Parrocchia S.PioX-Canova
Appunti ricavati dagli incontri del Gruppo della Parola
17 dicembre 2007
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I. Che cos’è la Bibbia: DIO PARLA ALL’UOMO
L’esperienza di fede di un popolo
Bibbia = libri che esprimono e misurano la fede
La comunità giudaica sopravvissuta alla catastrofe della distruzione di Gerusalemme (70 d.c.) sentiva l’urgente problema di una guida spirituale. La morte o la deportazione di quasi tutte le autorità religiose e politiche comportavano il grave pericolo della disgregazione, della confusione religiosa, della perdita della fede dei padri.
In questo frangente, verso l’anno 100, i rabbini più influenti superstiti si radunarono a Jam-nia, un paesino della Palestina, sede di una scuola teologica assai vivace..
Qui si stabilì quali scritti della tradizione letteraria e religiosa ebraica di dovevano considerare espressione della fede autentica. Le parole degli autori ritenuti fedeli alla fede dei padri manife-stavano al popolo l’appello di Dio. I libri (la Bibbia) scritti da questi personaggi erano venerati come sacri e servivano a commisurare la propria fede con l’esperienza vissuta nel passato.
Libri canonici e libri apocrifi

Nel momento di difficoltà la storia del popolo, documentata dai libri che la esprimono e la interpretano, diventa il luogo della rivelazione di Dio. Tra gli scritti noti a quell’epoca solo 39 di-ventano “canonici” , ossia autentica espressione di fede. Tutte le altre opere, anche se autorevoli, rientrano tra i libri “apocrifi”, cioè non autentici, nel senso che non contengono le fede autentica.
Bibbia scritto di Dio, opera di uomini
Non sempre i libri codificati ad Jamnia avevano avuto la forma letteraria di quel tempo. Anzi, la maggior parte di essi erano attribuiti ad autori vissuti molti secoli prima, mentre di fatto chi li aveva scritti era stato un personaggio più recente che molto spesso aveva usato delle fonti antiche, ma le aveva elaborate, integrate, modificate per renderle più efficaci nel suo tempo. Molte parti della Bibbia nascono dunque un po’ alla volta, conoscono varie rielaborazioni e si possono giustamente definire opera della comunità. Poiché a sua volta la comunità è il risultato della chiamata salvifica di Dio, la Bibbia è opera di uomini, ma scritta da Dio. Non quindi nel senso che è stata “dettata” da Dio, ma in quanto costituisce ed esprime la comunicazione globale di Dio all’uomo.
La comunicazione di Dio all’uomo si fa Uomo
Gesù, Parola di Dio, e il nuovo Testamento

Nei primi secoli della chiesa esisteva una ricchissima letteratura riguardante le opere e i detti di Gesù e la vita della chiesa. Così la comunità cristiana esprimeva la propria fede nel prodigioso in-tervento di Dio nella storia attraverso il Figlio suo, Gesù di Nazareth. Non tutti questi scritti, però, rispecchiavano con altrettanta intensità e fedeltà la figura di Cristo. Perciò la chiesa scelse tra tutti alcuni libri che meglio esprimono questa testimonianza. Fin dal sec. III d.C. esistono numerosi e-lenchi (“canoni”) degli scritti del Nuovo Testamento in uso presso le varie comunità e sostanzial-mente identici tra di loro, tranne poche differenze. Solo nel 1546 il Concilio di Trento definiva uffi-cialmente quali sono i 27 scritti canonici per tutta la chiesa latina. Ecco quindi che la “Parola di Dio” fatta uomo, cioè Gesù di Nazareth, è attestata e proclamata dall’esistenza stessa della comunità, dalle vicende storiche della chiesa e dagli scritti che la comunità si è data come documenti e termine di paragone della propria fede.

Antico (Primo) e Nuovo (Secondo) Testamento:
un’ unica testimonianza del Dio per gli uomini
I 27 libri che formano il Nuovo Testamento vanno ad aggiungersi ai 39 che costituiscono il canone dell’Antico Testamento al quale la chiesa ne aggiunge altri sette. Perciò la Bibbia dei cristiani comprende 73 libri (46 dell’A.T. e 27 del N.T.). Poiché anche del Nuovo Testamento si deve dire che non tutti i libri sono dell’ autore a cui sono attribuiti, e non tutti sono stati scritti di getto, il vero autore del N.T. è la comunità. Quindi tutta la Bibbia è di fatto opera della comunità di fede che la esprime. E poiché la comunità di fede è segno ed espressione della presenza salvifica di Dio nell’umanità, questo libro è stato scritto dalla mano di Dio.
L’uomo inizia a scrivere la parola di Dio
Il “vero” autore dei libri

Abbiamo detto che molti libri della Bibbia sono stati attribuiti ad autori che di fatto non li hanno scritti. E’ un fenomeno che succedeva spesso in antichità quando, ad es., un discepolo scri-veva a nome del suo maestro oppure ne invocava l’autorità. Di fatto ciò è avvenuto sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento. Alcuni autori nello scrivere il loro libro usano scritti più antichi che a loro volta avevano dato forma letteraria a precedenti tradizioni orali. Così l’ultimo autore attribuiva al suo libro il nome e l’autorità di chi aveva iniziato la più antica tradizione.
Le fonti letterarie od orali usate dagli autori

Ancora oggi però è possibile ricavare dai libri della Bibbia alcune delle antichissime fonti che gli autori più recenti hanno adattato alla loro epoca. I più antichi documenti sono contenuti nel libro della Genesi e riguardano alcune tribù ebraiche fissatesi in Palestina. (ciclo di Abramo; ciclo di Isacco; ciclo di Giacobbe; ciclo di Giuseppe) o alcuni luoghi di culto (Bet-el – Moira – Sichem…). Accanto a questi troviamo leggende, tradizioni, leggi e riti del gruppo degli Ebrei usciti dall’Egitto sotto la guida di Mosè. Infine vengono ad aggiungersi racconti, storie e leggi trovate nella terra di Canaan (=Palestina) dove gli ebrei avevano fondato il loro stato.
Le prime due fonti scritte a noi note: Jahvista ed Elhoista

Verso la fine del X sec. a.C. un ignoto autore ebreo del Regno di Giuda (o del Sud) con queste fonti compila un racconto interpretativo della storia di Israele dall’inizio ai suoi tempi. Lo Jahvista (così è stato chiamato dagli studiosi perché da a Dio il nome di Jahvè; si cita con la sigla J) fonde tra loro i documenti in suo possesso, li integra con tradizioni orali e aggiunge la propria inter-pretazione. Circa un secolo più tardi anche un anonimo autore ebreo del Regno di Israele (o del Nord) tenta la stessa avventura letteraria, ma dal proprio punto di vista. Gli studiosi chiamano que-sto autore con il nome di Elohista (con la sigla E), perché chiama Dio Elohim.

Fonte Jahvista + Elohista; fonte deuteronomica

La caduta di Samaria sotto gli Assiri (722 a.C.) fa sì che lo scritto Elhoista venga portato a Gerusalemme dove viene fuso con la fonte Jahvista. Nel frattempo nell’ambiente del tempio nasce un nuovo scritto, detto fonte Deuteronomica (perché costituisce li nucleo del Deuteronomio), in cui sono raccolte soprattutto leggi, norme cultuali e sociali. Si cita con la sigla D.

Dalle quattro fonti al Pentateuco

Ma anche Gerusalemme è destinata a perire e Nabucodonosor la conquista nel 587 a.C. In esilio avviene una reinterpretazione dei fatti che da origine al codice Sacerdotale (o fonte P), che tenta di spiegare la catastrofe e ridare speranza agli esuli. È così che con il ritorno dall’esilio, a Ge-rusalemme circolano quattro fonti: la Jahvista, la Elogista, il Codice Sacerdotale e la Deuteronomica che un redattore unisce, aggiungendo la propria visuale, a formare l’attuale Pentateuco (ossia i primi cinque libri della Bibbia: Genesi – Esodo – Levitino – Numeri – Deuteronomio).

Le grandi interpretazioni storiche

Con l’avvento di Alessandro Magno sulla scena della storia anche la Palestina è travolta da un destino più forte del suo. Il conflitto con l’ellenismo darà alla luce l’opera del Cronista (1-2 Cr, Esd, Ne) che, in analogia con l’opera storica Deuteronomistica (Gs, Gdc, 1-2 Sam, 1-2 Re) narra le vicende della conquista della terra ai suoi giorni gettando le basi di una speranza in un grandioso fu-turo. Qualche tempo dopo, questo tema della futura grandezza politica di Israele sarà l’argomento dei due libri dei Maccabei. Mentre l’opera storica Deuteronomistica si attende ancora che un di-scendente di Davide ben presto ricostituisca l’impero israelitico, per il cronista tale attesa si sposta nel futuro e richiede l’impegno morale della comunità. Invece per i due libri dei Maccabei sarà Dio a ricostituire il Regno quando i fedeli osserveranno integralmente la sua legge.

Dall’annuncio dei profeti ai libri scritti dopo l’esilio

Accanto all’interpretazione dei fatti storici, troviamo in Israele l’interpretazione di tipo pro-fetico. Personaggi attenti alla realtà quotidiana trasmettono al popolo le indicazioni di Dio per una vita conforme alla sua volontà. Ecco quindi che Amos, osea, Isaia (Is. 1-40), Michea, Sofonia, Naum, Baruc, Abacuc e Geremia scrivono o fanno scrivere una seria di oracoli (=parole di Jahvè) che criticano, ammoniscono, incoraggiano ed esortano. Questi scritti vengono poi rielaborati dalle scuole profetiche (ossia dai discepoli) durante il periodo dell’esilio, in cui predica tra l’altro Eze-chiele, finché dopo l’esilio tutti questi libri acquistano la loro forma definitiva.

Da annuncio per il presente ad apocalittica escatologica

Nel frattempo i numerosi e gravi problemi della comunità inducono altri profeti ad interve-nire, mentre le scuole profetiche operanti a Babilonia continuano la loro attività. Troviamo così Ag-geo, Zaccaria, Abdia, Malachia, Gioele, Giona e Daniele. Da un annuncio legato alla vita quotidiana il messaggio diventa sempre più rivelazione (=apocalisse) di Dio riguardante i fatti futuri e ultimi (=escatologici) dell’umanità.

Gli scritti sapienziali e la poesia ebraica

Fin dall’epoca di Salomone (poco dopo il 1000 a.C.) anche a Gerusalemme s’era diffusa la tradizione sapienziale, che rappresentava l’espressione più elevata delle scuole di pensiero del tempo, e poetica in auge alle corti dell’epoca. Anche la produzione liturgica e inno-sacra erano molto consistenti.
Tutti questi scritti, come è ovvio, subiscono la sorte degli altri, ossia vengono rielaborati dagli autori successivi, tanto che la loro forma attuale quasi sempre è posteriore al ritorno di Israele dall’esilio.
È il caso dei Salmi, attribuiti a Davide, e della Sapienza, attribuita a Salomone. Se qualche elemento risale senz’altro all’epoca di questi grandi personaggi, di fatto i problemi trattati, il lin-guaggio e la forma letteraria fanno pensare ai secoli immediatamente precedenti il Cristo. E proprio le vicende di Gesù di Nazareth segnano la discriminante tra i libri della Prima e della Seconda Al-leanza.

I testimoni della “Parola di Dio” ricordano le loro esperienze

Gesù, incarnazione di Dio nella storia

L’esperienza della Risurrezione di Gesù vissuta dai primi cristiani ha dato origine alla ne-cessità di testimoniare il prodigioso intervento di Dio nella storia.
Se l’antico Israele era il segno tangibile di questa realtà, la figura e l’opera di Gesù di Naza-reth e la comunità cristiana che proclamava il Cristo erano l’espressione piena e definitiva del modo in cui la realtà terrena e la realtà divina, pur separate, costituiscono un unico ambito di esperienza dell’uomo. La necessità, quindi, di trasmettere attualizzare in ogni situazione questo grande mes-saggio.

Il messaggio prende forma scritta di vangelo, lettere, Atti

I primi strumenti che i cristiani adottano in questo loro compito sono libretti anonimi conte-nenti i detti, le vicende, i miracoli, la Passione, e infine anche l’infanzia di Gesù. Accanto a questi vi sono le lettere che i grandi personaggi inviano alle loro comunità per incoraggiarle, ammonirle e istruirle. Le più importanti sono quelle di Paolo (1-2 Tessalonicesi – Romani – 1-2 Corinti – Galati – Filemone). Ma anche i libretti riguardanti Gesù un po’ alla volta in varie comunità vengono raccolti a formare un opera particolare che per il suo contenuto è chiamata Vangelo (Matteo – Marco – Luca – Giovanni). Le stesse vicende della chiesa diventano oggetto di riflessione: nascono così gli Atti de-gli Apostoli.

Il messaggio è il Cristo che guida i suoi nel presente complesso e difficile

Le difficoltà incontrate dalla comunità nel vivere in concreto la propria testimonianza e gli scontri con la realtà sociale e politica del tempo determina sbandamenti, incertezze. La morte della prima generazione cristiana causa la necessità di ritrovare una autorità che assicuri la purezza della tradizione. Le lettere del Nuovo Testamento (1-2 Pietro – Giacomo – 1-3 Giovanni – Giuda – Ebrei) attribuiscono ai grandi personaggi delle origini detti e orientamenti che dovranno diventare definitivi per la chiesa. Infine l’ Apocalisse traccia un grande quadro storico del futuro della comunità in con-tinuo ascolto di Cristo nelle vicende del presente.

Cristianesimo, religione di Gesù di Nazareth e non di un libro

Per concludere possiamo allora dire che la Bibbia dei cristiani è un insieme di libri scritti da moltissimi autori. Non sempre l’autore citato o ritenuto tale dalla tradizione è colui che di fatto ha scritto il libro. In realtà ogni scritto è l’espressione di reinterpretazioni successive di un unico dato: l’esperienza dell’intervento di Dio nella storia dell’uomo sotto il segno della salvezza. C’è quindi la necessità per chi legge la Bibbia di conoscere le vicende che l’hanno originata, i diversi interventi interpretativi che l’hanno arricchita e il messaggio del redattore ultimo che ha dato la forma attuale a ciascun libro.
Il lettore entrerà così in sintonia con la comunità che ha dato origine alla Bibbia, che la cu-stodisce e la interpreta.
Questo è il modo di leggere un libro che non è frutto dell’invenzione o dell’abilità letteraria di un uomo, ma il risultato della presenza di Dio nella storia dell’uomo di tutti i tempi.
La Bibbia non è “un libro”, ma una “persona”: Dio che agisce nella realtà umana, per la salvezza, fino ad incarnarsi in Gesù. il cristiano non è un fedele del libro, ma il fedele testimone di Gesù.
II. .- DOVE E’ STATA SCRITTA LA BIBBIA ? – DIO SI SCEGLIE UN POPOLO

Israele, il popolo venuto da lontano
Gli antenati degli ebrei vengono dall’oriente

La Palestina è un territorio di passaggio tra l’Africa e l’Asia, perciò è attraversata dalle ca-rovaniere su cui passano mercanti, soldati e dotti. E’ il legame tra l’Est e l’Ovest. Anticamente vi abitavano popolazioni semitiche, i cananei, organizzate in città-stato dedite principalmente al com-mercio e alle arti militari. All’inizio la conformazione geografica favorisce i contatti con Babilonia e con l’Assiria. In questo paese penetrano, agli albori della storia documentata, tribù di nomadi be-duini provenienti da oriente con le loro carovane e con le loro greggi di bestiame minuto.

Influssi cananei ed egiziani sugli ebrei

In un primo momento i rapporti con la popolazione locale sono amichevoli, ma lentamente vanno deteriorandosi. Mentre alcuni gruppi combattono per il possesso delle terre più fertili, altri scendono verso le terre ospitali del delta del Nilo. Mentre le popolazioni rimaste in Palestina un po’ alla volta acquisiscono tradizioni e costumi cananei, i gruppi rifugiatisi in Egitto assumono elementi della civiltà egiziana.

Riunificazione dei ceppi ebrei in Palestina

Col passare dei secoli avviene un degrado culturale in Palestina che indebolisce la potenza delle antiche popolazioni cananee e, al tempo stesso, in Egitto l’ambiente non è più favorevole ai clan ebrei, anzi si arriva ad una vera e propria persecuzione.
Perciò gli israeliti rifugiatisi nelle terre del faraone tornano in Palestina, si uniscono ai loro connazionali rimasti colà e si impadroniscono di vaste zone di terreni agricoli, oltre che a qualche villaggio. Ai cananei rimangono alcune fortezze e il controllo delle strade.

L’opera unificatrice di Davide

Con la riunificazione delle “dodici” tribù ebraiche in Palestina il popolo israelitico un po’ alla volta acquista coscienza di costituire appunto un’unità etnica, si organizza in quanto tale e, dopo un lungo periodo di lotte contro i signori cananei che dominavano dall’alto delle loro roccaforti, riescono a dare origine ad una monarchia di tipo orientale con Saul.
L’infelice esito del regno del primo sovrano israelitico viene subito compensato dal grande successo di Davide, abile politico e condottiero di primo piano.
Con lui il popolo d’Israele ha anche una capitale in cui il re fa trasportare il tempio mobile del popolo, costituito da un tenda sacra in cui sono conservati alcuni oggetti, segno della presenza di Dio.

La fine del sogno monarchico

Questo periodo di tempo è caratterizzato, oltre che dalla monarchia israelitica, dalla debo-lezza dei grandi imperi dell’epoca. Perciò Israele potrà conservare la propria autonomia anche con la morte di Salomone e la divisione della Palestina in Regno di Israele (al Nord) e Regno di Giuda (a Sud).
La rinascita però dell’impero Assiro segnerà ben presto la caduta del regno di Israele, che nel 722 diventa una provincia Assira. La capitale, Samaria, è distrutta e la popolazione deportata. La stessa sorte tocca al Regno di Giuda circa 150 anni dopo per opera del babilonese Nabucodonosor che nel 587 conquista Gerusalemme.
Per 40 anni in Palestina rimarrà solo una piccola parte degli ebrei, mentre le autorità politiche e religiose sopravissute sono deportate a Babilonia.

Il nuovo progetto di Stato in esilio

L’esilio segna una tappa importante per gli ebrei. La situazione di emergenza costringe a ri-vedere il progetto nazionale e si ha una riorganizzazione sociale e religiosa che, pur facendo perno sul tempio, sviluppa l’aspetto di tradizione orale e scritta del popolo. Inoltre a Babilonia il contatto con la cultura locale influisce notevolmente sul futuro culturale, religioso e cultuale di Israele.
La liberazione degli esiliati da parte di Ciro, re dei Persiani, che conquista babilonia nel 538, permette il ritorno in patria e il tentativo di ricostruzione nazionale sui modelli sviluppati a Babilonia.

Il nuovo Davide segno della potenza di Dio

Fino al 332, anno della conquista della Palestina da parte di Alessandro Magno, i Giudei go-dono una relativa autonomia che permette loro una fortissima ripresa sociale, economica e religiosa.
Le autorità politiche e religiose danno al popolo il suo assetto definitivo di comunità di culto, regolata da leggi sociali e religiose in cui il primato non spetta più all’autorità del monarca, ma a Dio. Sorgono le speranze e le attese di un nuovo rifiorire di indipendenza politica guidata da una figura mitica di re, ispirata al modello di Davide, ma a differenza di questi sorretto dalla potenza di Dio, più che dall’astuzia politica o dalla forza delle armi.

Speranze messianiche escatologiche e nazionalistiche

Questo sogno si infrange nel corso degli avvenimenti. Dopo Alessandro Magno la Palestina conosce un tormentoso periodo di lotte tra i Seleucidi di Siria e i Tolomei dell’Egitto. Il fortissimo influsso della cultura ellenistica modifica profondamente la mentalità giudaica e scatena lotte fratri-cide all’interno dello stato giudaico.
Un breve periodo di rinascita politica nazionale si ha con i Maccabei, ma finisce tragicamen-te. All’orizzonte si profila la potenza di Roma che alla fine, con Pompeo nell’anno 63 a.C. conquista la Palestina rendendola provincia romana.
Le speranze di una rinascita nazionale periscono miseramente e le attese si spostano in un lontano futuro (= escatologia) in cui Dio interverrà direttamente a ricostituire il Regno di Davide.
Accanto a queste nascono movimenti nazionalistici che per un malinteso messianismo cer-cano di riconquistare l’autonomia con le armi.

La fine dell’identità politica giudaica in Palestina

Dopo un breve periodo di tranquillità Roma incontra un’ opposizione sempre più dura presso i sudditi giudei. Si arriva così all’epoca di Erode il Grande e alla nascita di Gesù Cristo.
Il monarca tenta di moderare gli spiriti bollenti dei suoi sudditi, ma se ciò riesce abbastanza bene a lui, diventa invece un’impresa disperata per i suoi successori.
I vari movimenti religiosi e politici spingono il popolo sempre più apertamente verso il sui-cidio politico. Nell’anno 70 d.C. Gerusalemme è distrutta una prima volta e infine nel 120 d.C. viene rasa definitivamente al suolo e al suo posto sorge una città romana: Aelia Capitolina.
Il nuovo Israele: la Chiesa
La comunità cristiana riprende l’autentico messaggio dell’ A.T.

La predicazione, morte e risurrezione di Gesù si colloca in un momento assai travagliato della storia di Israele. Siamo alle soglie della catastrofe. Gruppi politici e religiosi si contrappongono duramente tra di loro. Nei primi anni dopo la Risurrezione di Gesù la comunità cristiana si pone come uno dei tanti gruppi all’interno del giudaismo. Questa situazione però dura poco. L’apertura universale del messaggio di Gesù di Nazareth porta i cristiani a scelte radicali che trovano duri o-stacoli persino all’interno della comunità. Le autorità giudaiche non tollerano le critiche mosse al for-malismo e all’ipocrisia religiosa che travisano l’autenticità del messaggio biblico dell’A.T.
Nascono le prime persecuzioni contro i capi delle comunità cristiane che culminano con l’assassinio di Stefano e di Giacomo.

L’universalismo del messaggio prevale sul “giudaismo”

Le dure persecuzioni in Palestina e la necessità di proclamare il messaggio al mondo intero inducono i missionari cristiani a portare l’annuncio di Cristo all’intero bacino del Mediterraneo, all’Africa, all’Asia.
Il contatto coni i pagani dà un colpo di frusta al linguaggio e ai contenuti del messaggio che lentamente prende forma nelle varia comunità, non senza gravi conflitti interni tra i cristiani.
La caduta di Gerusalemme, però, porta al prevalere del cristianesimo “ellenizzato” sul cri-stianesimo “giudaico” e questo fatto favorisce ulteriormente lo sviluppo dell’espansione cristiana.
Pochi anni dopo il 70 troviamo nuclei di cristiani in tutto il mondo allora conosciuto.

La Chiesa si organizza

La diversificazione degli ambienti in cui si diffonde causano però momenti di incertezza sul contenuto della fede. La figura di Gesù di Nazareth, proclamato Cristo (cioè Messia), viene inter-pretata in modi non sempre corretti. Le comunità si appellano allora alla purezza del messaggio degli Apostoli e degli interpreti fedeli.
Gli scritti che circolano nelle comunità consolidano questa visione e prendono posizione contro le prime eresie. Le comunità stesse si danno una organizzazione interna che permette loro di sopravvivere, tanto che nemmeno le persecuzioni locali scoppiate qua e là riescono a sopraffare gli sparuti gruppi di credenti.

La comunità cristiana proiettata nel tempo

Sul finire del primo secolo dopo Cristo ormai la comunità cristiana ha acquistato una sua fi-sionomia ben precisa. Ciascuna chiesa dispone di una sua organizzazione interna che garantisce il servizio cultuale e il servizio di Amore (Carità – Assistenza) e l’annuncio del messaggio.
Tra loro le singole comunità si scambiano predicatori e scrittori e la liturgia, pur nella varietà delle forme, si stabilizza nelle forme eucaristiche e sacramentali che oggi conosciamo.
I secoli successivi non faranno che tramandare queste forme adattandole alle varie esigenze.

Gesù di Nazareth centro della storia

Concludiamo questa sintesi storica che abbraccia oltre un millennio. L’intervento di Dio guida con pazienza e costanza le vicende storiche dell’uomo dando loro il carattere di dialogo aper-to. La risposta dell’uomo, molteplice e complessa, trova nel popolo di Israele e nella chiesa un’espressione emblematica.
La figura storica di Gesù di Nazareth, Messia e Cristo, costituisce il punto nodale, l’espressione più piena della presenza costante e salvifica di Dio nelle vicende umane.
III COME LEGGERE LA BIBBIA: LA PAROLA DI DIO SCRITTA DALL’UOMO PER L’UOMO
La Parola di Dio è stata scritta da certi uomini in un certo tempo

Contesto storico

Abbiamo visto che la Bibbia non è un libro scritto di getto da un unico autore che, sedutosi a tavolino, ci ha lasciato un monumento di letteratura. Si tratta invece di una serie di libri scritti in un arco di tempo che abbraccia almeno 6oo anni. Non solo, ma i diversi autori a loro volta hanno uti-lizzato fonti antecedenti, per cui talvolta troviamo brevi detti , racconti, composizioni poetiche che arrivano fino all’anno 1000 a.C. e forse anche più in là. E’ evidente quindi che ogni libro, per essere compreso nel suo messaggio va collocato nella sua epoca.

Contesto culturale

Questo primo sforzo del lettore è molto importante, ma non basta, accanto all’epoca del libro si deve tener presente il contesto in cui il libro è nato. Infatti è molto diverso se il nostro autore è un personaggio colto, che scrive una cronaca di corte, oppure un semplice agricoltore che canta l’avvicendarsi delle stagioni, o un profeta che trasmette un oracolo divino. Di fatto la Bibbia contie-ne relazioni di corte, racconti popolari, poesie, detti sapienziali, inni liturgici, canti conviviali ecc.
Ciascun libro e, all’interno del libro ogni passo va collocato nel contesto vitale che l’ha ori-ginato.

Genere letterario

In linea di massima, come in ogni letteratura, possiamo distinguere nella Bibbia due grandi filoni letterari: la prosa e la poesia, che a volte risultano mescolati nella stessa opera. A ciascuno di filoni letterari appartengono scritti nati dalla vita profana o dalla vita cultuale. Queste grandi suddi-visioni, a loro volta, comprendono moltissimi generi letterari che cercheremo di individuare più e-sattamente , anche se a questo punto ciascun autore propone una sua classificazione
La Parola di Dio scritta segue le leggi della letteratura

PROSA:
discorso – predica – preghiera

Cerchiamo anzitutto di dare una breve panoramica delle forme di prosa più usate dalla Bib-bia. Si dovrà ricordare il discorso, di solito attribuito a qualche grande personaggio; la predica, quasi sempre collegata al contesto cultuale; la preghiera, che si può trovare nei momenti più disparati della vita.

DOCUMENTO:
contratto – lettera – catalogo – legge – norma cultuale

Spesso troviamo poi dei documenti che possono andare dal contratto, nelle forme più dispa-rate, alla lettera, all’elenco di oggetti, persone, fatti, alla legge e infine alla norma cultuale che regola l’aspetto esterno della celebrazione liturgica.
RACCONTO:
mito, fiaba, saga, leggenda

Molto importanti, nella Bibbia, sono poi i racconti. Abbiamo anzitutto i miti, che di solito riguardano vicende degli dei, le fiabe che hanno per luogo lo svolgimento del mondo, anche se tal-volta coinvolge divinità minori, esseri intermedi tra uomo e Dio.
Esistono poi le saghe che intendono spiegare fatti e avvenimenti o realtà fisiche, animali o caratteristiche di certi individui.
Le leggende invece mirano a descrivere persone , luoghi o eventi di carattere religioso, come sacerdoti, santuari, feste, profeti ecc. Tutti i generi di solito riguardano il passato
MEMORIE:
storie popolari – autobiografie – racconti di visioni o sogni – autobiografie profetiche

I racconti biblici che hanno carattere storico possono essere suddivisi in memorie, che ser-vono a ricordare un fatto o una persona, storie popolari, cioè racconti storici non ufficiali, autobio-grafie, racconti di visioni o sogni (entrambi assai frequenti in Israele), autobiografie profetiche che a differenza delle autobiografie profane servono a testimonianza per il tempo futuro, ossia registrano per i posteri i messaggi ricevuti.

DETTO DI GESÙ:
parabola – confessione di fede – formula dell’istituzione – formula catechistica

Nel N.T. incontriamo in particolare i detti di Gesù, le parabole e le confessioni di fede, in forma prosastica, nate dalla liturgia.
Un’ altra formula liturgica in prosa è la cosiddetta formula dell’istituzione eucaristica e infine non dimentichiamo la formula dell’insegnamento catechistico

POESIA:
regole della poesia = parallelismo- sinonimo – antitetico- sintetico

Accanto alle formule prosastiche sono numerosissimi e svariati i generi letterari poetici. La forma poetica caratteristica degli Ebrei è il parallelismo dei membri per cui una affermazione è sempre fatta in due momenti: il primo afferma qualcosa e il secondo può o ribadire quanto detto o negare il contrario o, infine, integrare quanto detto nel primo. La poesia ebraica conosce anche una sua metrica, assai complessa, ma per noi non è il caso di addentrarci nei particolari

DETTO:
individuale – comunitario – legale – cultuale: divino – sacerdotale – del laico

Tra le forme poetiche grande importanza hanno i detti riguardanti l’individuo e quelli della vita della comunità. Accanto a questi vi dono i detti legali, simili a nostre sentenze, i detti cultuali che possono essere attribuiti alla divinità oppure sono pronunciati dal sacerdote stesso, al quale può far eco la risposta del fedele o della comunità, i detti dei laici ad esempio benedizioni e maledizioni, che naturalmente non sono riservate solo ai laici.

Profetico: estatico – predicazione – ammonizione – minaccia –
promessa – accusa – esortazione – poema oracolare

Una particolare menzione meritano i detti profetici che per varietà e ricchezza si distinguono da tutti gli altri. Abbiamo infatti il detto estatico, la predicazione, l’ammonizione, minaccia, pro-messa, accusa ed esortazione. Più interessanti poi sono i poemi oracolari, ossia le raccolte di più detti curate dai profeti stessi e dai loro discepoli in funzione delle necessità della loro epoca.
Ma i generi letterari usati dai profeti non si fermano qui, sono assai più ricchi. Infatti nei loro libri troviamo anche requisitorie, prediche, documenti, canti, lamentazioni funebri e collettive, canti burleschi, brindisi ecc. Ossia ogni altra forma letteraria presente nella vita di un popolo.

Sapienziale:
popolare – indovinello – artistico

Assai importanti nella letteratura biblica sono i detti sapienziali che vanno dal semplice pro-verbio popolare all’indovinello ai detti sapienziali artisticamente rielaborati che sono il risultato di scuole sapienziali assai in voga nell’antico mondo orientale.

CANTO:
di lavoro – d’amore – epitalamio – della sentinella – burlesco –
lamentazione funebre – regale – di vittoria

Arriviamo così alla forma propriamente lirica della poesia ebraica. Incontriamo i canti dei lavoratori, i canti di amore e gli epitalami composti in occasione di nozze. Non mancano i canti delle sentinelle che avevano un ruolo importante nella storia di Israele, i canti burleschi che mettono alla berlina colui che ne è oggetto, e le lamentazioni funebri che vanno dall’ambito familiare a quello della città, del paese. Accanto a questi ci sono i canti che celebrano la personalità e il ruolo del re e i canti di vittoria dell’esercito israelitico sui suoi nemici.

Cultuale:
regale – spirituale – inno – d’intronizzazione – verdetto del giudice – suppliche nazionali
e individuali – di fiducia collettivi e individuali – di ringraziamento collettivi e individuali.

Una menzione a sé meritano i canti cultuali. Essi vanno dal canto regale, che proclama l’opera e la figura del re nel culto, al canto spirituale, agli inni sacri usati nelle celebrazioni liturgiche, ai canti di intronizzazione che esaltano la figura del re intronizzato come rappresentante di Dio presso il popolo e quindi in definitiva la regalità di Dio. Abbiamo poi il verdetto del giudice, in cui Dio pronuncia la sua sentenza sul popolo le suppliche nazionali del popolo in pericolo, i canti collettivi di fiducia, le suppliche individuali del singolo fedele che si trova in un momento di grave difficoltà e il canto individuale di fiducia e infine i canti di ringraziamento collettivi e individuali

LE REDAZIONI SUSSEGUITESI NEL TEMPO

Per la trattazione dell’aspetto letterario della Bibbia un ultimo accenno ad un particolare assai importante per il lettore. Come abbiamo visto, spesso un libro prima di acquistare la forma attuale ha conosciuto una lunga e travagliata storia letteraria.
Dunque, quando si legge un libro della Sacra Scrittura si dovrà tener presente anche questo aspetto, risalire alla forma originaria della tradizione antica, individuare l’apporto dei vari redattori e alla fine si comprenderà quale è il messaggio che ci vuole trasmettere il redattore finale.

BIBBIA LIBRO DI PREGHIERA

Alla fine va ricordato che la Bibbia è una testimonianza di fede non una letteratura di un po-polo. Perciò le tecniche letterarie indispensabili per cogliere il messaggio ci servono solo per giun-gere in contatto con la proposta di fede fatta da Dio all’uomo e quindi anche a noi.
In questo senso la Bibbia è un libro di preghiera. Non solo ci fornisce le formule da ripetere nella nostra orazione, ma soprattutto ci pone in dialogo con Dio e con l’uomo: con Dio presente nella sua proposta di salvezza molteplice e diversificata nella storia; con l’uomo che ha risposto all’appello con determinati atteggiamenti, ma soprattutto trasmettendo a noi la sua convinzione di fede. Per questo la Bibbia è libro di preghiera nato dalla vita e per la vita.

IV IL PENTATEUCO E L’OPERA STORICA DEUTERONOMISTICA
Il Pentateuco

I primi cinque libri della Bibbia sin dall’antichità sono stati attribuiti a Mosè e sono chiamati Pentateuco. comprendono il libro di Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Di fatto sono stati scritti nella forma attuale che conosciamo da un anonimo redattore del IV sec. a.C. Egli si è servito di fonti antecedenti che sono lo scritto jahvista, lo scritto elohista, il documento dell’alleanza (o sacerdotale) e l’opera storica deuteronomistica.

Le fonti:
Jahvista (J), elohista (E), codice sacerdotale (P) e fonte deuteronomistica (D)

Lo jahvista è un autore del secolo X a. C. che scive una interpretazione storica del mondo dagli inizi dell’universo al suo tempo. Nella sua prospettiva teologica Dio (Jahvè) ha un progetto di salvezza per l’umanità e lo realizza con le promesse fatte ad Abramo e culminate in Davide.
L’Elohista è un autore israelitico del secolo VIII a.C. anch’egli scrive un’interpretazione sto-rica del mondo dalle origini al suo tempo. La sua visione teologica è diversa: la salvezza viene non da una promessa, ma da un’alleanza tra Dio e l’uomo.
Il Documento dell’alleanza (o codice sacerdotale) risale al secolo VI a.C. e allarga appunto il tema dell’alleanza. Il Deuteronomista risale al secolo VII a.C. e sviluppa l’idea della morale come fonte di salvezza o di condanna in relazione all’osservanza della legge.
Infine l’intervento di un redattore finale fonde tutte queste fonti dando loro una particolare coloritura: le speranze dell’umanità sono legate al prodigioso intervento di Dio nella storia.

IL LIBRO DELLA GENESI

Schema del libro

I . (Gen. 1, 1-11, 26) Storia delle origini: creazione; paradiso e peccato; Caino e Abele; i patriarchi prima del diluvio; i giganti; il diluvio; Noè e i suoi figli; elenco dei popoli; la torre di Babele; genealogia egli Ebrei.

II . (Gen. 11, 27-50, 26) Storia dei Patriarchi: ciclo di Abramo (11, 27-25, 18); ciclo di Isacco (26, 1-27, 45); ciclo di Giacobbe (27, 46-37, 1); ciclo di Giuseppe (37, 2-50, 26).
Dal peccato alla salvezza

Iniziando con la creazione del mondo il redattore presenta il progressivo allontanamento dell’uomo da Dio. Ma con Abramo abbiamo il tema fondamentale della promessa di salvezza. se-condo il testo, tale salvezza apparentemente si riduce alla numerosa discendenza del Patriarca che da origine al popolo che prenderà possesso della terra. Di fatto in questo sta appunto il disegno di salvezza di Dio per l’uomo: Israele è salvezza per chi entra nel popolo e per coloro che individuano nella nazione eletta il segno di tale salvezza. Il rapporto tra Dio e l’uomo è caratterizzato dall’alleanza, quella stipulata coi patriarchi che giungerà a compimento con Davide
IL LIBRO DELL’ESODO

Schema del libro

I . (Es. 1, 1-18,27) Dalla schiavitù al Sinai: liberazione dall’Egitto, canto di vit-toria; cammino nel deserto fino al Sinai..

II . (Es. 19, 1-33, 23) Dall’alleanza offerta da Dio al rifiuto dell’uomo: la legge e l’alleanza al Sinai; norme per il servizio liturgico; rottura dell’alleanza.

III . (Es. 34, 1-40,38) Rinnovamento dell’alleanza e attuazione delle norme liturgi-che.

Da tribù a popolo eletto

Il libro e la teologia dell’esodo sono importantissimi nell’ Antico Testamento. Con la libera-zione dall’Egitto e il dono dell’alleanza Israele era diventato un popolo.
Nell’esodo stanno le radici della nazione e della religione di Israele, segno della potenza e della volontà salvifica di Dio. Le allusioni all’evento nei profeti, negli inni liturgici e nei racconti “storici” diventano l’elemento portante nella fede nazionale e daranno origine in epoca più recente alle grandi attese della futura salvezza di Dio.
IL LIBRO DEL LEVITICO

Schema del libro

I . (1, 1-7, 38) Compendio della legge sacrificale.
II. (8, 1-10, 20) Il sacerdozio di Aronne.
III. (11, 1-15, 33) La legge della purità rituale per il culto.
IV. (16, 1-34) Il grande giorno della purificazione (kippur).
V. (17, 1-26, 46) La legge di santità.
VI. (27, 1-34) Le offerte votive e le decime.

La risposta positiva dell’uomo all’amore di Dio

.Con il dono dell’alleanza e della legge, che la esprime, Dio offre all’uomo la possi-bilità di godere un nuovo modo di essere che è liberazione dalla schiavitù, possesso di una patria (nel senso più vasto del termine). La risposta dell’uomo consiste nell’osservare questa legge di Dio, dono di alleanza, esplicitata per ogni momento “forte” dell’esistenza umana.
E’ una forma teologica molto evoluta che risente fortemente della riflessione avvenu-ta nel popolo durante l’esilio a Babilonia.
Tutto il libro è attribuito alla fonte P (codice sacerdotale) che il redattore finale si sa-rebbe limitato a riportare a questo punto.
IL LIBRO DEI NUMERI
(Il nome è dato dal censimento del popolo con cui si apre il libro)

Schema del libro

I. (1, 1-10, 10) Censimento e legge sacerdotale.
II. (10, 11-20, 13) Le ribellioni e le difficoltà incontrate dalla comunità nel vi-aggio dal monte Sinai all’oasi di Kadesh. Varie aggiunte alla legge sacerdotale (cap.15: 18; 19).
III. (20, 14-25, 18) La conquista della Transgiordania (terra di Moab).
IV. (26, 1-31, 54) Altre leggi sacerdotali.
V. (32, 1-42) Distribuzione al popolo del territorio della Transgiordania.
VI. (33, 1-34, 29) Elenco delle oasi toccate durante l’esodo e norme per la divi-sione della terra di Canaan.
VII. (35, 1-36, 13) Leggi sacerdotali.

Dio è fedele alla sua alleanza anche quando il popolo la infrange

Il redattore raccoglie qui vario materiale trovato nelle sue fonti. Grosso modo si ha una certa alternanza di racconti e di leggi. Sostanzialmente risulta che il popolo non ha fiducia in Dio e anche le sue guide politiche e spirituali spesso vengono meno al loro compito.
Ma la promessa di Dio vale per sempre. Se chi non risponde all’appello di Dio si esclude dalla salvezza non pregiudica però il piano di liberazione per i suoi successori, la grande speranza dell’ l’uomo non si fonda quindi sulla bontà o sulla capacità dell’individuo, ma elusivamente sul dono gratuito e perenne di Dio.
IL LIBRO DEL DEUTERONOMIO
(Seconda legge)
Schema del libro

I. (1, 1-4, 49) Discorsi introduttivi.
II. (5, 1-28.69) Il documento dell’alleanza tra Jahvè e Israele.
III. (29, 1-32, 52) Giosuè costituito capo del popolo.
IV. (33, 3-34, 12) Benedizione e morte di Mosè.

Le vicende storiche del libro

Il libro ha dato origine ad una delle fonti del Pentateuco. Non libro che noi oggi conoscia-mo, ma uno scritto meno ampio e più unitario. Pare che questo sia stato scritto nel Regno del Nord a Sichem e poi portato a Gerusalemme nel 722.
In seguito sarebbe stato rielaborato dai leviti ma, data la confusione regnante nella capitale di Giuda, sarebbe finito in un archivio del tempio, dove fu riscoperto sotto Giosia, poco meno di un secolo dopo. L’importanza attribuita dal re a questo libro lo rese determinante per gli sviluppi reli-giosi successivi, soprattutto in esilio.
Addirittura nacque una tendenza teologica, detta deuteronomistica, che ha lasciato traccia in numerose opere dell’Antico Testamento. L’attuale forma del libro risale all’epoca successiva all’esilio.

Invito alla fiducia e all’impegno

Israele è stato eletto da Dio e quindi risponde osservando le leggi stabilite da Jahvè, rifiuta i culti pagani e venera il suo Dio in un unico tempio, quello di Gerusalemme, con un culto gioioso e rasserenante. Dio ha condotto Israele attraverso il deserto, donandogli la vita in condizioni impos-sibili. Il popolo risponde con fiducia a questo Dio che domina la natura e la piega al suo volere. E’ un accorato appello perché il popolo non abbandoni la fede dei padri nel momento di grave difficol-tà.
La funzione di Mosè che parla ai suoi sulle soglie della terra promessa lascia trasparire ab-bastanza bene la realtà del redattore che parla ai suoi interlocutori che ancora ricordano il periodo dell’esilio, quando guardavano la Palestina dalla lontana Babilonia.
Abbiamo visto che il Deuteronomio, nel suo aspetto originario, esercitò un notevole influsso sulla teologia di Israele durante l’esilio e subito dopo. Ebbene un risultato di tale influsso fu la rac-colta di una serie di scritti che rileggevano le antiche fonti storiche alla luce della fede.
Con un impegno teologico e letterario non indifferente il redattore raccoglie leggende, saghe, cronache, canti, inni, racconti ecc. e li organizza in un complesso che segue le vicende del popolo dalla “conquista” della terra alla caduta della monarchia.
Il suo scopo è spiegare ai suoi contemporanei la cause della catastrofe e mostrare il progetto divino di salvezza che nonostante tutto si sta attuando dietro una storia umana dalle tinte fosche.
I libri che appartengono a questo filone sono: Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, e 1-2 Re. pro-babilmente anche il libretto di Rut rientra in questo gruppo.
IL LIBRO DI GIOSUÈ
(Così chiamato perché racconta l’epopea di questo personaggio)

Schema del libro

I. (1, 1-18) Dio promette la terra; Giosuè prende il comando di Israele.
II. (2, 1-12, 24) La conquista di Canaan (Palestina).
III. (13, 1-21, 45) Assegnazione dei territori conquistati alle singole tribù.
IV. (22, 1-24, 33) Appendici: le tribù orientali tornano al di là del Giordano: di-scorso di addio di Giosuè; assemblea del popolo a Sichem.

Solo Dio dona la terra al suo popolo

Come sappiamo dalla storia, di fatto la conquista della terra di Canaan non è avvenuta nel modo descritto in questo libro. In realtà “l’autore” non ha voluto nemmeno descrivere i fatti accadu-ti verso l’anno 1300 a.C.
Lo scopo del libro è completamente diverso. Il redattore ha utilizzato antichissimi materiali in suo possesso riguardanti luoghi e fatti, rivestiti di carattere leggendario, e li ha organizzati secondo uno schema di tipo cronologico. Il libro però, nella sua forma attuale, intende inculcare nei lettori l’idea teologica fondamentale che la terra attualmente occupata dagli Israeliti (dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia) è un dono gratuito della potenza di Dio ai suoi.
Non l’abilità del condottiero, non il valore dei soldati, ma solo l’infinito potere di Jahvè ha dato oggi, come molti secoli prima, una patria al suo popolo.
E’, dunque un invito alla riconoscenza, alla fiducia, all’obbedienza al Dio Jahvè.
IL LIBRO DEI GIUDICI
(dal titolo dei personaggi famosi decritti dal libro)

Schema del libro

I. (1, 1-2, 5) Introduzione storica: la conquista di alcuni territori meridionali (Ebron e Debir); Un frammento di discorso.
II. (2, 6-16, 31) Storie dei Giudici: Otniel; Eud; Samgar; Debora; Barak; Gedeo-ne; Abimelech; Tola; Iair; Iefte; Ibsan; Elon; Abdon; Sansone.
III. (7, 1-21, 25) Appendice. Migrazione della tribù di Dan. Punizione della tribù di Beniamino.

La conversione dell’uomo e l’intervento di Dio

Anche questo libro, come quello di Giosuè, non intende fornirci un resoconto storico dei fatti antecedenti l’istituzione della monarchia, ma ci offre l’interpretazione teologica delle alterne vicende della storia di Israele e dell’uomo. Di fatto, secondo il redattore, la storia si sviluppa secondo uno schema ciclico in cinque momenti di carattere “religioso” e non “temporale”. Nella situazione di pace e di benessere in cui l’uomo si trova accade che egli facilmente dimentica Dio che gli ha donato questa “salvezza” e lo abbandona (primo momento).
La lontananza di Dio costituisce però una condizione di male, peccato e disordine, che l’autore descrive come castigo di Dio (secondo momento). Ma quando sull’uomo si abbatte la soffe-renza egli si “converte”, ossia cambia direzione, non segue più se stesso, ma invoca Dio (terzo mo-mento).
Il ripristino del corretto rapporto tra l’uomo e Dio fa sì che Jahvè intervenga a favore dei suoi. Con un gesto della sua potenza divina chiama un individuo che, nella forza di Dio libererà i suoi dall’oppressione (quarto momento). Di fatto costui riesce a sconfiggere l’oppressore, il nemico, e ridona ai suoi la libertà dei figli di Dio (quinto momento). Purtroppo però il ciclo riprende in con-tinuazione. La condizione della figliolanza divina, della libertà, di fatto non è uno stato che l’uomo raggiunge una volta per sempre, ma richiede una continua conversione. Dentro a questo schema il redattore colloca una serie di leggende, fiabe, biografie ecc. che facevano parte del patrimonio cul-turale ebraico e sviluppa il suo “catechismo storico”.
IL LIBRO DI RUT
(dal nome della donna che sta al centro del racconto)

Il libretto non presenta uno schema complicato. Rut, vedova moabita di un ebreo, segue la suocera quando questa torna in Israele. Rinuncia così al proprio popolo e alla propria fede. In Pale-stina incontra Booz e lo sposa. Da questa famiglia nascerà poi Davide.

Si diventa popolo di Dio attraverso la fede

E’ una leggenda popolare col carattere di novella. I nomi simbolici e il chiaro intento istrut-tivo ci fanno pensare ad un autore che pur utilizzando materiale antico si pone nel filone teologico recente. Per appartenere al popolo di Dio l’unico elemento che conta è la fede, non la stirpe; una certa polemica, questa, contro la tendenza post-esilica del giudaismo di rinchiudersi in se stesso.

I DUE LIBRI DI SAMUELE
(dal nome del personaggio presentato all’inizio)

Schema del libro

I. (1 Sam 1, 1-7, 17) Gioventù di Samuele; nascita e vocazione; storia dell’arca dell’alleanza: vittoria sui Filistei; Samuele giudice.
II. (1 Sam 8, 1-15, 35) Samuele e Saul; elezione di Saul; addio di Samuele; vittoria di Saul; Saul pecca ed è ripudiato da Dio.
III. (1 Sam 16, 1-31, 13) Saul e David; unzione di David a re; David e Golia; David a corte; David fuorilegge; Saul a Endor; David con i Fili-stei; sconfitta e morte di Saul.
IV. (2 Sam 1, 1-8, 18) David re di Giuda e Israele; David re a Ebron; David re d’Israele, vittoria sui Filistei; conquista di Gerusalemme; Gerusalemme capitale e sede dell’arca dell’alleanza; ora-colo di Natan; elenchi delle imprese di David.
V. (2 Sam 9, 1-20, 25) Storia della famiglia di David: i discendenti di Saul; Vitto-ria sugli Ammoniti e adulterio di David; ribellione di As-salonne; ritorno di David e ribellione di Sheba.
VI. (2 Sam 21-24) Appendici: vendetta sui discendenti di Saul; imprese degli eroi di David; testamento di Davide; altri eroi di Davide; censimento e peste.

Il vero re di Israele è Dio

Questi due libri affrontano il tema dell’origine della monarchia. Di fronte al fallimento stori-co dei re di Israele si cerca una spiegazione teologica. Se da un lato il re fu un dono di Dio per sal-vare i suoi nel momento del pericolo, nell’altro il popolo confidando nel re e non in Dio ha fatto fal-lire questo disegno di salvezza.
Il vero re di Israele è Dio, e il monarca deve essere attento alla volontà di Jahvè nel momento storico. Spesso però egli si pone contro l’insegnamento di Dio e trascina tutto il popolo nella rovina.
I complessi e molteplici materiali delle tradizioni antiche vengono organizzati dentro questo schema teologico. D’altronde le speranze del popolo rimangono rivolte al “re messianico” che sarà inviato da Dio negli ultimi tempi a ricostruire la sovranità di Dio.

I DUE LIBRI DEI RE

Schema dei libri

I. (Re 1, 1-11, 43) Storia di Salomone
II. (1 Re 12, 1-2 Re 17, 41) Storia dei due regni fino alla caduta di Samaria
III. (2 Re 18, 1-25, 30) Storia del regno di Giuda fino alla caduta di Gerusa-lemme.

L’allontanamento da Dio porta la catastrofe, ma Jahvè è fedele alle sue promesse di salvezza

Il redattore di questi due libri riflette con animo distaccato sulla rovina del popolo ebraico dopo l’inizio così promettente del regno di Salomone. Il suo giudizio sul corso storico degli eventi è prettamente religioso, non storiografico. L’ uomo si è allontanato da Dio, non ha conservato la pu-rezza del culto, quindi ha abbandonato l’alleanza. Di qui la catastrofe.
Non appena il popolo, e il suo re, ritornano nella retta osservanza della leggi di Dio, tornerà ad aver valore la promessa eterna fatta a Davide. Molto forte è in questi libri il messianismo davidico che alimenta la prospettiva religiosa dell’epoca post-esilica.
E’ difficile parlare di un disegno unitario di questo primo insieme di libri, data la molteplicità delle fonti, autori e redattori che sono intervenuti. E’ chiaro comunque che per gli scrittori dell’epoca post-esilica le vicende del popolo, dalla creazione alla chiamata, dall’entrata nella terra promessa alla catastrofe nazionale, sono guidate da un disegno salvifico di Dio, anche contro tutte le apparenze.
Se di fatto gli uomini si trovano si trovano a soffrire una situazione di schiavitù, ciò dipende esclusivamente dal loro allontanamento da Dio. Quando invece gli individui prendono coscienza della loro condizione sostenuti e guidati dalla mano di Dio e rispondono in modo positivo al suo appello, vivono nella libertà, nella pace, nel benessere.
V L’OPERA STORICA DEL CRONISTA E ALTRI LIBRI STORICI
L’opera storica del cronista

La crisi culturale e religiosa del secolo IV

L’autore di quest’opera che comprende quattro libri (1-2 Cronache; Esdra; Neemia) scrive il suo libro in un momento storico molto difficile. Gli ebrei del sec. IV a.C. erano coinvolti nelle nu-merose e durissime lotte tra i Tolomei dell’Egitto e i Seleucidi della Siria che si contendevano la zona cuscinetto della Palestina. Accanto alle tragedie causate dalle continue guerre il popolo doveva subire il fortissimo influsso culturale delle potenti monarchie ellenistiche vicine.
In questa situazione i fedeli osservanti della legge si trovavano isolati, combattuti dall’esterno e anche dall’interno, in particolare dai Giudei che avevano aderito all’ellenismo.

Esortazione e consolazione

In questo frangente il redattore intende fornire ai suoi lettori materiale per la riflessione teo-logica. La sua esposizione non vuole essere una presentazione storica, ma un incoraggiamento, un’esortazione alla fedeltà ai valori antichi, alla legge di Dio, perché solo da Dio poteva venire la salvezza nella situazione disperata.
L’autore utilizzando fonti anteriori, tra cui il Pentateuco e l’opera storica deuteronomistica, le adatta, le utilizza per offrire un messaggio più immediato nella sua situazione.

I DUE LIBRI DELLE CRONACHE

Schema dei libri:

I. (1 Cr 1,1-10, 14) Da Adamo a Saul in forma di genealogie.
II. (1Cr 11, 1-29, 30) Davide.
III. (2 Cr 1, 1-9, 31) Salomone.
IV. (2cr 10, 1-36, 23) Il Regno di Giuda fino alla caduta di Gerusalemme.

Il popolo santo e fedele

L’autore e redattore segue le tragedie della caduta del regno alla luce delle due figure ideali fondamentali di Israele: Davide e Salomone. Tutti gli eventi sono presentati alla luce dei due perso-naggi, ossia come dovevano accadere se Israele avesse vissuto nella legge. I fatti storici sono go-vernati da un rigido sistema di retribuzione, dall’intervento diretto di Dio nella storia, dal primato del tempio e del culto.
Le disgrazie e le fortune sono rispettivamente castighi o premi. Le vittorie militari sono ot-tenute senza combattere, solo con la preghiera. Il tempio e il culto sono il centro ideale attorno a cui tutto ruota. In sostanza ci si presenta un popolo santo che vive in obbedienza al capo messianico osservando le leggi divine e praticando il culto del tempio. Tutto ciò che ridà speranza ai giusti tri-bolati che proiettano lo sguardo in avanti verso il nuovo intervento di Dio.
IL LIBRO DI ESDRA
(Dal nome del personaggio principale)

Schema del libro:

I. (1, 1-2, 70) Il ritorno a Gerusalemme.
II. (3, 1-6, 22) Ricostruzione e del tempio e della città.
III. (7, 1-10, 44) L’opera di Esdra nella città ricostruita.

All’uomo fedele non mancherà l’aiuto anche dei potenti.

Il libro, in ebraico, contiene anche alcuni versetti in aramaico, la lingua ufficiale dell’epoca dei fatti narrati. L’autore utilizza appunto molti documenti ufficiali oltre che memorie popolari i in-dividuali.
Nella rielaborazione attuale l’insieme di fonti acquista una colorazione ben precisa: l’esistenza di Israele è opera sì di Dio, ma è anche riconosciuta e approvata dalle autorità politiche.
Contro difficoltà apparentemente insormontabili non mancherà l’aiuto, anche dei potenti. Da parte dell’uomo però occorre una forte decisione a custodire gelosamente la propria fede, anche contro i sentimenti più forti della propria persona.
IL LIBRO DI NEEMIA
(dal nome del personaggio principale)

Schema del libro:

I. (1, 1-7, 72) Neemia fa terminare la costruzione delle mura di Gerusa-lemme rimaste incomplete.
II. (8, 1-9, 38) Esdra proclama la legge a Gerusalemme.
III. (10, 1-13, 32) Il nuovo popolo di Gerusalemme.

Rigorosa purezza della fede – rifondazione del Regno di Davide

In origine questo libro era certamente unito al precedente e, con ogni probabilità, anche ai due libri delle Cronache. L’attuale divisione tra Esdra e Neemia risale alla prima metà del secolo III a.C. Data l’unità di argomento e di autore, il carattere e la teologia dell’intera opera storica del Cro-nista sono identici.
Forse, rispetto ai libri delle Cronache, Esdra e Neemia pongono maggiormente l’accento sulla fede nella perennità di Israele che, in quanto popolo di Dio, non conoscerà fine.
E’ l’espressione più alta del disegno utopico dell’epoca immediatamente precedente i Mac-cabei. Si ritiene possibile rifondare in chiave religiosa una comunità politica che sia governata dalle leggi di Dio. Il rinnovamento del culto e la rigorosa purezza della fede sono l’effetto dell’adesione dell’uomo all’alleanza offerta da Dio.
La conseguenza della risposta di Israele non potrà che essere positiva: la rinascita dello stato di Israele come potenza politica autonoma e destinata ad affermarsi tra le grandi monarchie ellenisti-che.
Gli altri libri «storici» dell’antico Testamento
Trattiamo a questo punto i libri di Ester, Giuditta, Tobia e 1-2 Maccabei non tanto perché di fatto presentano un genere letterario simile tra loro e ai libri del Deuteronomista e del Cronista, ma semplicemente perché la tradizionale distinzione dei libri della bibbia li definisce “storici” e li colloca a questo punto.
In realtà se nemmeno i libri di Giosuè, Giudici ecc. volevano essere storici, questi lo sono ancora meno. Si tratta di scritti assai diversi e con intenti teologici molto particolari, come vedremo in seguito.
IL LIBRO DI ESTER
(Dal nome del personaggio principale: leggenda di una festa = leggenda eziologica)

Questo libro presenta due redazioni: quella originale in ebraico, breve, e la traduzione greca assai più lunga, ossia con aggiunte. La versione italiana ufficiale è fatta su quella più lunga. Una particolarità dell’originale ebraico: non vi si trova mai il nome di Dio, né vi si fa riferimento, tanto che, secondo alcuni autori, forse il redattore ha usato per il suo racconto un mito babilonese, secola-rizzato, riguardante una festa.
Nella formulazione attuale lo scritto è diventato la leggenda eziologia della festa ebraica del Purim, una specie di carnevale. Pare che la formulazione attuale del libro sia da collocare tra il sec. III e il II a.C.

La fede sa vedere i miracoli di Dio anche nelle azioni più semplici.

L’autore dunque spiega, in forma leggendaria, qual è l’origine di questa festa del Purim e le conferisce una forte connotazione nazionalistica. E’ evidente la frustrazione del popolo in continua subordinazione politica.
In effetti, se il libro è stato scritto durante la persecuzione di Antioco IV Epifanie (174-164 a.C.), risulterebbe chiara l’intenzione dell’autore di rinsaldare nella fede i suoi lettori, rinfrancandoli con la speranza dell’intervento provvidenziale di Dio che non li lascerà perire. Certo, questa volta non ci sono “miracoli”, Dio si serve di uomini, le azioni sono semplici, ma il risultato è miracoloso.
IL LIBRO DI GIUDITTA
(dal nome dell’eroina: romanzo storico)

L’opera presenta numerose incongruenze storiche sia per il nome dei personaggi che per le località e le datazioni. Oggi si ritiene che non racconta un fatto veramente accaduto, bensì costitui-sce un’invenzione che utilizza personaggi in parte storici, ma li fa agire in situazioni e ambienti in-ventati. Perciò il genere letterario è quello di un romanzo, ossia di un racconto inventato, che nel ca-so concreto si propone una finalità teologica.
Per gli accenni del libro e gli scopi che si pone pare sia da collocare all’epoca di Maccabei.

Il fedele non è abbandonato da Dio.

L’autore scrive in un momento di gravi difficoltà per la religione ebraica che combatte, anche con le armi, per affermare il proprio diritto alla libertà, ma anche fornisce lo spunto per uno scopo nazionalistico.
L’intenzione teologica dell’autore è quella di rafforzare la fiducia del suo popolo nella pro-tezione di Dio. Jahvè infatti salva il suo popolo attraverso personaggi che egli suscita nel suo popolo e che si dimostrano rigorosamente fedeli alla legge. Giuditta è un esempio non tanto di astuzia politica e di freddo calcolo utilitaristico, bensì di fede in Dio.
IL LIBRO DI TOBIA
(dal nome del personaggio principale: pia novella a carattere sapienziale)

Il libro ci è stato tramandato solo in greco e presenta notevoli somiglianze con i libri e rac-conti stranieri. Manca nella bibbia ebraica e protestante. Probabilmente nella sua formulazione at-tuale è stato scritto in Palestina tra il sec. IV il II a.C.
Il genere letterario dello scritto è quello di una pia novella, ossia senza alcun riferimento alla storia, nonostante date e luoghi, ma di tendenza sapienziale.
Nel libro non mancano forme letterarie diverse come la preghiera, il salmo, il commiato, la legge, il ringraziamento ecc. che fanno dell’insieme un libretto elegante e complesso.

Chi vive nell’osservanza della legge e nella pratica di certe norme può contare sull’aiuto di Dio.

L’autore, nelle vicende dell’ipotetico personaggio di Tobia, ci offre la sua visuale della vita. L’individuo sopporti con pazienza le sciagure certo che Dio lo libererà. Questa pazienza è sorretta dalla devozione, che per l’epoca equivaleva all’ osservanza della legge, dalle opere buone e dalla preghiera. Chi vive secondo questo modello può contare sull’assistenza di Dio anche nella situazione più disperata. La tradizionale teologia giudaica con i suoi grandi temi dell’alleanza, delle promesse, dell’intervento costante di Dio nella storia, viene qui trasferita nel personale.
Si perdono le grandi dimensioni nazionali e cosmiche; si notano i primi accenni di interiorità personalistica.
IL PRIMO LIBRO DEI MACCABEI
(Dal nome dei personaggi principali)

Schema del libro:

I. (1, 1-2, 70) Prologo: da Alesando Magno ad Antioco IV Epifanie; resistenza di Matatia e dei suoi figli.
II. (3, 1-9, 22) Guerre di Giuda Maccabeo.
III. (9, 23-12, 53) Guerre e politica di Ginata Maccabeo.
IV. (13, 1-16,24) Simone Maccabeo e lotte di liberazione.

I due libri dei Maccabei mancano nella bibbia ebraica e protestante. Sono peraltro profon-damente diversi per carattere e sono stati scritti da autori distinti. Per questo sono trattati separata-mente. Il primo ci è conservato solo in greco, ma l’originale era ebraico. La datazione del libro è da porsi a cavallo del sec. I a. C. Lo stile segue la narrazione ebraica in prosa che include numerosi documenti dell’epoca: fonti ufficiali, lettere, discorsi ecc. in parte trasmessi nel tenore esatto.

Israele soffre per il suo peccato. La conversione porterà libertà e salvezza

L’autore è permeato da un forte sentimento di nazionalismo religioso. Contrappone il giuda-ismo all’ellenismo, quindi appartiene all’ala conservatrice che vede nella nuova cultura un pericolo per la sopravvivenza nazionale e religiosa di Israele.
Ormai giudaismo equivale a osservanza della legge e il vero pericolo per l’ebreo osservante non viene dal contatto coi pagani, con i quali si possono instaurare rapporti politici, ma dai Giudei ellenizzati, che hanno abbandonato l’osservanza della legge dei padri.
Inoltre il centro del giudaismo è il tempio e la devozione verso il monte Sion, simbolo della presenza di Dio tra i suoi. Le sofferenze di Israele sono causate dai suoi peccati, ma se si converte Dio non lo abbandona, anche se di fatto ora Dio è lontano dal corso della storia che pur tuttavia gui-da. La libertà di Israele però non equivale al Regno di Dio ed è anche scomparsa l’idea del ruolo fondamentale di Davide e della sua stirpe.
IL SECONDO LIBRO DEI MACCABEI

Schema del libro:

I. (1, 1-2, 32) Due lettere di Giudei e prefazione dell’autore.
II. (3, 1-7,42) Le vicende del tempio e del sommo sacerdozio.
III. (8, 1-13, 26) I successi di Giuda Maccabeo.
IV. (14, 1-15, 37) Spedizione e sconfitta di Nicanore.

L’opera è stata scritta in greco, forse riassumendo una più vasta opera storica pare che questo testo sia stato scritto prima di 1 Mac., ma la cosa è incerta, per cui può essere pensato contempo-raneo al precedente. Il genere letterario che l’autore dice di seguire è quello dell’epitome storica, ossia sintesi di un’opera storica con fini divulgativi. Di fatto però è uno scritto di retorica, quasi una serie di discorsi, anche se fondati su documentazioni storiche assai valide.

Chi fa il bene sarà salvato, almeno nell’aldilà

Anche questo autore vede la storia come uno spazio in cui si svolge la lotta mortale tra giu-daismo ed ellenismo. Egli però non accentua l’aspetto palestinese del giudaismo, con il ruolo prima-rio di Sion. Grande importanza è attribuita al tempio. Egli considera inoltre la storia come opera di Dio e non dell’uomo; in contrasto con 1 Mac. riporta molti “miracoli”. Le battaglie si risolvono con la preghiera, non con le armi; la retribuzione è severa: il peccatore finisce male, il giusto gusta la salvezza, almeno nell’al di là. In un certo senso queste idee centrali della sua religiosità condizionano del tutto la sua visione della storia.
VI IL LIBRO DEI SALMI
(Il nome significa il tocco delle corde di uno strumento musicale simile all’arpa)

Schema del libro:

I. 1- 41 (40)
II. 42 (41) – 72 (71)
III. 73 (72) – 89 (88)
IV. 90 (89) – 106 (105)
V. 107 (106) – 150

La differente numerazione deriva dal modo diverso con cui i salmi sono elencati dalla bibbia cri-stiana e dall’originale ebraico e cioè:

Originale ebraico Bibbia Cristiana

1 – 8 1 – 8
9 – 10 9
11 – 113 10 – 112
114 – 114 113
116 114 – 115
117 – 146 116 – 145
147 146 – 147
148 – 150 148 – 150

L’attuale divisione in cinque libri è segnata da una dossologia (cioè inno di lode nell’ultimo salmo di ciascun libro. Il salmo 150 è tutto un inno di lode. La raccolta dei Salmi nella forma attuale è piuttosto recente (sec. IV) anche se i materiali usati sono antichissimi ed erano tramandati in rac-colte organizzate in modo diverso. Tracce di tale organizzazione si colgono forse nei titoli o intesta-zioni dei salmi che si riferiscono a personaggi, corporazioni, strumenti musicali o ritmi o melodia su cui cantare.
Una divisione che facilita la Lettura dei Salmi può essere quella che evidenzia il genere let-terario prevalente della singola composizione per cui abbiamo:

1. I Salmi del Re: 2 – 18 – 20 – 21 – 72 101 – 110 – 132 – 144, 1-11

Nascono come canti per l’intronizzazione, preghiere o ringraziamenti per la vittoria militare. Dopo la caduta della monarchia alcuni vengono spiritualizzati e adattati al Re messianico.

2. Inni: 8 – 19 – 29 – 33 – 46 – 48 – 65 – 67 – 68 – 76 – 84 – 87 – 115 – 113 – 114 – 117 – 122 – 135 – 136 – 145-150

La definizione generica vale anche per alcune parti di altri Salmi. L’inno è caratterizzato da queste parti (che però non sempre ricorrono tutte insieme): a) introduzione e invito a lodare Jahvè. b) I motivi della lode. c) Conclusione che può includere o la ripetizione dell’introduzione, o benedi-zione, o voto o breve invocazione.

3.a Lamentazione collettiva: 44 – 60 – 74 – 79 – 80 così composta: 1) Ricordo della misericordia di Jahvè in passato. 2) Espressione di fiducia. 3) Esposizione del caso. 4) Proclamazione di innocenza. 5) Assicurazione di fiducia.

3.b Lamentazione individuale: 3 – 5 – 6 – 7 – 13 – 22 – 27, 7-14 – 28 – 31 – 35 – 38 – 39 – 42 – 43 – 51 -54 55 – 59 – 61 – 63 – 64 – 69 – 70 – 71 – 80 – 88 – 112, 1-22. 24-29 – 109 – 120 – 130 – 140 – 141 – 142 – 143 così composta: 1) Invocazione di aiuto a Jahvè. 2) Il caso di necessità. 3) Domanda di liberazione. 4) Motivo per cui si spera di essere esauditi. 5) Espressione di fiducia.

4. Canti individuali di fiducia: 23 – 27, 1-6 – 121 – 132 quando l’ultimo elemento del modello precedente diventa un Salmo a sé.

5.a Canto di ringraziamento collettivo: 136 – 67 – 124 – 129.

5.b Canto di ringraziamento individuale: 30 – 32 – 34 40, 1-12 66, 13-20 – 107 – 116 – 138 Con questo schema: 1) Introduzione. 2) Racconto del caso e della domanda fatta. 3) Descri-zione dell’intervento salvifico. 4) Conclusione con fiducia o promessa di lode o invito ad unirsi alla lode o benedizione.

6. Meditazione storica: 78 – 105 – 106 La storia diventa un motivo per confidare in Dio.

7. Salmo sapienziale: 1 – 14 – 19, 8-14 – 38 – 49 – 53 – 73 – 112 – 119 – 127 – 128. Ri-flessioni su alcuni problemi dell’uomo con chiaro riferimento alla trattazione sapienziale dell’argomento.
VII I LIBRI SAPIENZIALI
L’uomo e la vita

Il fenomeno della “sapienza” accomuna tutti i popoli orientali. Fondamentalmente rappre-senta il tentativo dell’uomo di cogliere il senso e organizzare il reale entro leggi stabili che permet-tono di padroneggiarlo.
Presso le corti orientali era una scienza coltivata per permettere alle categorie di funzionari di apprendere le nozioni fondamentali utili alla loro professione. Inoltre serviva a fornire quella serie di schemi mentali e pratici, utili a destreggiarsi nella vita ed avere successo.
Le forme di questa sapienza sono assai svariate e così molteplici sono i generi letterari ai quali ha dato origine. Ha origini antichissime e in Israele ha incontrato particolare favore alla corte di re Salomone prima e del re Ezechia qualche secolo più tardi.
Attualmente i libri della bibbia che si possono definire sapienziali sono: il libro di Giobbe, il libro dei Proverbi, il libro del Qohelet, il libro dei Proverbi, il libro del Siracide e il libro della Sa-pienza.
IL LIBRO DI GIOBBE
(Dal nome del personaggio principale)

Schema del libro:
(1, 1-3, 1) Prologo “storico” sulle vicende di Giobbe.
I. (3.2-31, 37) Dialogo tra Giobbe e gli amici: discorso introduttivo di Giobbe; 3 cicli di 6 discorsi, uno per ciascun amico con relativa risposta di Giobbe; lode della sapienza; discorso finale di Giobbe.
II. (32, 1-37, 24) 4 discorsi di Elihu.
III. (38, 1-41, 34) 2 discorsi di Jahvè e accettazione di Giobbe.
IV. (42, 7-16) Epilogo: giudizio di Jahvè e nuovo benessere di Giobbe.

Il libro è costituito da una serie di discorsi e dialoghi che prendono lo spunto dal racconto del prologo e dell’epilogo riguardanti le vicende di Giobbe. La riflessione dell’autore verte su tema-tiche relativamente recenti in Israele, certamente posteriori all’esilio, ma utilizza materiali antece-denti, come ad esempio la leggenda di Giobbe.
La data di composizione dell’attuale libro non è anteriore all’esilio, ma nemmeno posteriore al sec. III a.C. la forma letteraria di dialogo trova qui la sua più alta espressione.

Solo la fede aiuta a vivere nel dolore.

Il problema affrontato dall’autore è quello della sofferenza immeritata del giusto e della pro-sperità del malvagio. L’affermazione centrale della sapienza israelitica era che fin dalla vita presente, Dio premia il giusto e punisce il peccatore. L’autore nel riflettere sulla constatazione contraria arriva alla conclusione che è impossibile trovare una risposta al problema della contrapposizione tra l’esperienza concreta della vita e il principio sapienziale.
La ragione umana non sa spiegarsi il male. L’esperienza di Giobbe quindi non serve a com-prendere il male, ma aiuta a vivere con il, male. Solo chi riesce a vivere l’incontro con Dio, la sua manifestazione, può sopportare il male. La fede rende tollerabile il dolore perché permette l’incontro con Dio, quel Dio che con la sua “Sapienza” guida il mondo in modi che l’uomo non riesce a comprendere.
IL LIBRO DEI PROVERBI
Schema del libro:

I. (1, 1-19, 18) Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re di Israele. Invito ad acquistare la Sapienza.
II. (10, 1-22, 16) Proverbi di Salomone: 375 detti senza collegamento logico. Quasi tutti sono regole di buona condotta.
III. (22, 17-24, 22) Sentenze dei saggi: proverbi slegati e riguardanti i doveri verso il prossimo e le norme della temperanza.
IV. (24, 23-34) Altre sentenze del saggio: l’operosità e la pigrizia.
V. ((25, 1-29, 27) Proverbi di Salomone raccolti dagli uomini di Ezechia: varie sentenze di carattere religioso e civile.
VI. (30, 1-14) Detti di Agur, figlio di Iakè: il problema della molteplicità di comportamento.
VII. (31, 1-31) Detti di Lamuel, re di Massa: consigli al re e poema di lode alla buona moglie.

E’ il più antico libro sapienziale, nato dall’unione di diverse raccolte preesistenti che, pur senza arrivare direttamente a Salomone come invece dice il testo, risalgono ad epoche moto antiche.
Il redattore ultimo va collocato dopo i secoli IV o III, quando è stata composta l’ultima rac-colta (Prov.1, 1-9,18).
L’ambiente di origine è per quasi tutti i detti la scuola di corte dove si preparavano i funzio-nari del regno.
Il saggio e lo stolto

Il libro ci offre uno specchio abbastanza fedele e chiaro delle attività e degli interessi che potevano muovere un israelita in antichità. Tuttavia la molteplicità degli autori e l’enorme differenza di tempo (e quindi contesto sociale, teologico, politico) tra le varie raccolte rende quasi impossibile parlare di un messaggio del libro dei Proverbi.
Troviamo trattate le attività di governo, la corte, la vita sociale e civile della comunità, le at-tività commerciali e agricole, la famiglia, il lavoro, la gioia, il dolore…Se una affermazione unitaria si può fare è che il mondo è diviso in due classi: i saggi e i giusti – gli stolti e i malvagi. Una volta en-trato a far parte di una classe è difficilmente l’uomo può cambiare.
IL LIBRO DI QOELET
(In ebraico significa “membro dell’assemblea”. È detto anche il libro dell’Ecclesiaste)

Schema del libro:

I. (1, 1-8, 12) Serie di detti sull’inutilità dei desideri e delle conquiste umane.
II. (7, 1-9, 16) Altra serie di proverbi sul bene e sul male.
III. (9, 17-12, 8) Invito a godere i beni presenti prima che sfuggano.
IV. (12, 9-13) Epilogo del redattore o dei redattori.

La composizione del libro va posta nel sec. II quando uno o più redattori raccolsero una serie di appunti su alcuni temi importanti della sapienza tradizionale analizzandoli e criticandoli.
L’ambiente probabilmente non è più quello di una scuola di corte, ma piuttosto quella delle scuole di saggi che ormai miravano a trovare una spiegazione al difficile problema dell’incongruenza tra dottrina sapienziale tradizionale e vita concreta. La forma utilizzata è quella di un “soliloquio” dell’autore con se stesso.

Accettare i piaceri donati da Dio perché lo sforzo di ottenere di più è vano.

L’autore aveva riscontrato una notevole difficoltà nella sapienza tradizionale: l’ingenua af-fermazione che la virtù è sempre premiata e il male sempre punito non trovava riscontro nella realtà. L’esperienza insegna che spesso il male ha successo, il bene no. Ciò tuttavia non deve far perdere la fede in Dio, anche se la ragione non trova una spiegazione logica del fatto. La lotta contro il male non troverà uno sbocco positivo grazie al solo sforzo umano, la vita umana non può raggiungere una felicità stabile e duratura.
Tale pessimismo però è mitigato dalla convinzione che Dio concede all’uomo un certo nu-mero di piaceri nella vita normale.
IL LIBRO DEL SIRACIDE
(Dal nome dell’autore Gesù Ben Sira. Detto anche il libro dell’Ecclesiastico, ossia in uso nella chie-sa)

Il libro è conservato in greco, anche se si sono trovati frammenti dell’originale ebraico, e fa parte della bibbia solo per i cattolici, non per gli ebrei e per i protestanti. Pare che sia stato scritto in ebraico verso il 190 a. C. mentre fu tradotto in greco nel 132 a.C. L’assoluta mancanza di collega-mento tra i vari detti rende impossibile tentare uno schema attendibile del libro.
L’autore sembra essere un saggio di Gerusalemme che nel periodo della forzata ellenizza-zione della Palestina si oppone alla trasformazione culturale presentando ai lettori il patrimonio sa-pienziale tradizionale ebraico.

La vera sapienza è la legge di Dio.
Quanto al messaggio dell’autore si può dire che si colloca nella linea della sapienza ebraica. La sapienza appunto consiste nell’abilità nel trattare la vita con tutto ciò che le è connesso.
Perciò egli affronta i vari argomenti di virtù e vizi, l’amministrazione dei beni, l’autocontrollo, l’educazione dei figli, la prudenza… Tuttavia si nota un aspetto originale alle pro-spettive tradizionali. L’autore identifica la sapienza con la legge del popolo ebraico, insiste poi sul concetto di alleanza e arriva a formulare una preghiera per la restaurazione di Israele.
Per concludere egli segna il passaggio della figura del saggio, come esperto maestro di vita, a quella di scriba, ossia conoscitore della legge di Mosè.
IL LIBRO DELLA SAPIENZA
Schema del libro:

I. (1, 1-5, 23) Sapienza e sorte dell’uomo: destino del giusto e del malvagio.
II. (6, 1-9, 18) Origine e natura della sapienza. Mezzi per conquistarla.
III. (10, 1-9, 22) La sapienza di Dio in Israele. La stoltezza dell’idolatria.

Il libro ci è conservato in greco e non si trova nella bibbia ebraica e protestante. L’autore non è certamente Salomone in quanto l’opera è stata scritta in greco, probabilmente ad Alessandria di Egitto. Verso l’anno 50 a.C.
La datazione è confermata dalle idee e dallo scopo dell’autore che si rivolge agli ebrei in pe-ricolo di perdere la fede per aderire alla cultura e alla religiosità ellenistica. Oggetto della polemica sono il materialismo, l’edonismo e l’idolatria degli ellenisti.

Dio salva i suoi e dà la sapienza che guida alla rettitudine di vita e all’immortalità.

Il problema affrontato nel libro è quello del peccato e del male che si risolve nella fedeltà al credo dei padri culminante nella sapienza e nella legge. La vera sapienza è la fede nel Dio di Israele e l’osservanza della sua legge. Esse libereranno il credente dal male. Il principio trova conferma nella storia del popolo eletto. L’autore introduce nel suo libro il concetto dell’immortalità dell’anima. Dimorando nell’anima la sapienza diventa principio di virtù e la rivelazione rappresenta il principio interno che guida la vita.
IL CANTICO DEI CANTICI
(Ossia il più bel canto)
È impossibile tracciare uno schema di questo libro che un redattore raccoglie accostando svariati brani lirici di diversi autori. La redazione attuale è postesilica e quindi senz’altro non è opera di Salomone. Forse è attribuito al figlio di David perché all’epoca della redazione si credeva che Salomone fosse stato un grande amatore. Il raffinato erotismo del libro traspare abbastanza chiara-mente dal linguaggio e dal simbolismo che permea ogni riga dell’opera.
Le gioie dell’amore nel piano di Dio.

Il libro, entrato a far parte della Bibbia con una certa difficoltà, è di un autore postesilico. Nei secoli si sono succeduti vari tipi di interpretazione. Alcuni lo hanno considerato una parabola, cioè una specie di dramma che canta l’amore tra Dio e Israele e tra Dio e la chiesa. Altri lo conside-rano una allegoria, e trovano vari simbolismi in ciascuna parte del libro, ad esempio identificano la sposa con Maria ecc. Altri ancora lo considerano una lirica di amore di provenienza pagana, se non addirittura dai culti della fecondità tipicamente cananei.
Oggi gli studiosi propendono per definirla una lirica d’amore ebraica che esalta la grandezza dell’amore umano con una ricchezza di erotismo semplice e candido. L’amore dell’uomo non solo è buono, ma è santo, in tutte le espressioni, e quindi si esalta il piacere delle persone che si amano nel progetto che Dio ha stabilito per la coppia umana
Il piano di Dio stabilisce che l’universo sia guidato dall’uomo secondo le leggi che Jahvè ha costituito. Per la coppia umana questa legge prevede che la difficile opera dell’integrazione perso-nale nel matrimonio sia sorretta dalla molteplicità dei piaceri che gli individui vi scoprono e si scambiano. Non ultimo è il piacere erotico, che quindi rientra nella santità della coppia.
VIII I PROFETI
Profeta, veggente, uomo di Dio

Il fenomeno profetico è abbastanza comune al mondo dell’antico oriente. Il termine indica un individuo che parla davanti ad altri, oppure, secondo l’ebraico, colui che proclama. Che parla a nome di altri, che è chiamato a parlare.
Però in ebraico vi sono anche altri termini per indicare coloro che noi oggi chiamiamo profeti e significano i veggenti o gli uomini di Dio.

Profeti estatici e/o cultuali

In Israele sussistono dunque varie forme di profetismo, a volte contemporanee, a volte di di-verse epoche. Abbiamo innanzitutto il profetismo estatico, quello cioè di individui, che in trance pronunziano un oracolo divino. A volte costoro prestano servizio presso un santuario. In questo caso il loro è anche un profetismo cultuale.
Non sempre le due forme coincidono, per cui il profeta del santuario può anche rilasciare il suo oracolo senza essere in trance.

Profeti di corte, “i figli dei profeti”

Un altro gruppo o categoria di profeti rientra nel cosiddetto profetismo di corte. In questo caso il profeta assiste il re indicandogli la volontà di Dio. Spesso questi individui si lasciano andare a forme aberranti di servilismo nei confronti del monarca, ma non sempre è così.
Esistono poi gruppi di profeti che di solito esercitano il loro ministero indipendentemente dai santuari o dalla corte anche se talvolta sono collegati al culto e alla danza sacra. Sono i cosiddetti “figli dei profeti”.

Responsi oracolari, parola di Dio

Logicamente accanto a questi gruppi più o meno organizzati, e fino ad un certo punto anche istituzionalizzati, esistono singole figure di profeti. Essi esercitano il loro ministero da soli, a volte anche in conflitto con altri. Di solito l’attività del profeta consiste nel rilasciare oracoli. I responsi possono essere di vario tipo.
A volte il profeta è interrogato dai fedeli su qualche problema e dà la sua risposta attraverso una parola, un gesto o anche un atto meccanico, come quello di gettare la sorte. Altre volte il profeta parla senza essere stato interpellato da nessuno, ma perché “chiamato” da Dio a manifestare la sua parola. Di solito il suo oracolo incomincia con: “così dice Jahvè”…, e si conclude con: “Parola di Jahvè”.

Dai profeti agli scribi

Quasi sempre la parola pronunciata dal profeta si presenta come minaccia, promessa, rim-provero, avvertimento. Nel fare questo però utilizza tutti i generi letterari in uso presso il suo popolo in modo da essere immediatamente recepito dai suoi ascoltatori. Ovviamente questa particolarità si riflette anche sugli scritti dei profeti che ci sono pervenuti. Dopo l’esilio la figura del profeta un po’ alla volta scompare perché la parola scritta prende il sopravvento, nella funzione di guida spirituale del popolo, sull’annuncio orale. Al posto dei profeti subentra lo scriba, interprete autentico delle pa-role scritte.

Gli scritti profetici a noi pervenuti

Tra le numerosissime figure di profeti dell’Antico Testamento solo pochi individui hanno lasciato i loro oracoli in forma scritta. Questi testi più o meno lunghi, difficilmente ci sono giunti nella forma vergata dall’autore.
Dal momento in cui furono fissati alla redazione ultima che noi possediamo, spesso passano secoli, durante i quali il ricordo, la dottrina e gli scritti sono stati conservati dai discepoli che li tra-smisero adattandoli alla situazione, integrandoli, comunque modificandoli.
Perciò nel leggere i profeti è necessaria una grande cautela per distinguere questi vari strati e intendere così rettamente l’intenzione del redattore finale.
IL LIBRO DI ISAIA
Schema del libro:

I. (1, 1-39, 8) Detto Proto Isaia, ossia primo Isaia: oracoli su Giuda e Gerusalemme; oracoli contro le nazioni; Apocalisse (= rivelazione) di Isaia; altri detti di Isaia; distruzione delle nazioni; appendice storica desunta da 2 Re 18, 13-20, 19.
II. (40,1-55, 13) Deutero-Isia (cioè secondo Isaia): inni di Jahvè e di Israele; inni di Gerusa-lemme e Sion.
III. (56, 1-66, 24) Trito-Isaia (cioè terzo Isaia): oracoli vari; la gloria nella nuova Gerusalemme e consolazione di Sion; salmo di lamento; risposta di Jahvè e gloria finale del popolo.

Le tre parti abbastanza distinte del libro di Isaia contengono prevalentemente oracoli di tre epoche distinte: quelli effettivamente pronunciati da Isaia, quelli scritti dai suoi discepoli durante o subito dopo il ritorno dall’esilio (Deutero-Isaia), quelli scritti molto tempo dopo l’esilio (Trito-Isaia).
Il redattore finale poi ha raccolto questi diversi scritti, senza tener distinte le varie fonti. Così a volte le combina tra loro, spostando versetti o gruppi di versetti da un capitolo all’altro. Perciò per riscoprire con una certa sicurezza a quale autore attribuire un passo si dovranno tener presenti lo stile e i contenuti dei vari strati del libro. L’attuale forma del testo dovrebbe risalire al sec. V a.C. Poiché i tre gruppi di scritti isaiani presentano carattere abbastanza diverso, illustreremo separatamente il messaggio di ciascuno di essi.

Un Dio “Santo”salverà un resto di Israele

Dio è l’assolutamente altro, “Santo”, rispetto all’uomo che non può comprenderlo. Egli ha un suo disegno della storia che l’uomo mai potrà cambiare, modificare. Il corso degli avvenimenti non è il risultato dell’opera umana, ma della volontà di Dio.
Perciò assoluta fede in Dio e non nei mezzi umani, politici o militari che siano. Chi non crede è causa di tutti i mali ed è destinato alla perdizione, mentre chi crede si salverà.
Israele sembra destinato a scomparire per i suoi peccati, ma Dio susciterà un discendente di Davide e un resto di Israele sopravvivrà alla distruzione.

Israele servo, testimone, segno di salvezza

Per il Deutero-Isaia Jahvè è il Creatore e in quanto tale dispone degli elementi del creato per compiere la sua volontà di liberare Israele. Questo è il primo passo per la costruzione del regno di Jahvè, nel quale Israele è il Servo, il testimone, il mediatore della salvezza verso le nazioni.
Jahvè infatti deve essere conosciuto da tutte le genti. Israele pertanto è liberato da Babilonia, con lui sopravvive la fede in Jahvè.
Tipica del Deutero-Isaia è l’affermazione che la salvezza consiste nella venuta di Jahvè e non solo nelle sue azioni salvifiche. Inoltre la fede monoteistica del profeta diventa polemica contro il politeismo dei culti pagani.
Infine la descrizione della sorte futura di Israele proietta l’attenzione del lettore sui fatti ul-timi della storia (=escatologia), quando le azioni salvifiche di Dio giungeranno a compimento.

Il nuovo Israele e la nuova Gerusalemme

Il Trito-Isaia vede la salvezza come un vero e proprio nuovo atto creativo. La frequente con-fessione della colpa di Israele, ostacolo alla salvezza, non impedisce di considerare imminente il momento della salvezza. Un aiuto potrà venire dall’osservanza della legge di Dio, espressione dell’adesione al suo progetto salvifico. Perno del nuovo e definitivo modo di essere è la “nuova” Gerusalemme. L’accento nazionalistico, abbastanza forte, è mitigato da un progetto universalistico spiccato.
IL LIBRO DI GEREMIA E LAMENTAZIONI
Schema del libro:

I. (1, 1-6, 30) Oracoli pronunciati durante il regno di Giosia.
II. (7, 1-20,18) Oracoli pronunciati durante il regno di Iioakim.
III. (21, 1-25, 38) Oracoli di varia datazione.
IV. (26, 1-45, 31) Oracoli e fatti a carattere personale.
V. (46, 1-51, 64) Oracoli contro le nazioni.
VI. (52, 1-34) Appendice storica.

E’ il libro più lungo della Bibbia e si notano alcune diversità nella disposizione della materia tra il testo greco e quello ebraico da noi seguito. L’autore dell’opera che noi abbiamo sarebbe un di-scepolo di Geremia (o più discepoli) che raccoglie e dà forma unitaria a vari libretti riguardanti la vi-ta e il messaggio del profeta.
Alcuni di questi potrebbero risalire a Geremia stesso. L’epoca di composizione non dovrebbe essere molto posteriore all’esilio.

La nuova alleanza scolpita nei cuori

Il popolo è colpevole di non seguire le istanze dell’alleanza con Dio. Giuda si trova in una condizione disperata: tutte le sue istituzioni civili e religiose scompariranno.
Tuttavia Dio vuole salvare Giuda, perciò il culto conoscerà un nuovo splendore e vi sarà un nuovo Israele, restaurato nella religione di Jahvè nel suo tempio rinnovato.
L’elemento su cui tutto poggia è la nuova alleanza in cui non saranno più necessarie le vec-chie istituzioni in quanto Dio si farà conoscere direttamente dai suoi. La legge d’ora in poi sarà scritta nel cuore dei credenti.

Le lamentazioni sono cinque poemetti, scritti appunto in forma di lamentazione, che hanno per contenuto: 1) la desolazione di Gerusalemme; 2) il giudizio dell’ira contro Gerusalemme; 3) la-mentazione di un individuo sofferente; 4) il miserevole stato di Gerusalemme ora; 5) le sofferenze del vinto. Probabilmente l’autore, o gli autori, è da collocarsi nell’epoca dell’esilio. Non se ne cono-sce il nome, ma certamente non è Geremia, con ogni probabilità i poemi sono stati composti per la celebrazione liturgica che commemorava la caduta di Gerusalemme.

La speranza legata alla conversione

La teologia legata a questo libretto si colloca nella linea profetica. La caduta di Gerusalemme non è segno dell’impotenza di Jahvè, ma del castigo che egli ha inflitto al suo popolo per i peccati commessi.
Israele potrà sopravvivere solo confessando le proprie colpe e sperando nella bontà di Jahvè.
IL LIBRO DI BARUC
Schema del libro:

I. (1,1-3, 8) Introduzione e preghiera: confessione dei peccati, domanda di per-dono e attesa di restaurazione.
II. (3,9-4, 4) Poema di lode alla sapienza.
III. (4, 4-5, 9) Poema su Gerusalemme personificata.
IV. (6, 1-73) Lettera di Geremia agli esuli a Babilonia

Il libro non fa parte della Bibbia ebraica e protestante. L’autore certamente non è Baruc, se-gretario di Geremia, e lo scritto risale al II sec. a.C. L’orientamento teologico dello scritto è ormai lontano dallo spirito del profetiamo classico.
L’attenzione è rivolta al confronto culturale e religioso tra Israele e il mondo ellenistico. Perciò si attribuisce molta importanza alla sapienza, intesa come legge di Mosè, guida alla vita, e alla polemica anti-idolatrica con l’affermazione dell’unicità di Dio.
IL LIBRO DI EZECHIELE
Schema del libro:

I. (1, 1-24, 27) Discorsi di minaccia contro Gerusalemme.
II. (25, 1-32,32) Oracoli contro le nazioni.
III. (33, 1-39, 209) Promesse per l’epoca successiva alla caduta di Gerusalemme.
IV. (40, 1-48, 35) La restaurazione del tempio, di Gerusalemme, di Israele.

Il libro si presenta con un forte carattere unitario, ma è anch’esso il risultato di un lavoro di compilazione. Gli scritti originari di Ezechiele sono passati attraverso le mani dei suoi discepoli.
Il redattore finale dovrebbe essere vissuto nel periodo immediatamente successivo al ritorno dall’esilio. L’opera si distingue per la descrizione di molte visioni e rapimenti estatici, oltre che per i frequenti segni simbolici compiuti al profeta. Proprio queste caratteristiche faranno di Ezechiele il libro più usato dalla mistica ebraica e dalla cabala medioevale.

L’individuo alla ricerca di Dio

Come i profeti anteriori all’esilio il libro insiste sul peccato di Israele che è causa dei castighi presenti. Dio è il giudice che non si lascia sfuggire le infedeltà del suo popolo. Tuttavia sottolinea più degli altri l’importanza del tempio e delle leggi cultuali.
Dio diventa il completamente altro, staccato dal reale. L’uomo lo contempla nelle immagini del rapimento estatico. La manifestazione di Dio ne sottolinea la “santità”, momento di giudizio contro i suoi. Perciò il peccato compiuto da Israele, che in tutta la sua storia ha disobbedito a Dio, sarà punito con la distruzione del popolo, un castigo che coinvolge l’individuo per le sue colpe per-sonali.
L’istituzione salvifica di Israele è finita, perciò ciascuno può raggiungere Dio solo con il suo sforzo personale. La restaurazione perciò sarà prettamente religiosa, interiore: un cuore e uno spirito nuovo. In questa prospettiva hanno ancora senso il tempio e il culto nella Gerusalemme rinnovata.
IL LIBRO DI DANIELE
Schema del libro:
(1, 1-6, 29) Le vicende personali del profeta.
I. (7, 1-12, 13) Le visioni di Daniele.
II. (13, 1-14, 42) Altre vicende personali del profeta.

Il libro non è certo opera del “profeta” Daniele, un personaggio vissuto nel sec. VI a.C. in quanto è stato scritto nel sec. II a.C., come risulta dal linguaggio e dai contenuti.
Alcuni passi dell’opera sono in aramaico ed inoltre i due ultimi capitoli (la terza parte del li-bro) sono stati scritti in greco e mancano nelle bibbie ebraiche e protestanti.
L’autore intende incoraggiare gli ebrei durante le persecuzioni di Antioco IV Epifanie. E’ il primo esempio di libro Apocalittico (ossia che intende rivelare gli avvenimenti finali) della bibbia.
Il genere letterario apocalittico fa uso frequente di visioni e sogni, simboli e parole.

Appello alla perseveranza

La teologia dell’autore è caratterizzata dalla convinzione che Dio è il Signore della storia per cui alla fine dei tempi chiamerà tutto il creato a giudizio. Prima però satana dominerà sul mondo causando sofferenze indicibili ai fedeli.
Il mondo è il luogo della lotta e poiché satana attualmente vi domina incontrastato il termine ha una valenza negativa. Ma il suo potere ha un limite.
Il “giorno del Signore” , che è il giorno del giudizio, segna la fine del regno di satana ed una prodigiosa trasformazione del reale che dà luogo ad un nuovo cielo e ad una nuova terra.
In questo momento anche i defunti risorgeranno per partecipare alla nuova condizione. Il messianismo di Daniele ormai è lontano dalle forme politiche e immanenti dei suoi predecessori. Ora il Messia atteso non è più il discendente di Davide, ma un misterioso “figlio dell’uomo” assiso in trono accanto a Dio e che dall’ambito divino viene a giudicare, cioè a salvare o condannare gli uo-mini.
IX I PROFETI minori
IL LIBRO DI OSEA
Schema del libro:
(1, 1-3, 5) Osea e il matrimonio.
I. (4, 1-14, 10) Oracoli di minaccia e di salvezza.

Il libro apre ora la serie dei “dodici profeti minori”. La forma attuale è senz’altro opera dei discepoli che hanno raccolto, in modo abbastanza disordinato, detti del profeta e della sua scuola. E’ l’unico profeta “scrittore” originario del regno del Nord.
Tra la sua morte (725 a.C. circa) e la redazione del libro passano oltre due secoli. La situa-zione concreta in cui va collocata l’opera del profeta e i primi documenti che hanno dato origine al libro spiegano i tre temi dominanti: lotta contro il culto pagano cananeo a Baal e le forme che as-sunse nel tempo; polemica contro la monarchia corrotta e rifiuto delle alleanze politiche coi pagani.

Anche se rifiutato, Dio ama i suoi e ne attende la conversione.

Il messaggio centrale del profeta si fonda sull’amore di Jahvè verso il suo popolo corrisposto malamente dal tradimento. Israele è la sposa infedele di Dio, ma l’amore fedele Jahvè non verrà mai meno.
Il peccato sarà punito con l’esilio, ma la punizione non durerà in eterno. L’esilio deve offrire la possibilità di ravvedersi, ritornare a contraccambiare l’amore fedele di Dio. E’ questo il significato della storia.
IL LIBRO DI GIOELE
Schema del libro:

I. (1,1-2, 27) Liturgia profetica di lamento: la piaga delle cavallette.
II. (3, 1-4,21) Poema apocalittico: il giorno di Jahvè.

Il libro risale al sec. III a.C. e forse le due parti che lo compongono non sono dello stesso autore, i diversi generi letterari utilizzati rendono vivace il libretto anche se complicano il tentativo di spie-garne i contenuti.

Dal peccato è possibile uscire: con la conversione

La teologia di questo breve scritto è un invito a penitenza e conversione. I peccati del popolo hanno causato il castigo. L’unico modo per sfuggire al giudizio di condanna che incombe su tutti i popoli è la conversione e la penitenza.
Solo così Israele può ritornare nel piano di salvezza stabilito dal suo Dio.
IL LIBRO DI AMOS
Schema del libro:

I. (1, 1-2, 16) Titolo, esordio e giudizio contro le nazioni.
II. (3, 1-6, 13) I discorsi.
III. (7, 1-9, 15) Le visioni, conclusione.

Il profeta Amos visse verso la metà del sec. VIII a. C. e predicò nel regno del Nord. Dopo la sua missione profetica mise in forma scritta i suoi oracoli raccolti e poi sistemati dopo l’esilio da un redattore.
La forma attuale del libro quindi ha conosciuto più mani. Importanti per la vita del profeta i ceni biografici che emergono ancora dal libro.

La sofferenza non è il progetto finale di Dio per il suo popolo

Amos denuncia la falsa sicurezza degli abitanti del regno del Nord che credono di poter con-tare sull’assistenza di Dio. Invece, il lusso, la perversione e l’idolatria hanno corrotto il popolo e Dio lo abbandona. E’ vicino il giorno del giudizio e della rovina.
Sarà un periodo che Israele dovrà sfruttare per convertirsi perché Dio non ha abbandonato definitivamente i suoi. Un santo resto di Israele sorretto da Dio ristabilirà la sovranità di Dio sul po-polo mediante un discendente di Davide.
IL LIBRO DI ABDIA
Il brevissimo libro comprende un solo capitolo così suddiviso:

v. 1 Introduzione.
vv. 2-14 Minacce contro Edom.
vv. 15-21 Restaurazione.

Pare che l’autore del libretto sia da collocare nel sec. IV a.C. sia per lo stile che per i conte-nuti. Le idee teologiche alla base di questi 21 versetti sono facilmente individuabili. Israele è caduto per colpa dei suoi peccati e per mano dei popoli vicini.
Dio farà risorgere il suo popolo e nel momento della restaurazione saranno gli avversari a dover soffrire.
Ancora una volta al centro dell’attenzione del profeta c’è la potenza terribile di Jahvè e la sua giustizia. Un grido di speranza quando più è nero il futuro che si prospetta agli Israeliti.
IL LIBRO DI GIONA
(Dal nome del protagonista)
Schema del libro:

I. (1, 1-16) Vocazione e fuga di Giona.
II. (1, 17-2, 10) Giona nel ventre del pesce; Salmo.
III. (3, 1-10) Nuova vocazione del profeta e predicazione a Ninive; conversione dei Niniviti.
IV. (4, 1-11) Giona adirato. Dialogo con Dio.

L’autore è conosciuto e va collocato in epoca post-esilica. Dall’insieme del libro si stacca il salmo (Gn 2, 2-9) che è di un altro autore. Nel suo complesso l’opera rientra nel genere letterario del-la novella a carattere didattico.
Vari elementi fanno pensare a rapporti culturali dell’autore col mondo orientale greco.

Dio preoccupato per la salvezza di tutti

L’autore è in polemica con la teologia ricorrente della sua epoca che nega la possibilità della salvezza al di fuori di Israele. Di fatto, secondo il pensiero di Giona, la bontà e la volontà salvifica di Jahvè include tutti gli uomini, anche i più lontani dalla conoscenza del Dio di Israele, anche coloro che di fatto sono considerati il prototipo della malvagità.
In realtà, osserva Giona, spesso costoro sono molto più disponibili all’appello di conversione proposto da Dio che non il suo popolo eletto.
L’onnipotenza di Dio non conosce ostacoli di sorta e, rispetto alla chiusura nazionalistica e religiosa di una certa corrente del giudaismo, la sua bontà e la sua sollecitudine per le sue creature oltrepassa il pensiero umano.
IL LIBRO DI MICHEA
Schema del libro:

I. (1, 1-5, 14) Invocazione e teofania. Minacce. Restaurazione salvifica.
II. (6, 1-7, 20) Minacce contro Israele. Promesse di rinnovamento.

Il profeta a cui è attribuito il libro è vissuto a cavallo de sec. VIII e VII. Di fatto il libro con-serva materiale originale insieme con aggiunte e commenti post-esilici e non sempre è facile stabilire con esattezza a chi attribuire le singole unità all’interno del libro.
Il genere letterario è quello comune ai profeti classici e unisce oracoli a profezie e a liturgie profetiche.

Dopo il castigo una nuova vita per Israele

Secondo l’autore le sofferenze del popolo sono causate dall’ira di Jahvè per i peccati com-messi dai suoi, peccati contro gli uomini (ingiustizia e oppressione) e contro Dio (culti pagani).
Israele dovrà passare attraverso il castigo per sopravvivere, perché nella sua infinita miseri-cordia Dio non distruggerà il suo popolo, ma l ricostituirà fedele alla morale richiesta dalla condi-zione di alleanza.
Alla fine la nazione sarà salvata e guidata da un nuovo Davide.
IL LIBRO DI NAUM
Schema del libro:

I. (1, 1-10) Salmo alfabetico (ogni versetto inizia con una lettera dell’alfabeto secondo l’ordine ebraico) sulla manifestazione di Dio (=teofania) e sul giudizio.
II. (1, 11-2, 2 Vari frammenti di minacce contro l’Assiria e Giuda.
III. (2, 3-3, 19) Assalto e devastazione di Ninive.

Dell’autore conosciamo solo il nome. L’opera pare risalga agli ultimi anni sec sec. VII a. C. e presenta oracoli della classica fattura profetica con tutta la ricchezza dei generi letterari conosciuti. Il problema che l’autore affronta è quello del giudizio di Dio sui pagani e sul popolo.
Nel momento della degenerazione progressiva dello stato di Giuda il profeta spera ancora che vi sia la possibilità di evitare la rovina.
L’empio non può resistere davanti a Dio

La teologia dell’autore si incentra nell’idea che Jahvè non tollera l’empio e il malvagio che invece destina alla distruzione. Per questo restaurerà il regno dei suoi eletti che al momento è in uno stato penoso a causa del peccato.
Non la potenza militare, non l’astuzia politica sono in grado di garantire la salvezza, solo la potenza di Jahvè che ama i suoi.
IL LIBRO DI ABACUC
Schema del libro:

I. ( 1, 1-2, 5) Condizioni di ingiustizia nel popolo. I Caldei (babilonesi) puniran-no il popolo. Risposta di Jahvè.
II. (2, 6-18) Cinque invettive contro gli empi.
III. (3, 1-19) Visione in forma di inno alla maestà di Jahvè.

L’autore è uno sconosciuto profeta della fine del sec. VII a.C. e l’argomento fondamentale del suo libro è il problema del male. Il profeta nota come Dio raggiunge i suoi fini mediante i mal-vagi e cerca di comprenderne il perché.
La spiegazione che egli dà è duplice. Anzitutto egli permette che un popolo malvagio op-prima un altro malvagio, senza però che il giusto abbia a soffrirne.
La fedeltà del pio è il motivo che lo salvaguarderà dalla morte. In secondo luogo Jahvè è il liberatore definitivo da tutti gli oppressori.
IL LIBRO DI SOFONIA
Schema del libro:

I. (1, 1-2, 3) Il giorno del Signore: giudizio contro il popolo di Israele.
II. (2, 4-3, 8) Oracoli contro le nazioni e contro Gerusalemme.
III. (3, 9-20) Promesse di restaurazione.

Il profeta Sofonia è vissuto nella seconda metà del sec.VII a.C., ma il libro nella sua forma attuale è più recente, probabilmente dopo l’esilio.
Nel contesto del breve splendore del regno di Giosia e della successiva catastrofe definitiva con la deportazione a Babilonia l’autore cerca una spiegazione alla tragedia del suo popolo.

Jahvè castiga e salva

L’autore denuncia l’infedeltà di Israele che tradisce il suo Dio con culti stranieri. Accusa le autorità politiche e religiose che hanno portato il popolo al travisamento e minaccia il castigo terribile di Dio.
C’è una speranza ancora, ed è la conversione. Uno sparuto resto di Israele porta avanti la promessa dell’assistenza e della salvezza di Jahvè. Dio stesso cancellerà dal suo popolo chi non è degno e con la sua presenza tra i superstiti sarà motivo di gioia per i nuovi abitanti di Gerusalemme.

IL LIBRO DI AGGEO
Schema del libro:

I. (1, 1-15) Esortazione alle autorità perché si finisca la costruzione del tempio.
II. (2, 1-9) La gloria del nuovo tempio.
III. (2, 10-19) Purità e impurità. Il benessere dopo il nuovo tempio.
IV. (2, 20-23) Il futuro messianico.

L’autore è un profeta vissuto dopo il ritorno degli esuli a Gerusalemme. Le profezie si inse-riscono nell’ ambiente palestinese ed evidenziano le difficoltà incontrate nella ricostruzione a causa della povertà di mezzi a disposizione e dell’opposizione della gente del posto ostile verso i reduci.
I persiani che hanno liberato gli ebrei attraversano ora un momento difficile a motivo dell’insurrezione di Babilonia e Aggeo spera che ciò permetta il ritorno della libertà piena per Geru-salemme. Sul trono della capitale potrebbe regnare di nuovo un discendente di David. I quattro ora-coli sono datati.

Il nuovo tempio e il nuovo Davide

La teologia del profeta è direttamente finalizzata allo scopo diretto di indurre gli Ebrei a ri-costruire il tempio e favorire la ricostruzione di uno stato libero e autonomo. Certo il santuario cen-trale è importantissimo per il culto, per ristabilire i rapporti corretti e ordinati tra l’uomo e Dio, ma nel nostro caso è più che altro un simbolo della ricostituita realtà nazionale. Le speranze messianiche, alimentate dai grandi profeti del passato, ora si incentrano su di un individuo concreto, Zorobabele, per cui perdono molto dell’atmosfera di attesa grandiosa di un meraviglioso evento del futuro e diventano semplicemente invito ad appoggiare una persona ben precisa.
IL LIBRO DI ZACCARIA
Schema del libro:

I. (1, 1-6) Introduzione che invita alla conversione.
II. (1, 7-6, 15) Otto visioni: Cavalieri – Quattro corna e quattro operai – L’uomo che misura con la fune – Purificazione del sacerdote Giosuè – Candelabro e due olivi – Il libro che vola – La donna del soffio – Quattro carri.
III. (7, 1-8, 23) La predica del digiuno.
IV. (9, 1-11, 7) Raccolta di detti profetici (=Deutero-Zaccaria).
V. (12, 1-14, 21) Profezie di salvezza su Gerusalemme (=Trito-Zacccaria).

La forma attuale del libro è molto recente, del sec. II a.C., ma il redattore finale raccoglie diverso materiale che risale a parecchi secoli prima. Attualmente si distinguono tre raccolte princi-pali. La prima attribuita a Zaccaria risale alla fine del sec. VI; la seconda è di un suo discepolo, chiamato Deutero-Zaccaria (=secondo Zaccaria) e risale al sec. IV sec. a.C.; infine un terzo autore, e forse il redattore finale, è del sec. II a.C.
Il messaggio di Zaccaria (Zc (1, 1-8, 23) è abbastanza lineare. I fedeli tornati dall’esilio rico-struiscono il tempio dopo essersi purificati e rinnovati interiormente.
Il tempio materiale deve essere segno dell’alleanza con Jahvè. Dio è sempre più lontano dall’accesso dell’uomo e ormai si manifesta attraverso angeli, soprattutto l’angelo della rivelazione.

Il Messia “povero”

La teologia del Deutero e Trito-Zaccaria è predominata dal messianismo a tinte fortemente apocalittiche (= rivelazione sulle cose ultime). Ormai la salvezza messianica si compirà alla fine del tempo, che è imminente.
Israele è una potenza fondata sul culto e in quanto tale inattaccabile dagli avversari. Alla sua guida siede un discendente di Davide, ma anch’egli si dovrà purificare.
Il Messia non è più cinto dello splendore regale delle visioni profetiche antecedenti, ma fa parte di “poveri” di Israele, la classe dei più osservanti di epoca post-esilica.
IL LIBRO DI MALACHIA
Schema del libro:

I. (1, 1-5) Jahvè e il suo amore per i suoi.
II. (1, 6-3, 5) Abusi cultuali e sociali e giustizia di Jahvè.
III. (3, 6-24) Offerte nel tempio. Venuta e giudizio di Jahvè. Mosè ed Elia messaggeri di Jahvè.

Da un punto di vista formale il libro si presenta sotto forma di discorso o disputa dottrinale. probabilmente l’autore è vissuto nel sec. V a.C. ed ha svolto la sua attività a Gerusalemme poco prima di Esdra.
Il suo interesse per il culto e il sacerdozio ci fa pensare che svolgesse la sua opera di profeta nell’ambito del tempio.
Jahvè ama i suoi, li giudica, ma anche li salva

Il messaggio centrale del profeta verte sul tema dell’onore che l’uomo deve dare a Dio sia nella forma del culto, sia nella sua vita sociale. Anche l’idea del giudizio di Dio è assai forte: l’amore di Dio per Israele non gli impedisce di intervenire duramente contro i corrotti. In ogni caso la salvezza non è riservata solo ad Israele, ma si estende a tutte le genti.
IX IL NUOVO TESTAMENTO – VANGELI E GLI ATTI DELI APOSTOLI

I vangeli risultato di un lungo processo letterario

L’attuale forma dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli è il risultato di un lungo processo let-terario durato circa mezzo secolo, dai primi decenni dopo la Risurrezione di Gesù sino alla fine del sec. I d.C.
La redazione finale del Vangelo di Marco avviene poco prima della distruzione di Gerusa-lemme, Matteo è stato scritto poco dopo il 70, l’opera in due volumi di Luca (Vangelo e Atti) è degli anni 80, il Vangelo di Giovanni e l’Apocalisse arrivano infine alle soglie dell’anno 100.

Le fonti dei Vangeli

Gli autori del Vangelo hanno utilizzato varie fonti letterarie e orali in uso presso le loro co-munità. Verso gli anni 50 circolavano nella chiesa alcuni brevi scritti che contenevano rispettiva-mente i discorsi di Gesù, i fatti principali della sua vita, la storia della passione, brani liturgici e, più tardi, i racconti dell’infanzia.
Forse esisteva anche una raccolta di detti dell’Antico Testamento riguardanti Gesù in quanto Messia.

Dalle fonti al Vangelo

Da tutte queste fonti un anonimo autore della metà del secolo ricavò uno scritto al quale die-de il nome di vangelo ( = buona notizia – notizia di gioia) che rappresentava un genere letterario completamente nuovo rispetto a tutti i libri scritti fino ad allora: con lo schema di una biografia (chiamata, discorsi, opere, morte e risurrezione) interpretava il significato della realtà di Gesù di Nazareth che viveva nella chiesa.
Questo genere letterario nuovo utilizza le più svariate forme letterarie diffuse al suo tempo quali il detto, la parabola, il racconto di miracolo, ecc.

Rapporti tra i vangeli

Questo Vangelo divenne poi il modello al quale si ispirarono i nostri quattro Vangeli che lo arricchirono con altre fonti a loro disposizione e lo attualizzarono per le loro comunità.
Allo stato attuale risulta che il più antico Vangelo a noi pervenuto, ossia il Vangelo di Marco scritto verso il 65, è servito a sua volta da traccia ai successivi Vangeli di Matteo e di Luca.
Questi due ultimi aggiungono allo schema di Marco molti passi che desumono da una fonte comune detta la “Fonte dei loghia” (detti di Gesù – indicata con la sigla Q dal tedesco Quelle).
Luca però prosegue il suo Vangelo con un altro libro, chiamato poi Atti degli Apostoli, nel quale raccoglie diari di viaggio, discorsi e tradizioni della comunità.
Giovanni invece si rifà principalmente a Luca (e in parte a Matteo), ma prende moltissimo materiale da una cosiddetta “Fonte di segni”, che riportava soprattutto segni (o miracoli) compiuti da Gesù.
Il Vangelo è annuncio, appello, testimonianza e non biografia

In complesso dunque i Vangeli non sono una biografia cronologica della vita di Gesù, non pretendono di possedere il valore storico del verbale, bensì si propongono di illustrare il significato della persona di Gesù per la comunità alla quale si rivolgono.
Perciò nell’esporre i fatti ricollocano alla luce della loro fede e del messaggio dell’Antico Testamento come era vissuto al loro tempo. Inoltre pongono molta attenzione alla situazione storica e alle esigenze delle loro comunità.
Quindi i vangeli ci offrono un mirabile esempio di annuncio, di appello e di testimonianza.
IL VANGELO SECONDO MARCO
Schema del libro:
I. (1,1-13) Antefatto. Giovanni Battista. Battesimo di Gesù. tentazioni di Gesù.
II. (1, 14 – 6, 13) Prima parte. Inizi dell’attività pubblica. Primi scontri con gli avversari. Gesù e il popolo.
III. (6, 14-10, 52) Seconda parte. Attività fuori dalla Galilea. Viaggio verso Gerusalemme.
IV. (11, 1-15, 47) Terza parte. Attività a Gerusalemme. ultima cena. Passione.
V. (16, 1-8) Pasqua.
VI. (16, 9-20) Appendice

L’autore di questo vangelo è chiamato Marco. Dai dati della tradizione e dalla critica lettera-ria risulta che e gli è legato alla persona di Paolo, che accompagna nei suoi viaggi, e di Pietro.
Probabilmente ha avuto contatti notevoli con la comunità cristiana di Gerusalemme dalla quale ha attinto informazioni e spunti. Pare infine che il Vangelo sia stato scritto a Roma dopo la morte di Pietro e Paolo, ma prima dell’anno 70.
Dallo stile si può dedurre che l’autore utilizza moltissimo materiale di altre fonti limitandosi ad accostarle senza apportarvi troppe modifiche. Ne risulta uno stile letterario, apparentemente po-vero, ma efficace e concreto.
Abbondano o brani di narrativa popolare (una affermazione generale viene pio spiegata), di spiegazione esortativa (o parenetica), di formule fisse nelle quali il redattore inserisce il materiale a disposizione. Frequenti sono anche i doppioni di uno stesso detto o di un episodio.
La conclusione del Vangelo (Mc 16, 9-20) è stata aggiunta in un secondo momento e pre-suppone la conoscenza degli altri tre vangeli. Quindi è di un altro autore.
I destinatari sono i cristiani convertiti dal paganesimo.

Gesù figlio di Dio e uomo: Messia

Marco ordina il materiale a sua disposizione in una cornice letteraria che evidenzia il suo in-tento teologico. Centro della sua attenzione è l’idea del rifiuto da parte delle autorità e dell’equivoco da parte dei discepoli. La vera rivelazione di Gesù avviene con la sua morte e risurrezione. Gesù è veramente Figlio di Dio e veramente uomo.
La sua presenza nel mondo segna l’inizio del Regno di Dio che giungerà a compimento con la distruzione del mondo e il giudizio finale.
Gesù è (il) Messia, ma la sua messianicità può essere compresa e manifestata solo dopo che i discepoli avranno fatto l’esperienza della Pasqua e della Pentecoste.
IL VANGELO SECONDO MATTEO
Schema del libro:

I. (1, 1-2, 23) Storia dell’infanzia di Gesù.
II. (3, 1-4, 11) Preparazione alla vita pubblica. Giovanni Battista. Battesimo e tentazioni (seduzioni) di Gesù.
III. (4,2-13,58) Prima parte. Gesù in Galilea
IV. (114, 1-20, 34) Seconda parte. Gesù a Gerusalemme.
V. (21, 1-27, 66) Terza parte. Gesù verso Gerusalemme.
VI. (28, 1-20) La Pasqua.

L’autore secondo la tradizione è l’apostolo Matteo (Levi) chiamato da Gesù mentre esercitava la professione di pubblicano (raccoglie le tasse per conto dei romani).
Di fatto l’autore del libro che noi possediamo deve essere stato un personaggio colto in lingua greca. pur senza arrivare all’ eleganza di Luca egli interviene sul testo che ha in comune con Marco per renderlo più omogeneo.
Circa la data di composizione possiamo ritenere probabile che l’attuale libro sia stato concluso prima dell’anno 80. Ben presto occupò un ruolo di primo piano nella chiesa, tanto che nelle raccolte dei Vangeli occupa il primo posto.
La presenza di molte formule fisse fa pensare che sia nato dalla catechesi e per la catechesi. Come luogo di composizione del Vangelo si pensa trattarsi di una città colta dove vivevano molti ebrei e cioè Antiochia.
Infatti l’autore sottolinea spesso il rapporto tra il messaggio cristiano e la religione ebraica.

Il vangelo di Gesù, figlio di Davide

Il vangelo ci presenta Gesù come Messia e figlio di Davide (Gesù rifiuta questo titolo) che porta a compimento le attese del popolo di Israele. Le numerose citazione dell’Antico Testamento, le pro-fezie realizzate in Cristo e la genealogia che fa risalire Gesù a Davide ad Abramo sono determinanti per un uditorio ebraico.
In realtà Israele rifiuta Gesù e così si esclude dal Regno dei Cieli (Regno di Dio). Matteo accentua molto l’idea del Regno dei cieli che è una realtà presente, in quanto si identifica anche con la vita eterna (intimità, pienezza di vita, comunione con Gesù).
IL VANGELO SECONDO LUCA
Schema del libro:

I. (1,1-4) Prefazione
II. (1,5-2, 529) Storia dell’infanzia.
III. (3, 1-4, 13) Preparazione alla vita pubblica
IV. (4, 14-9, 50) Prima parte. Attività in Galilea
V. (9, 51-21, 38) Seconda parte. Viaggio a Gerusalemme.
VI. (22, 1-36, 56) terza parte. Gesù a Gerusalemme.
VII. (24, 1-53) La Pasqua.

Lo scritto è dello stesso autore degli Atti degli Apostoli. La tradizione dice che era Luca. Forse è lo stesso che accompagna Paolo e cioè un personaggio colto e influente di Antiochia. Anche questo Vangelo si rivolge a cristiani convertiti dal paganesimo.
La datazione dovrebbe aggirarsi attorno all’anno 80. ormai la chiesa ha abbandonato l’idea dell’imminente realizzazione del regno di Dio, della fine del tempo.
Con Gesù inizia invece il tempo ultimo e definitivo che è il tempo della chiesa. Il linguaggio di Luca è il più raffinato, segue modelli ellenistici. Tra l’altro, come ogni opera letteraria che si rispetti, premette al suo libro una prefazione e una dedica.
Come Matteo anch’egli utilizza lo schema di Marco e molto materiale della fonte Q (dei loghia o detti), ma non teme di aggiungere anche informazioni proprie che a volte assomigliano più a Gio-vanni che agli altri Vangeli.

Gesù Signore e Salvatore universale

In Luca Gesù diventa il Signore confessato dalla chiesa (Kyrios) e il Salvatore di tutti gli uomini. L’evangelista allarga la prospettiva salvifica, ancor più di Marco e Matteo, a tutti: la fede e il vangelo non conoscono barriere di sorta.
Per questo evidenzia più degli altri il ruolo delle donne nei confronti della predicazione di Gesù. inoltre si accentua la particolare attenzione di Gesù verso i peccatori, gli esclusi, i rifiutati. In-fine, data la particolare condizione delle comunità cristiane che ormai si sono decisamente staccate dal giudaismo, Luca mette meno in rilievo la contrapposizione, la lotta contro il mondo giudaico.
Il tempo presente è il tempo della chiesa che vive nello Spirito. Centro della storia è il Cristo. A lui guardava l’Antico Testamento che attendeva il proprio compimento. A lui guarda ora la chiesa che lo testimonia, nella forza dello Spirito, fino ai confini della terra.
Ecco quindi che il Vangelo di Luca inizia a Gerusalemme e a Gerusalemme si conclude, ma subito dopo l’opera che prosegue il Vangelo di Luca, ossia gli Atti degli Apostoli, inizia a Gerusa-lemme per concludersi a Roma, centro dell’impero.
GLI ATTI DEGLI APOSTOLI
Schema del libro:

I. (1, 1-2) Prefazione.
II. (1, 3-8, 3) La comunità di Gerusalemme.
III. (8, 4-12, 25) Inizio della missione ai pagani.
IV. (13, 1-18, 31) la missione ai pagani portata da Paolo fino a Roma.

L’autore degli atti degli Apostoli, secondo la tradizione e i risultati della critica letteraria, è lo stesso del terzo Vangelo. A differenza di quanto era accaduto per il Vangelo, Luca per comporre Atti non dispone di un modello analogo al Vangelo di Marco da seguire abbastanza fedelmente.
Per il momento, non avendo motivi per affermare il contrario, possiamo dire che Luca, uti-lizzando materiali antecedenti, crea in Atti un’opera assolutamente nuova come impostazione e concezione.
Le fonti che ebbe a disposizione sono state, probabilmente, relazioni di viaggi dei missionari, discorsi, lettere, resoconti di assemblee ecc.
Ciò spiegherebbe alcune ineguaglianze stilistiche dell’autore che di solito invece dimostra di padroneggiare molto bene il geco dell’epoca.
La data di composizione si aggira grosso modo verso gli anni 80, come per il Vangelo.
La chiesa: l’annuncio di Cristo nel tempo

Abbiamo già visto nel vangelo secondo Luca che il problema dei cristiani degli anni 80 ri-guardava ormai meno la polemica contro i Giudei quanto piuttosto il significato della realtà comuni-taria, visto che la parusìa (secondo ritorno di Gesù) tardava a venire.
Il libro degli Atti risponde a questa problematica. La chiesa è la realizzazione del messaggio di salvezza di Gesù, ne prolunga l’annuncio, ne attua la presenza salvifica per tutti gli uomini. In questo è guidata dalla presenza di Cristo Risorto che si manifesta nello Spirito.
Ovviamente questo dato di fatto comporta la necessità di confrontarsi con l’organizzazione politica. La chiesa non ha nessun motivo per contrapporsi allo stato in quanto tale, non rappresenta un pericolo per l’autorità politica e per l’ordine pubblico.
D’altro canto è necessario rinvigorire, incoraggiare i cristiani che hanno già provato la per-secuzione. A questo scopo si ricorda loro l’entusiasmo , l’esempio (a volte idealizzato) delle comu-nità delle origini.
X LE LETTERE DI PAOLO
Che cos’è una lettera
Gli scritti attribuiti a Paolo costituiscono un genere letterario a sé, molto noto nell’ambiente dell’epoca: la lettera. La distingue dalle altre opere la caratteristica di scritto di circostanza costituito da: 1. Un intestazione, in cui si presentano il mittente e il destinatario, e un saluto.
2. Il corpo della lettera, che tratta gli argomenti che l’hanno causata.
3. la conclusione con i saluti e la varie comunicazioni finali.
Non sempre il mittente scriveva la lettera di proprio pugno. A volte la dettava ad uno scrivano o semplicemente incaricava un segretario di scriverla, magari suggerendone il contenuto. Poi firmava lo scritto.

I numerosi scritti chiamati lettere

Le vicende della chiesa delle origini, che hanno dato origine alla missione, con frequenti spostamenti, anche piuttosto lunghi, di molte persone, hanno favorito l’uso di questo mezzo di co-municazione e lo sviluppo notevole del genere letterario.
Molti furono gli inviati che scrissero alle loro comunità di origine o alle chiese fondate du-rante i viaggi. Spesso abbiamo anche lettere di comunità ad altre comunità, ai loro missionari ecc.
Di tutti questi scritti il Nuovo Testamento ne conserva soltanto 27.

La lettera e l’epistola

Un particolare genere di lettera è quello che viene chiamato tecnicamente epistola (dal latino epistola che significa appunto lettera).
Si tratta di una finzione letteraria con cui un autore espone il suo pensiero su un determinato argomento fingendo di scrivere una lettera. Spesso in questi casi manca l’intestazione o la conclu-sione.

Paolo, nella sua frenetica attività missionaria, ha scritto molte lettere, come del resto anche gli altri missionari. Di tutte queste il Nuovo testamento ne tramanda solo alcune. Secondo la tradizione sono 14. Oggi però è certo che almeno la lettera agli Ebrei, la lettera ai Colossesi e agli Efesini, le due lettere a Timoteo, e la lettera a Tito non sono di Paolo. Incerta è poi anche l’attribuzione della seconda lettera ai Tessalonicesi.
Le lettere sicuramente di Paolo sono dunque, nell’ordine in cui le scrisse o le dettò, la prima e forse la seconda lettera ai Tessalonicesi (nel 51), la lettera ai Galati (nel 54-57), la lettera ai Filippesi (nel 55), la lettera a Filemone (nel 56), la due lettere ai Corinti (nel 57), la lettera ai romani (nel 58). Vengono poi le lettere attribuite a Paolo che avrebbe scritto durante la prigionia, perciò dette lettere della prigionia o della cattività, che sono: la lettera ai Colossesi (scritta tra il 60-70) e la lettera agli Efesini (certamente non paolina: del 90).
In questo gruppo rientra anche la lettera a Filemone sopra citata che invece è certamente pa-olina. Infine vengono le lettere attribuite a Paolo che per il loro carattere sono dette pastorali (altri le chiamano deuteropaoline per dire che non sono dell’Apostolo).
Sono le due lettere a Timoteo e la lettera a Filemone. A Paolo è attribuita anche la lettera agli Ebrei che è invece della fine del sec. I d.C. Queste ultime sono da datare tra il 70 e il 100 d.C. Nel presentarne il contenuto seguiremo l’ordine con cui ricorrono nella Bibbia, fatta eccezione per la lettera agli Ebri.
LA LETTERA AI ROMANI
Da Corinto, anno 58

Schema della lettera:

I. (1, 1-15) Intestazione, ringraziamento.
II. ((1, 16-11, 36) La giustizia di Dio, salvezza per fede.
III. (12, 1-15, 13) Conseguenze morali derivanti dalla nuova condizione.
IV. (15, 14-16, 27) Conclusione: motivazione della lettera e saluti. Ultime ammonizioni.

Paolo prepara il viaggio che progetta di fare a Roma, dove vive una comunità che non conosce per-sonalmente, ma presso la quale ha molti amici. E’ lo scritto più lungo e più ricco di contenuti, oltre che meglio curato sotto l’aspetto letterario. Più delle altre lascia trasparire lo stile del dibattito teo-logico nell’ambiente colto rabbinico.
Comprende frammenti liturgici, passi tipici della diatriba stoica, domande e risposte, citazioni e ar-gomentazioni in base all’Antico Testamento, inni, esortazioni ecc.
Esistono dubbi sull’autenticità paolina del capitolo 16. Forse la lettera è stata scritta sotto dettatura da uno scrivano di nome Terzo.

La salvezza viene dalla fede operosa in Gesù Cristo

Paolo espone la propria visione della giusta interpretazione dell’Antico Testamento. La Sacra Scrittura degli Ebrei prepara annuncia e prepara la venuta del Cristo.
La novità del cristianesimo è l’offerta della salvezza a tutti gli uomini, giudei e pagani, al di là della legge. Attraverso la fede operosa Dio dona la salvezza (=giustificazione) in Gesù.
La legge dell’Antico Testamento pertanto è stata completata, superata ed esautorata dal Vangelo.
Dalla radice del giudaismo si è sviluppata la pianta del cristianesimo che è l’attuazione della volontà salvifica dell’unico Dio mediante la risurrezione di Gesù.
LA PRIMA LETTERA AI CORINTI
Da Efeso, all’inizio dell’anno 57

Schema della lettera:

I. (1, 1-9) saluto e ringraziamento.
II. (1, 10-6, 20) Abusi e divisioni nella comunità di Corinto.
III. (7, 1-15, 58) Risposte a vari interrogativi postigli dalla comunità.
IV. (16, 1-24) Conclusione.

Forse questo scritto di Paolo raccoglie più di una missiva dell’autore. L’argomento delle let-tere offre una dettagliata descrizione della vita e dei problemi di una comunità delle origini formata principalmente di convertiti dal paganesimo
Anche questo scritto presenta vari esempi di forme letterarie disparate: brani catechistici, formule liturgiche, citazioni, ammonizioni, esposizioni dottrinali. L’andamento globale della lettera riflette comunque la molteplicità dei quesiti posti e delle risposte dell’autore e quindi non risulta al-trettanto unitario della lettera ai Romani.

Unità e fraternità di servizio

Paolo ci offre un esempio di come la comunità cristiana intende se stessa. La sorgente, il centro , il principio di unità, il fine ultimo della chiesa è Cristo, “capo” della chiesa che ne è il “cor-po”. In lui si ritrova l’unificazione di tutte le diversità e le tensioni che possono sorgere tra gli indi-vidui.
La vita del credente si colloca all’interno di una comunità verso la quale si pone in atteg-giamento di servizio. La condizione di salvezza sperimentata nella comunità dona libertà, ma per servire il fratello con il quale si condivide la pienezza dei doni dello Spirito.
LA SECONDA LETTERA AI CORINTI
Dalla Macedonia estate o autunno del 57
Schema della lettera:

I. (1, 1-11) Intestazione ed esaltazione di Dio.
II. (1, 12-7, 16) Giustificazione ed esercizio del ministero apostolico.
III. (8, 1-9, 15) Collette per la comunità di Gerusalemme.
IV. (10, 1-13, 10) Paolo e le sue comunità; saluti.

Questa lettera è ancora più frammentaria della precedente, tanto che si parla di molti scritti indipendenti, parti di più lettere riunificate poi sotto l’unica dicitura di seconda lettera ai Corinti.
L’autore è senz’altro Paolo, così come i destinatari sono senz’altro gli abitanti di Corinto. Anche questo scritto presenta numerose forme letterarie plasmate dallo straordinario vigore paolino.

Il ministero apostolico segno e fondamento di unità

Paolo si vede costretto a difendere nei confronti della comunità la propria autorità di Apo-stolo, dato che il suo ministero è minacciato da cristiani che vanno proponendo prospettive teologi-che legalistiche o entusiastiche diverse da quanto egli annunciò a Corinto.
Il suo messaggio si incentra solo ed esclusivamente sul Cristo morto e risorto, unico fonda-mento della speranza e della salvezza. Perciò egli è Apostolo. Il suo è un apostolato di origine di-versa da quello di dodici, ma non meno valido, perché fondato sulla coscienza di essere stato chia-mato da Gesù Cristo e di aver trovato convalida presso gli altri apostoli.
Le comunità corrono il pericolo di lasciarsi traviare da prospettive eretiche, perciò Paolo ri-badisce con vigore che il Cristo ha voluto fondare la chiesa sul ministero degli apostoli.
Di qui il dovere che l’intera chiesa collabori anche materialmente la chiesa madre di Gerusa-lemme.
LA LETTERA AI GALATI
Da Efeso, anni 54-57

Schema della lettera:

I. (1, 1-9) Indirizzo di saluto.
II. (1, 10-2,21) Il ministero apostolico di Paolo.
III. (3, 1-5, 12) La legge e la fede.
IV. (5, 13-6, 10) La libertà cristiana.
V. (6, 11-18) Conclusione autografa.

Uno dei più vivaci scritti paolini indirizzato a varie comunità della zona interna dell’attuale Turchia (chiamata allora Galazia), che l’apostolo aveva visitato durante i suoi viaggi missionari. Troviamo mescolati brani di intensa forza retorica con dissertazioni dotte, citazioni dell’Antico Te-stamento e interpretazioni bibliche ardite, ricordi, ammonizioni, argomentazioni dottrinali, maledi-zioni,istruzioni…
L’Apostolo si muove con tutte le armi a sua disposizione per rintuzzare un attaccoa suo av-viso letale per la chiesa: il tentativo di ricondurre il cristianesimo a momento, forse particolare, dell’osservanza legalistica.

La morte e risurrezione di Cristo hanno reso inutile la legge

La salvezza, secondo Paolo, è solo ed esclusivamente l’effetto, il dono della fede. La morte e la risurrezione di Cristo hanno distrutto la legge; ora l’individuo trova come unico punto di riferi-mento della salvezza proposta da dio la realtà di Cristo.
Perciò non è più necessario per l’uomo sobbarcarsi il peso dell’osservanza legalistica di norme antiche, egli è libero, di una libertà che risale alle promesse fatte da Dio ai patriarchi. In que-sta libertà scompaiono anche tutte le differenziazioni tra gli individui: il dono della salvezza non privilegia nessuno.
D’altro canto la libertà è in funzione dell’amore verso il fratello, non dell’arrogante autoaf-fermazione. Tutti coloro che affermano cose diverse da queste si pongono fuori del Vangelo, non sono veri “apostoli”, ma falsi messaggeri.

LA LETTERA AGLI EFESINI
Scritta verso l’anno 90

Schema della lettera:

I. (1, 1-2) Saluto e benedizione.
II. (1, 3-3,21) tutti sono chiamati a diventare corpo di Cristo.
III. (4, 1-6, 22) Esortazione ad una condotta virtuosa.
IV. (6, 23-24) Saluto e benedizione finale.

La lettera non è di Paolo, ma di un suo discepolo che ne riprende argomenti e, in parte, anche vocabolario. Caratteristica di questo scritto è di ricalcare in larga misura la lettera ai Colossesi, talvolta anche alla lettera.
Lo stile è più involuto di quello di Paolo e troviamo con frequenza formule e inni liturgici, esortazioni, esposizioni dottrinali, elenchi di vizi e virtù, specchi di comportamento.

Tutti gli uomini in Gesù chiamati a vita nuova

L’autore della lettera si trova a dover affrontare il problema della gnosi cristiana che ri-schiava di diventare eresia. La gnosi è un complesso di pensiero e comportamento, che vede nella religione un modo per accedere a Dio fino ad immedesimarsi a lui.
Ciò sarebbe permesso da una conoscenza (=gnosi) di tipo particolare, riservata a pochi privi-legiati. L’autore controbatte che se è vero che si può parlare, per il cristiano, di una conoscenza su-periore, questa è partecipazione alla vita divina di Cristo, non fusione con Dio, e quindi accessibile a tutti gli uomini.
Inoltre non si tratta di conoscenza teorica, bensì di partecipazione di vita, coinvolgimento di tutto l’essere attraverso lo Spirito in Cristo. Tutto ciò rappresenta il disegno di salvezza di Dio in Cristo (mistero) che “Paolo” annuncia.
Infine l’autore ribadisce il concetto di unità che deve regnare trai credenti. Il disegno di Dio per l’uomo mirava a creare una solo realtà, la chiesa di Cristo, in cui tutti, ebri e pagani, diventassero una sola cosa.
LA LETTERA AI FILIPPESI
Da Efeso verso il 55

Schema della lettera:

I. (1, 1-11) Saluto e preghiera.
II. (1, 12-26) Prigionia e predicazione di Paolo.
III. (1, 27-2, 18) Esortazioni ad imitare Cristo.
IV. (2, 19-3, 1) Messaggi personali.
V. (3, 2-4, 9) Esortazioni conclusive.
VI. (4, 10-23) Conclusione.

E’ la lettera più personale dell’Apostolo Paolo. Ricca di elementi formali che vanno dall’inno cri-stologico liturgico, all’esortazione personale, alla polemica teologica; rimane comunque la meno dottrinale delle lettere di Paolo. Il pensiero è concentrato nell’inno cristologico e nella polemica con gli avversari
In Gesù l’uomo muore al peccato e risorge a vita nuova

L’autore, nel riportare la composizione liturgica in onore di Cristo, ci ripropone una visione del grande disegno di salvezza di Dio nei confronti dell’uomo. Gesù di Nazareth è l’incarnazione del Figlio che con il suo gesto di accettazione della realtà umana offre a tutti la possibilità di acce-dere alla salvezza. Gesù diventa così il Cristo della liturgia.
La sua morte e risurrezione anticipano e determinano la risurrezione dell’uomo dopo la sua morte al peccato.
La polemica con gli avversari ripropone la gratuità della salvezza alla quale l’uomo può solo aderire per fede. La diversità tra la giustificazione che l’individuo crede di potersi accaparrare con l’osservanza della legge e l’adesione per fede al Cristo morto e risorto consiste, nella prassi quoti-diana, nell’impegno costante del cristiano che cerca di conformarsi al modello di Cristo.
LA LETTERA AI COLOSSESI
Scritta tra il 60 e il 70

Schema della lettera:

I. (1,1-2) Saluto.
II. ((1, 3-2,5) Preghiera e inno a Cristo
III. (2, 6-23) Polemica contro gli gnostici.
IV. (3, 1-4, 6) La vita del cristiano.
V. (4, 7-18) Conclusione e saluti.

L’attribuzione a Paolo è controversa, sia per il contenuto, sia per il vocabolario, sia per lo stile. ol-tretutto la questione è complicata per lo stretto rapporto con la lettera agli Efesini. Si notano moltis-simi esempi di forme letterarie di provenienza liturgica: formule, inni, confessioni di fede, accanto ad esortazioni, elenchi di virtù e vizi, specchi di comportamento.
L’ambiente di origine è quello di una comunità cristiana in cui si notano i primi sintomi di dottrine aberranti a sfondo gnostico.

Cristo centro dell’universo

Uno dei cardini dottrinali di questa lettera è la figura cosmica di Cristo che si avvicina alla sapienza tradizionale giudaica. Egli è il centro del mondo oltre che fondamento e norma della vita cristiana.
Solo con lui deve confrontarsi il credente e la comunità.
Ogni forma di salvezza promessa da esseri strani , da leggi particolari o da pratiche ascetiche, è soltanto menzogna.
LA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI
Da Corinto, verso il 51 o 52

Schema della lettera:

I. (1,1-10) Saluto e ringraziamento.
II. (2,1-3, 13) Paolo e la comunità di Tessalonica
III. (4, 1-5, 24) Esortazioni e insegnamenti.
IV. (5, 25-28) Conclusione.

E’ il più antico scritto di Paolo e di tutto il Nuovo Testamento che ci sia pervenuto. E’ un te-sto unitario, scritto quasi di getto, con uno stile cordiale. Manca la complessità della dottrina delle grandi lettere.
L’ambiente di origine è quello di una comunità giovane, ancora alle prese con il proprio consolidamento e incerta sulle prospettive che la scelta di vita adottata può comportare.

La risurrezione condizione d’essere del cristiano

L’argomento affrontato da Paolo è quello del nuovo modo di essere del cristiano dopo la conversione, l’entusiasmo degli inizi va contenuto dentro una visione obiettiva del reale.
Il messaggio cristiano coinvolge tutta la sfera della condizione umana: la vita sensibile e la vita dello spirito che è una sola cosa con quella. La salvezza è per il presente, ma il quotidiano non si esaurisce nella vita tangibile.
La risurrezione infatti è un modo di essere, nella vigilanza, nell’attesa, nella speranza, ma soprattutto nell’operosità del reciproco scambio di amore. Il momento presente è segno e germe dell’immortalità.
LA SECONDA LETTERA AI TESSOLINICESI
Da Corinto tra il 51 e il 52 (oppure di autore ignoto tra il 70 e il 100)

I. (1, 1-12) Saluto e ringraziamento.
II. (2, 1-12) Il ritorno di Cristo.
III. (2, 13-3, 15) Esortazioni e istruzioni.
IV. (3, 16-18) Conclusione.

Non è certo se la lettera sia di Paolo o di un suo discepolo, per questo anche la data è insicu-ra. Le differenze tra le due lettere fanno pensare piuttosto ad un autore successivo, ma gli argomenti non sono vincolanti.
L’ambiente di origine è una comunità turbata perchè il ritorno di Cristo (=parusia) si fa at-tendere e la fede è costretta ad affrontare ad affrontare dure prove.

L’attesa del ritorno motivo di impegno maggiore

L’autore ammonisce i destinatari a non lasciarsi traviare da annunci strani che fanno credere ormai imminente nel tempo la venuta definitiva di Cristo. L’imminenza della parusia è un fatto qualitativo e non quantitativo.
I cosiddetti segni premonitori della vicinanza di questo evento a loro volta possiedono un ca-rattere teologico di valore contenutistico e non temporale, ossia non servono a stabilire una data en-tro cui Cristo verrà. Il grande merito di questa lettera consiste nell’aver ribadito che l’idea di tempo ultimo, di lotta finale, di nuovo ritorno di Cristo, è una costante del messaggio cristiano.
L’attesa del grande avvenimento che trasformerà l’universo deve accompagnare la vita di tutte le generazioni di cristiani e indurre ad un impegno senza sosta.
LA PRIMA LETTERA A TIMOTEO
Scritta tra il 70 e il 100
Schema della lettera:

I. (1, 1-29 Saluto.
II. (1, 3-20) Le eresie. Inno cristologico
III. (2, 1-3, 16) L’ordinamento della chiesa.
IV. (4, 1-11) Le false dottrine
V. (4, 12-6, 2) Il ministero della chiesa.
VI. (6, 3-19) Le false dottrine. Inno cristologico.
VII. (6,20-21) conclusione.

E’ ormai certo che la lettera non può essere attribuita a Paolo. Il vocabolario usato, le e-resie combattute e l’organizzazione della chiesa che risulta sono indizi di un’epoca successiva a Paolo. L’ambiente di origine è una comunità che ha alle sue spalle decenni di vita, s’è data una organizzazione stabile e deve affrontare dure lotte interne a causa di dottrine aberranti che travi-sano l’autenticità del messaggio.
I generi letterari che ricorrono più spesso sono la polemica dottrinale, l’inno liturgico, lo specchio di comportamento, l’esortazione morale e l’ammonizione.

Dalla salvezza ricevuta il cristiano attinge la forza di vivere in atteggiamento di servizio

L’autore deve combattere contro tendenze teoriche e pratiche aberranti che stavano prendendo piede nella comunità. Il messaggio cristiano era travisato in oziose discussioni teori-che da un lato e utilitaristiche dall’altro.
E’ necessario ribadire il nucleo centrale dell’annuncio rappresentato dall’unicità e validità assoluta dell’opera salvifica di Gesù. questa convinzione deve capovolgere il criterio di valu-tazione dell’uomo e indurre la comunità, in tutti i suoi componenti, a condurre una vita di servi-zio vicendevole.
La stessa organizzazione della chiesa ha significato esclusivamente in questo servizio che deve garantire l’integrità del messaggio trasmesso.
LA SECONDA LETTERA A TIMOTEO
Scritta sul finire del sec. I

Schema della lettera:
I. (1, 1-5) Saluto iniziale
II. (1,6-2, 13) Esortazioni varie.
III. (2,14-4, 8) Istruzioni
IV. (4, 9-22) Conclusione.
Il dono della salvezza corrobora per superare tutte le difficoltà

Per l’autore, generi letterari, ambiente di origine, vale quanto s’è detto per 1 Tim. A diffe-renza di quanto accadeva nella precedente lettera, qui l’autore insiste più sull’intenzione di confor-tare il destinatario.
La gratuità del dono della salvezza è impegno a testimoniarla al mondo intero, anche se ciò comporta sofferenze e persecuzioni. Per il cristiano il dolore ha un senso pro fondo: partecipare alla morte di Cristo per risorgere con lui.
L’impegno costante per mettere la propria vita al servizio dell’annuncio e del fratello è la conseguenza logica del modo nuovo di vivere la realtà da parte del cristiano.
LA LETTERA A TITO
Scritta verso la fine del sec. I

Schema della lettera:

I. (1, 1-4) Saluto.
II. (1, 5-16) Il ministero del presbitero (anziano – vescovo?)
III. (2, 1-3, 11) Le istituzioni della chiesa.
IV. (3,12-15) Conclusione.

L’autore non è Paolo. Lo si coglie dallo stile piatto, monotono, dal vocabolario che presenta affinità con la filosofia popolare, il mondo ellenistico colto e l’insegnamento sapienziale giudaico, e dagli argomenti trattati.
I generi letterari vanno dall’esortazione allo specchio del ministro, dall’ammonizione alla prova dottrinale. L’ambiente di origine è una comunità cristiana travagliata da dissidi interni a causa di mestatori che creano confusione dottrinale.
E’ inoltre una comunità che cerca di trovare il proprio assestamento interno organizzandosi per vivere in questo mondo e cercando rapporti cordiali con l’autorità politica.

La rivoluzione cristiana si attua nell’amore

Il messaggio della lettera ribadisce i temi centrali dell’annuncio cristiano. La gratuità della salvezza donata da Dio mediante Cristo comporta l’impegno del cristiano a vivere in questo mondo in atteggiamento di riconoscenza, di rispetto reciproco, di obbedienza.
La convinzione che il futuro di salvezza si incarna nel presente per modificarne sostanzial-mente la qualità di vita induce i cristiani ad assumere un comportamento di responsabile collabora-zione con l’autorità civile.
Forse, alla luce delle persecuzioni subite sotto l’accusa di essere rivoluzionari, i cristiani cercano di offrire di sé un’immagindiversa.
LA LETTERA A FILEMONE
Da Efeso nel 56

La salvezza donata da Gesù Cristo è in grado di trasformare radicalmente una società dall’interno

La breve lettera di 25 versetti è opera di Paolo. Egli scrive ad un amico e discepolo per pero-rare la causa di uno schiavo fuggitivo e pentito. La circostanza particolare condiziona fortemente lo stile colloquiale e discorsivo.
Paolo senza fare del messaggio di Gesù Cristo un invito alla rivoluzione violenta per l’abolizione della schiavitù cerca di risolvere il “caso” dello schiavo attraverso una radicale tra-sformazione del rapporto individuale tra gli uomini.
Fedele al principio che la salvezza di Gesù abbatte tutte le barriere tra le persone, egli invita a trarne le conseguenze dall’interno.
Il rapporto di fraternità che si instaura tra i credenti è in grado di portare ad una valutazione del fratello, chiunque egli sia, che può obiettivamente trasformare la società molto più a fondo di quanto non riesca a fare una formale dichiarazione di principio.

XI GLI SCRITTI ATTRIBUITI A GIOVANNI
IL VANGELO DI GIOVANNI
Schema del libro:
I. (1, 1-18) Prologo.
II. (1, 19-12, 25) Gesù si rivela al mondo che lo rifiuta. Sette segni.
III. (13, 1-20, 31) Gesù ritorna al Padre. Vigilia della morte. Passione e risurrezione
IV. (21, 1-25) Aggiunta.

E’ assai difficile dire che è l’autore del vangelo attribuito dalla tradizione a Gio-vanni, che la tradizione vuole il discepolo “prediletto”. In ogni caso è evidente che come è arrivato a noi il quarto vangelo non è stato scritto di getto da un unico autore, ma rappresenta l’opera reda-zionale di un abile scrittore che ha usato moltissimo materiale più antico.
Qualcuno afferma l’esistenza di una “scuola giovannea”, ossia di un gruppo di discepoli dell’apostolo Giovanni, all’interno della quale sarebbero sorti vari scritti confluiti poi a formare il quarto vangelo, l’Apocalisse e le tre lettere.
Il redattore-autore del vangelo possiede una sensibilità linguistica di carattere ebraico, ama le ripetizioni, usa una struttura monotona, poche congiunzioni ecc. Il suo greco risulta quindi assai diverso da quello del suo tempo, ma non meno efficace.
Come data di composizione del vangelo non possiamo andare molto dopo l’anno 90, dato che possediamo un frammento di papiro, contenente alcune righe del vangelo, che risale ai primi decenni dopo l’anno 100.
La comunità in cui sorgono questi scritti ha ormai alle sue spalle vari decenni di vita, ha subito le prime persecuzioni da parte delle autorità civili, non condivide più l’entusiasmo delle chiese giovani.
Oltretutto nel suo interno sono sorte eresie che negano la reale umanità di Gesù Cristo. In ogni caso pare trattarsi di comunità dell’Asia Minore.
Gesù Cristo prosegue la sua opera nella chiesa. Il nostro è il tempo dello Spirito

La riflessione teologica di Giovanni è la più profonda e ardita di tutto il Nuovo Testamento. L’autore ha addirittura il coraggio di attribuire a Gesù affermazioni che invece sono evidentemente il risultato di un lungo periodo di maturazione nelle comunità cristiane.
L’affermazione centrale del Vangelo è che la crocifissione di Gesù di fatto fu la sua intronizzazione nella gloria dimostrata concretamente dalla risurrezione di cui le comunità cri-stiane sono segno e prova. Tuttavia questa realtà della chiesa, in cui vive Gesù, non è un elemento che l’uomo possa ignorare tranquillamente. Tutta la società e ciascun individuo non può non fare una scelta pro o contro la chiesa e Gesù.
D’altronde questo Cristo vivente nella chiesa non è un principio metafisico, ma il Figlio di Dio preesistente diventato uomo in Gesù di Nazareth. Tutta la sua vita è una progressiva manifestazione della gloria divina che inibita in lui fino al momento supremo della croce.
La comunità cristiana prolunga questa opra di Gesù perché nel suo interno con-tinua a vivere e ad operare il Cristo. I sette Sacramenti sono i segni più evidenti di questa verità.
Centro di tale comunione tra Gesù cristo e la chiesa è l’Eucaristia. La vita della comunità cristiana nel Cristo e per il Cristo è il dono più alto dello Spirito, anzi, il tempo presente, oltre che tempo della chiesa, è tempo dello Spirito.
LA PRIMA LETTERA DI GIOVANNI
Dall’Asia Minore, fine del I sec.

Schema della lettera:

I. (1, 1-4) Preambolo
II. (1, 5-2, 27) Il cristiano in comunione con Dio mediante Gesù Cristo.
III. (2, 28-4, 6) Il vero figlio di Dio ama il fratello.
IV. (4, 7-5, 12) Alla fonte dell’amore e della fede.
V. (5, 13-21) Conclusione e appendice.

Gesù Cristo uomo-Dio, esige l’amore operoso dei suoi

Circa l’autore e l’ambiente di origine vale quanto detto per il vangelo di Giovanni. Il genere letterario è invece quello dell’epistola, ossia una trattazione rivestita dalla forma della lettera in cui mancano i saluti iniziali, i destinatari e i saluti finali.
Le forme letterarie ricorrenti sono l’esortazione e la trattazione teologica. L’affermazione centrale riguarda la realtà della venuta di Cristo nella Carne testimoniata dalla chie-sa. Si vuole evitare che il messaggio cristiano cada in un’ideologia staccata dalla storia. La retta comprensione di Cristo conduce ad una vita in comunione d’amore con Gesù e con i credenti.
La redenzione non è l’effetto di una conoscenza superiore per pochi eletti (= gnosi), ma il dono fatto da Gesù a tutti attraverso la morte e la risurrezione e accolta con fede sulla parola dei testimoni.
LA SECONDA E LA TERZA LETTERA DI GIOVANNI
Dall’Asia Minore, fine del sec. I

Schema della lettera:

I. (1Gv 1-3) Saluto iniziale.
II. (1Gv 4-6) Esortazione all’amore fraterno.
III. (1Gv 7-11) Ammonizioni contro i falsi maestri.
IV. (1Gv 12-13) Saluto conclusivo.
***
I. (2Gv 1) saluto iniziale
II. (2Gv 2-8) Ringraziamento per l’ospitalità.
III. (2Gv 9-12) Lamentele per il comportamento di Diotrefe.
IV. (2Gv 13-15) Conclusione)

L’amore cristiano e il giudizio contro chi non lo pratica

Anche per l’autore e l’ambiente di origine di queste due lettere vale quanto detto per il Vangelo di Giovanni. Il genere letterario invece è quello della lettera che si avvale delle forme di esortazione, di ammonizione, di insegnamento.
Ancora una volta si ribadisce la reale venuta di Gesù nella carne umana. La dif-ficoltà che sorgono nella chiesa esigono l’impegno di tutti nell’amore, anche se ciò a volte comporta un giudizio duro e negativo verso qualche esponente di rilievo della comunità.
IL LIBRO DELL’ APOCALISSE DI GIOVANNI
Schema del libro:

I. (1, 1-20) Prefazione e visione vocazionale.
II. (2, 1-3, 22) Le sette lettere alle sette chiese.
III. (4, 1-11, 14) Le tentazioni che precedono la battaglia finale.
IV. (11, 15-22, 5) Lo scontro tra Gesù Cristo e satana.
V. (22, 6-11) Conclusione.

L’ambiente di origine di questo scritto coincide in larga misura con quello degli altri scritti giovannei. C’è però da fare una precisazione. La comunità a cui si rivolge l’opera si pone seriamente il problema del rapporto della chiesa con la società l’autorità politica. Di fatto sembra che la storia prosegua il suo cammino a prescindere da Gesù Cristo, se non addirittura seguendo leggi che si pongono contro l’insegnamento cristiano.
L’opera salvifica voluta da Dio e attuata da Gesù sembra inutile, anzi, distrutta dalle potenze politiche, militari ed economiche.
Se Gesù Cristo ha redento il mondo, il mondo da parte sua non accetta questa salvezza. L’atteso regno di Dio si sposta sempre più in là e la fede vacilla.
Il genere letterario di questo scritto è particolare. Si ricollega alle “apocalissi” dell’Antico Testamento, frequenti soprattutto negli ultimi libri profetici. Le forme letterarie più frequenti sono la visione, l’audizione, il simbolismo dei numeri, dei fatti, delle persone, degli elenchi, ecc.
Lo scopo di questo genere di scritto è quello di interpretare il presente nelle risonanze che può avere per il futuro. Il nome di apocalisse significa rivelazione – svelamento di cose segrete.
Dio, in Gesù Cristo, trionfa sulla storia con i suoi credenti

Il redattore ultimo dell’opera ci offre una sintesi di tutti i tentativi operati dalla chiesa delle origini per comprendere e spiegare il significato di Gesù Cristo uomo-Dio che vive glorificato nella sua chiesa. Questo Gesù è il Signore della storia e dell’universo e con la sua risurrezione dà inizio al modo di essere che nell’Antico Testamento era atteso come “futuro”.
La storia diventa quindi l’oggetto della fede, ma anche il luogo in cui la fede agisce. Ecco quindi che dall’esperienza della vita di Gesù di Nazareth l’autore afferma che nella storia Cristo si dimostra sovrano dell’universo, glorioso se intronizzato, ma tutto ciò attraverso la via della croce, dell’umiliazione suprema, del rifiuto più totale e radicale.
Questo è esattamente il significato delle profezie dell’Antico Testamento che lo presentavano redentore, Signore del mondo e Giudice ultimo. Le affermazioni fate per Gesù Cristo valgono anche per la sua comunità.
Il momento presente è contrassegnato dalla meschinità, dalla persecuzione, dalle difficoltà di ogni genere. Spesso la comunità soffre nel constatare la sua condizione perché si era illusa che la sua presenza nel mondo avrebbe portato a breve scadenza al glorioso trionfo del bene su tutte le potenze del male.
Invece deve prendere atto che l’esperienza è ben diversa. Ma il Regno di Dio è la gloria, il trionfo della salvezza attraverso la sofferenza e la morte. Il dolore del credente e della chiesa è il se-gno del giudizio di dio (tramite Gesù e i credenti) sul male e su satana, è la vittoria sull’anticristo.
Il martire, ossia colui che testimonia Gesù Cristo anche (non necessariamente) a prezzo della vita conferma l’inizio e il trionfo del Regno di Dio che non conosce fine.

XII LE ALTRE LETTERE DEL NUOVO TeSTA-MENTO
LA LETTERA AGLI EBREI
Scritta verso la fine del I secolo

Schema della lettera:

I. (1, 1-4) Introduzione.
II. (1, 5-2, 18) Prima parte: un uomo più grande degli angeli.
III. (3, 1-5, 10) Seconda parte: Gesù Sommo sacerdote.
IV. (5, 11-10, 39) Terza parte: compimento della salvezza nel sacrificio di Cristo.
V. (11, 1-12, 13) Quarta parte: esempi di fede dell’Antico Testamento.
VI. (12, 14-13, 18) Quinta parte: il retto comportamento.
VII. (13, 19-25) Conclusione.

La lettera è stata attribuita per lungo tempo a Paolo, ma è ormai certo che è di un autore vis-suto verso la fine del sec. I. e’ un ebreo di cultura ellenistica, assi raffinato, e convertito al cristiane-simo che scrive probabilmente da Roma. Egli intende rinfrancare la fede vacillante di alcune comu-nità cristiane, convertite del giudaismo, che erano tentate di ritornare alla fede ebraica.
L’ambiente di origine è dunque quello di una comunità provata e dubbiosa, molto addentro nella conoscenza dell’Antico Testamento. Il genere letterario è l’epistola, ossia il trattato scritto sotto la finzione di inviare una lettera nella quale mancano però i destinatari e i saluti.
Lo scritto fa molto uso di varie forme letterarie: l’esortazione, la discussione dottrinale, la citazione scritturistica, la spiegazione biblica di tipo allegorico o esortativo ecc.
La salvezza definitiva portata da Gesù Cristo

L’affermazione centrale dell’autore è che l’opera di Gesù di Nazareth, culminata con la sua morte di croce, rappresenta il sacrificio supremo e definitivo che supera ed esaurisce i sacrifici, il tempio e il sacerdozio dell’Antico Testamento.
Cristo è dunque ora l’unico sacerdote che nella sua condizione di risorto offre a tutti gli uo-mini la possibilità di accedere alla salvezza definitiva.
Di qui la conseguenza dell’invito ai cristiani ad aderire per fede a questa nuova economia della salvezza così come i personaggi dell’Antico Testamento con fede accettarono le promesse di Dio miranti a Cristo. Il dubbio sulla validità attuale del tempio di Gerusalemme e dei suoi sacrifici è fuori luogo. Essi infatti erano solo figura e preparazione del Cristo per cui alla venuta del Salvatore ultimo e definitivo hanno perso il loro significato.
Questa fede è l’unico atteggiamento valido del cristiano e l’unico sostegno che permette di affrontare e superare le prove della vita.
LA LETTERA DI GIACOMO
Scritta verso la fine del sec. I

Schema della lettera:

I. (1, 1) Saluto.
II. (1, 2-5, 20) Ammonizioni varie. Perseveranza nella sofferenza, sincerità, imparzialità, evitare le liti, amore autentico a dio, le false sicurezze, contro i ricchi, la pazienza.
L’autore non è certamente l’apostolo Giacomo, come dice l’intestazione, anzi, probabilmente in origine lo scritto non era nemmeno di autore cristiano.
Forse è stato “cristianizzato” da un tardo redattore verso la fine del secolo.
Il genere letterario è quello dell’epistola con un chiaro intento sapienziale, ossia è un breve trattato sul retto modo di vivere nella comunità cristiana. L’ambiente di origine è una comunità cri-stiana formata da convertiti dal giudaismo e che ha perduto l’entusiasmo degli inizi.
Ai grandi problemi dottrinali sono subentrate le questioni banali della vita quotidiana che o-stacolano il retto svolgersi della convivenza comunitaria.
La vita quotidiana, campo di prova della fede

L’autore dà per scontata la teologia del messaggio centrale del Nuovo Testamento che an-nuncia Gesù signore (Kyrios), Messia (Cristo), salvatore (Sotèr) per cui non approfondisce il signi-ficato intrinseco dei termini.
Invece si dilunga a svilupparne le conseguenze pratiche nella comunità. Dalla salvezza rice-vuta deriva un certo tipo di comportamento da cui è possibile verificare l’autenticità delle proprie scelte. E’ un invito alla continua conversione pratica.
Il perfezionismo nelle comunità cristiane è fuori luogo, ma ciò non significa che ci si possa adagiare in un quieto vivere. Il cristianesimo è impegno pratico, la fede deve portare alle “opere della fede”.
LA PRIMA LETTERA DI PIETRO
Scritta verso la fine del sec. I

Schema della lettera:

I. (1, 1-2) Saluto iniziale.
II. (1, 3-4, 11) Catechesi battesimale. Esortazione. Istruzione.
III. (4, 12-5, 11) Ammonizioni per il tempo della persecuzione.
IV. (5, 12-14) Saluto finale.

L’autore dello scritto non è l’apostolo Pietro, ma un suo discepolo che si richiama all’autorità di Pietro. Di fatto la lettera è degli ultimi ani del primo secolo dopo Cristo e presuppone una comunità duramente provata dalla persecuzione.
A questo scopo l’anonimo redattore che scriva da Roma prende di peso un’ istruzione catechetica battesimale alla quale aggiunge una serie di esortazioni sul modo di comportarsi durante la persecu-zione.
Risulta evidente quindi che anche questa è un epistola e non una lettera. Le forme letterarie preva-lenti vanno dall’inno all’insegnamento catechistico, dalla citazione biblica all’ammonizione morale e all’esortazione.

Gesù ha sconfitto la morte. In lui i suoi fedeli vinceranno tutte le prove

L’autore pone l’accento sulla preesistenza di Gesù che, con la sua morte espiatrice, porta la salvezza all’uomo. L’adesione dell’individuo all’offerta salvifica fatta da Dio in Gesù avviene con la fede e con il battesimo.
Nel segno sacramentale il cristiano aderisce alla morte e risurrezione di Gesù Cristo. Di qui le conseguenze per la vita concreta che riserva al fedele prove e persecuzioni. La vittoria sulla morte, prefigurata dalla discesa di Gesù agli inferi, è garanzia per il cristiano di vittoria definitiva su tutte le potenze del male che nella morte trovano la loro espressione ultima.

LA SECONDA LETTERA DI PIETRO
Scritta poco dopo l’anno 100
Schema della lettera:
(1, 1-2) Intestazione e saluto.
(1, 3-3, 16) Gli ultimi tempi.
(3, 17-18) Ammonizioni conclusive.

Il linguaggio greco assai raffinato, le problematiche affrontate, il tipo di trattazione ci dicono che l’autore dello scritto non è Pietro e nemmeno colui che ha scritto o compilato la prima lettera di Pietro. Di fatto la citazione della lettera di Giuda (2 Pt 2, 2-18 = Gd 4, 14) fa pensare ad un indivi-duo dei primi decenni del secolo II d.C. che per dare autorità al suo libro si fa passare per Pietro.
Il genere letterario è quello dell’epistola in quanto abbiamo un’omelia scritta da un giudeo-cristiano di cultura ellenistica. L’ambiente di origine è quello di un comunità che deve affrontare il problema delle profezie sulla parusia (ultima venuta di Cristo) che non si sono avverate.

Gesù Cristo verrà con certezza, perciò attendiamolo vigili

La venuta di Gesù, giusto giudice, non si misura con le nostre idee di tempo. Il fatto che fi-nora non si sia verificato questo grande evento della speranza cristiana si spiega con l’errata inter-pretazione dei segni. E’ necessario invece vigilare.
La condotta del cristiano in questo atteggiamento di prudente attesa si esprime in una vita santa, conforme al nuovo stato in cui il credente si trova.
LA LETTERA DI GIUDA
Scritta verso la fine del sec. I

Schema della lettera:
I. (1, 1-2 ) Saluto iniziale.
II. (2-23) La falsa dottrina.
III. (24-25) Conclusione.

L’autore dice di essere Giuda (Taddeo), fratello di Giacomo. In realtà è un personaggio che scrive verso la fine del primo secolo e attribuisce alle sue poche righe l’autorità dell’apostolo.
L’ambiente di origine è quello di cristiani convertiti dal giudaismo ai quali l’autore invia il breve trattatelo sulla falsa dottrina. Anche questo scritto, che nel nuovo Testamento chiude la serie delle lettere, di fatto è una epistola. Vi si trovano citazioni dell’Antico Testamento e da altri scritti giudaici non canonici, detti perciò apocrifi: “il libro di Enoc”; l’assunzione di Mosè” e “ i testamenti dei dodici patriarchi”.
Fedeltà al messaggio della salvezza

Dio è colui che salva gli uomini perché li ama e dona loro la pace e l’amore. Solo con l’aiuto di Dio i cristiani possono vincere il male e così rientrare nel piano di salvezza.
Gesù Cristo è l’origine di tutti i beni, Signore dell’universo e Redentore degli uomini. Tro-viamo anche un accenno agli angeli.
I cristiani sono chiamati a rispondere alla salvezza offerta da Dio con una retta condotta che si commisura sull’insegnamento degli apostoli. Solo così eviteranno di lasciarsi abbindolare dalle eresie degli impostori.