica cristianità, riconoscendo che non esistevano le condizioni per farlo, anzi assumendo, come si è visto, un atteggiamento positivo, non di condanna, nei confronti della modernità come tale.
Non è poco quindi quello che il Concilio ci ha lasciato. Certo, a partire, come si è detto sopra, da un giudizio positivo sulla modernità e quindi su un mondo in pieno sviluppo. I padri conciliari (la maggioranza di essi) erano convinti che la povertà era un incidente di percorso e che lo sviluppo ne avrebbe fornito la soluzione. Questa visione della storia non permise loro di cogliere in tutta la sua valenza profetica il senso della parola evangelica espresso nell’immagine del «regno di Dio» come movimento di liberazione dal dominio nel quale esseri umani sottomettono altri esseri umani per mezzo della violenza, dell’inganno, della menzogna… L’avvento del regno di Dio, per i cristiani, è una lotta contro forze umane, contro istituzioni umane che esercitano oppressione e la luce della fede, per loro, non è il contrario dell’ignoranza, ma delle tenebre. La luce della fede non deve mostrare agli uomini quello che essi ignorano, ma quello che essi cercano di nascondere.
Scrive Josè Comblin: «I segni dei tempi erano i segni della lotta della liberazione degli oppressi in quell’epoca. Dovevano mostrare dove stava Cristo e dove stavano i suoi avversari e dove si situava la lotta. Dovevano mostrare dove stavano i poveri, gli esclusi, gli oppressi e dove stava il movimento di liberazione del regno di Dio. Una piccola minoranza sapeva che doveva essere così. Ma l’immensa maggioranza non sapeva nemmeno di che si trattava. Ave-vano una visione esclusivamente religiosa del cristianesimo e non avevano compreso il Van-gelo. Per questo, tra essi predominò una visione ottimistica, ideologica del mondo, la visione della borghesia dell’Europa occidentale.
Che tutto questo serva da avvertenza per un eventuale futuro concilio. Ciò che importa per Gesù non sono i progressi scientifici o tecnologici, le trasformazioni economiche e sociali. Quello che lo preoccupa è la liberazione degli oppressi. Questo argomento è oggidì quanto mai attuale» (J. Comblin, op. cit., p. 111).
PICCOLA BIBLIOGRAFIA
AA.VV.: Vaticano II: un futuro dimenticato? Concilium, 4/2005, Queriniana, Brescia.
JOSÈ COMBLIN: Prima la Chiesa, poi l’uomo, ed. Meridiana, Bari, 2002.