15 ottobre 2004 – 1° incontro
Come varcare la soglia della speranza
(don Marcello Farina)
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“Per evangelizzare l’uomo moderno bisogna assolutamente che l’evangelizzazione sia soli-damente radicata nella Scrittura e nella Tradizione. Ma bisogna, innanzitutto, che abbia una affinità profonda con la cultura del nostro tempo” (Card. G. Danneels, Concistoro 2001).
A) CREDERE IN UN MONDO CHE CAMBIA (una fiducia di fondo)
Per poter essere testimoni di Gesù di Nazareth nel nostro tempo, non è necessario solo cono-scere i contenuti dell’annuncio, ma anche i destinatari di esso, cioè le persone, le condizioni di vita, le attese, le aspirazioni, le speranze, i problemi di coloro cui viene rivolto l’annuncio.
La riuscita dell’annuncio è direttamente dipendente, proporzionale, alla sua accoglienza e alla sua comprensione. Un annuncio non accolto, non compreso, non è neppure un annuncio.
a) Ma, oggi, questa conoscenza del destinatario dell’annuncio è molto più difficile che in passato, perché il mondo culturale contemporaneo è molto più complesso e complicato, e non ha una identità facilmente riconoscibili. (Si noti la diversità di impostazione della Gaudium et Spes, del 1965, con la sua chiara impronta umanistica e personalistica!).
Con la caduta delle ideologie forti e la frantumazione del pensiero filosofico, questa visione unitaria è entrata in crisi ed è stata sostituita da un politeismo di credenze religiose, di valori civili, di comportamenti etici, di sistemi politici ed economici (il crollo del marxismo, dell’esistenzialismo, del personalismo cristiano!).
Il mondo culturale di oggi, privo di agganci ideali forti e condivisi, è plastico e mobilissimo ed è in continua evoluzione e di difficile descrizione mediante concetti e categorie universalmente accettabili. Vince l’idea dell’impossibilità, non solo pratica, ma anche teorica, di raggiungere una visione unitaria e integrata della vita e della storia umana. (E’ l’idea della “disseminazione” del senso, cara al francese J. Derida).
b) “Il mondo culturale odierno mette in evidenza soprattutto che l’uomo che crede oggi non è lo stesso che credeva ieri. Il credere, come tale, implica un rapporto stabile, saldo, duraturo. E’ una fedeltà a Dio come risposta alla fedeltà di Dio. Ma la mentalità contemporanea ha difficoltà a concepire qualcosa di veramente stabile e duraturo; concepisce solo rapporti corti, precari, insi-curi, che si chiamano magari “connessioni”, come quelle del computer. Come una connessione si può sempre disconnettere, così una relazione umana si può sempre interrompere. Come nel computer si può sempre ciccare “cancella”, quando qualcosa non interessa più, così nelle relazioni umane si può sempre rimuovere un’esperienza negativa, cancellare un ricordo sgradito, emarginare una persona antipatica. E’ in atto, quindi, una profonda trasformazione nella modalità con cui il soggetto crede, ragiona, decide.
Ma accade anche qualcosa di più profondo e incisivo: viene messa in pericolo addirittura l’esperienza elementare, cioè l’esperienza della propria soggettività, del proprio essere uomo. Oggi si esaspera l’affermazione di F. Nietzche: “l’uomo è qualcosa che deve essere superato!”, che corri-sponde ad affermare che il soggetto deve essere abbandonato. Se il soggetto va in frantumi, va in frantumi anche ogni sua attività, ogni sua espressione, e quindi, anche ogni sua credenza” (Ignazio Sanna).
B) CAPIRE IL MONDO CHE CAMBIA (uno sforzo di conoscenza)
In estrema sintesi, si può dire che il contesto culturale odierno è caratterizzato dalla questio-ne antropologica. (lo spirito e l’uomo).
a) Questa , oggi, è determinata anzitutto da due “pluralismi” in special modo:
– il pluralismo dell’indifferenza, per il quale messa in crisi la relazione con Dio, invece di non credere più a nulla, si crede a tutto. Ma se si crede a tutto, niente è credibile in assoluto, e non esistono più modelli o immagini di riferimento pedagogico o esistenziale vincolanti;
– il pluralismo delle differenze, prodotto dalla globalizzazione che ha cambiato la con-cezione dello spazio e del tempo, dilatando il primo e riducendo il secondo, e ha trasformato le società umane in società multietniche e multireligiose. Lo straniero delle nostre comunità fa cambiare sentimenti e forme di appartenenza, processi di costruzione dell’identità e del riconoscimento, modi e regole della cittadinanza, rapporto con la memoria e la cultura.
b) In secondo luogo la questione antropologica è determinata da un umanitarismo se-colarizzato che mette in crisi (o nega) la dimensione spirituale della vita e propone miraggi di felicità e di benessere del tutto estranei alla religione. Si pensi alla logica mercantile, che annulla “l’originalità” dell’essere umano come “l’unica creatura che Dio ha voluto per se stessa” (Gaudium et Spes n. 24) e promuove l’antropologia dell’avere… L’uomo diventa un consumatore… Non è così talvolta anche per la religione, considerata un prodotto da consumare?
Si pensi ancora alla logica che è sottesa alla tecnica (U. Galimberti) che, d’altra parte, non diminuisce, ma acuisce le incertezze, non elimina, ma moltiplica le ragioni dell’angoscia esistenziale. Esiste un “limite” che permetta all’uomo di riconoscere ciò che ne promuove o ne mina l’umanità?
c) In terzo luogo, la questione antropologica è determinata da un mondo più frammen-tato, più instabile, più imprevedibile, che produce la società mondiale del rischio e dell’incertezza, e alimenta una “disperata” domanda di futuro. Si ha difficoltà a capire tale frammentazione: vengono meno certe protezioni sociali (welfare), ci sono crescenti minacce all’incolumità, alla salute, alla libertà. L’ottimismo degli anni Sessanta (Kennedy, Krusciov, Papa Giovanni) ha lasciato il passo a un tempo di stagnazione, dovuto al senso di inquietudine di fronte alle crisi mondiali, alla complessità dei processi di liberazione, alla percezione dei limiti del progresso. Al futuro si guarda con sempre meno speranza e sempre più paura.
C) VARCARE LA SOGLIA DELLA SPERANZA IN UN MONDO CHE CAMBIA
Di fronte a questo orizzonte problematico che descrive la situazione dell’uomo di oggi, ci si chiede con insistenza quali possano essere le “risposte”, cioè gli atteggiamenti che il credente sia in grado di offrire per aiutare l’uomo di oggi a varcare la soglia della speranza: chi sia in grado di dare spessore culturale ed esistenziale alla promessa divina, che ha vinto il mondo (Giovanni 16, 33), ma non ha eliminato il male presente dentro la sua storia.
Ci sono alcune suggestioni-provocazioni che vanno raccolte:
primo: un annuncio non colto e non capito non è un annuncio. Bisogna far sì che questo an-nuncio sia recepito e ciò porta con sé la necessità di conoscere il destinatario. Bisogna infatti cono-scere e comprendere il mondo in cui viviamo, “i segni dei tempi”, come dice Gaudium et Spes, 4. Giovanni Paolo II parla del “mettersi all’ascolto dell’uomo moderno per capirlo e per inventare un nuovo tipo di dialogo con lui (discorso al Pontificio Consiglio per la cultura, 1983).
secondo: l’«oggi» della salvezza è in rapporto all’«oggi» del salvato. La grammatica della teologia e dell’annuncio sono le vicende della vita (Auschwitz ha cambiato la teologia, G.B. Metz; la teologia ‘esperienziale’ di Karl Rahner). In altri termini la conoscenza dell’uomo fa parte della rivelazione. Per il Cristianesimo chi dice Dio dice anche uomo: “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia Dio” (S. Ireneo).
terzo: l’annuncio, per sua natura e modalità, ha sempre una valenza missionaria e, quindi, non si ferma a una semplice esposizione dottrinale o alla difesa di un asserto teologico-spirituale. Esso è soprattutto testimonianza aperta, un ponte di amicizia e di dialogo con la creatività dell’intelligenza e della fantasia dello Spirito, piuttosto che difesa di posizioni acquisite e rivendica-zione di verità assolute.
quarto: se l’annuncio cristiano vuole intercettare le domande esistenziali dell’uomo di oggi, le sue tendenze ideali e le sue categorie simboliche, deve saper creare metafore di fede, adatte a dire Dio in un mondo dominato dai saperi molteplici e dal pluralismo dell’indifferenza.
quinto: detto in altre parole: per parlare a Dio bisogna trovare le parole giuste. Per parlare di Dio, bisogna evitare le parole vane. Le parole giuste sono quelle del cuore e della vita, le parole vane sono quelle dei luoghi comuni e delle mode culturale. C’è un certo consumo di parole, quali grazia, salvezza, amore, pace, democrazia, diritti umani. Molte di queste parole sono diventate come monete svalutate, con le quali non si compra niente e non si parla a nessuna coscienza. È stato opportunamente sottolineato che Gesù fa breccia nella coscienza di Zaccheo con un invito a pranzo, e non con un ragionamento (Luca 19, 1-10). Ciò significa che nella storia della salvezza e del suo annuncio gioca un ruolo molto importante la relazionalità, l’incontro, l’esperienza… La vita dell’uomo, secondo Paul Ricoeur, non comincia al nominativo, ma all’accusativo, perché è la risposta alla chiamata divina (è il primato del «me» sull’«io»). E Hannah Arendt ricorda che “sono stata pensata”, prima ancora di poter dire “io penso, dunque sono” di cartesiana memoria.
sesto: si può poi notare che le domande fondamentali sul senso della vita e della morte uni-scono gli uomini, che comprendono l’unicità del loro destino, mentre le risposte alle stesse domande li dividono, perché esse sono legate alla cultura, e questa è formata da convinzioni religiose e umane molto differenti. Nel vangelo non c’è, d’altra parte, il primato della domanda, che sollecita, scava, importuna, afferma…?
settimo: il pericolo è che la religione, nella società contemporanea, si riduca ad un semplice fattore di identità, pena la perdita della sua dimensione soprannaturale di annuncio e di profezia, cioè del suo carattere di trascendenza e di “diversità” tipiche, ad es., del messaggio cristiano. Il rischio è il passaggio a una “religione civile”, a una religione intesa come “progetto umanitario”, ad un’etica per il popolo. Non era considerato “stoltezza e pazzia” (1 Corinti 1, 18-25) il messaggio cristiano al suo inizio? Che ne è di questa paradossalità evangelica? Senza la provocazione “escato-logica”, il messaggio cristiano si riduce ad essere una sorta di Croce Rossa per una società malata, con il rischio di essere esso stesso considerato inadeguato di fronte alle sfide sempre più grandi del nostro tempo.