GENESI 1 – 2
Corso tenuto dal prof. Antonio Lurgio
Appunti da incontri presso la canonica di Canova,
PARROCCHIA SAN PIO X
Scarica qui il formato PDF

 

ANDIAMO ALL’ADAM NEL PROGETTO BIBLICO.
La cultura semitica racconta, non definisce, è esistenziale e non teoretica…

Ed infatti splendidi sono i due racconti di Gn 1 (legato all’esperienza dell’ esilio babilonese) e Gn 2 (a quella di Mosè e del cammino del Sinai).

Per Gn 2,7 (“Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue
narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”) l’Adam è l’essere umano indifferenziato (né maschio né femmina) nelle componenti essenziali che lo legano alla terra (da cui è tratto).

Tale essere umano indifferenziato è ancora una creatura incompleta, non ha raggiunto la pienezza della propria umanità.

In Gn 2,6 l’autore scrive che un’esalazione esce dalla terra e inumidisce la superficie del suolo.
La terra è “Adamah”, cioè il femminile di “Adam”.
L’Adamah secerne un’umidità grazie alla quale Dio “modella/forma” l’Adam.

La prima consonante è “Alef” che numericamente significa “Uno” e cioè “unità-comunione”.
Segue “Dam” che significa “sangue” e cioè la “vita dell’uomo”.
“Adam” è il progetto di comunione di Dio che vuole l’uomo partecipe della sua intimità.

La tradizione rabbinica parlava di un pentagramma come originale nome di Dio con al centro la lettera “Alef”. Poi l’Alef rompe l’unità e fuoriesce: da ciò il Tetragramma.
Passa nell’Adam per ricongiungersi al Tetragramma e riformare il Pentagramma. Ciò avverrà, secondo la teologia giovannea, nell’ultimo giorno e cioè nella pasqua di Gesù di Nazareth.
Il sonno profondo di Gn 2,21 richiama le tenebre dell’origine e il processo “morte-risurrezione” di Adam che sta vivendo una sua nuova creazione.

Come per Dio così per Adam si verifica una separazione-lacerazione: dal suo fianco nasce Isshah (donna-femmina) femminile di Ish (uomo-maschio).

La lacerazione è un parto.
Dalla lacerazione in Dio ha origine la creazione, dalla lacerazione in Adam ha origine la coppia “uomo-donna”, “maschio (zakàr=pungente) e femmina (neqebàh=perforata)”. Chiara allusione agli organi sessuali.

La lingua ebraica è descrittiva e perciò parte dalla realtà che vede per raccontare…

Gn 2,23: Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà isshah (donna) perché da ish (uomo) è stata tolta”.
“Questa” in ebraico è “zot”.

Dal libro del Levitico: “vezot haberakah” = “la benedizione è zot”.
La benedizione è ciò che l’uomo vede uscire da sé compiacendosene.

Dal sonno profondo, segno del morire, al risveglio con davanti a sé tutto ciò che aveva nel ventre/dentro di sé.
Vedendo la sua interiorità proiettata davanti a sé, vede lì la sua benedizione (creatrice) e gioisce come ha gioito Elohim quando l’Adam è uscito dalla propria rottura/Iacerazione creatrice.

La solitudine dell’Adam dei vv. 2,18-20 “non è bene che: l’uomo sia solo” non è quella dell’uomo che ha bisogno della donna in un rapporto funzionale/strumentale (procreazione…), ma l’aiuto a lui corrispondente è l’altro a cui si racconta e a cui ci si pone in ascolto.

Se vogliamo essere pignoli, l’Adàm-umanità era qualcosa di imprecisato e Dio di fronte a ciò dice: “Non è venuto bene” (questa è la traduzione esatta).
Cioè l’Adàm solo non è cosa buona, non è riuscito bene, “facciamolo rapporto-relazione”, questo significa “facciamogli un aiuto che gli sia simile”.

Il testo ebraico parla di “kenegdo” che significa: “rendiamolo capace di guardare negli occhi, di consegnarsi, di raccontarsi”.
Se non diventa rapporto, significa che non è riuscito bene.

L’Adam di fronte alla donna diventa uomo, dalla relazione con l’altro all’autocomprensione di sé.
Due esseri identici non hanno nulla da donarsi per arricchirsi vicendevolmente, nulla che l’altro non abbia già.
Ma due “sposi” che stanno uno di fronte all’altro in reciproco “ascolto-accoglienza”, diventano l’uno per l’altro rivelazione della benedizione divina.
La coppia diventa rivelazione della Presenza divina in modo straordinario e cioè sacramentale.

Il Talmud babilonese scrive: “Quando l’uomo e la donna sono degni dell’amore, la Shekinàh-Presenza di Dio è con loro; quando invece non ne sono degni il fuoco li consuma” (Sotah 17°).

Figlio inizia con la lettera “bet” (seconda lettera dell’alfabeto e valore numerico 2) che è la prima lettera (berescit) del racconto della creazione secondo Genesi.

La lettera è aperta in avanti (al futuro) e non indietro (al passato) e ciò significa, per la tradizione rabbinica, che Dio è colui che sta davanti al popolo a creare la sua storia come è davanti alla creazione che continua con la sua azione.
La creazione non è un fatto che appartiene al passato, ma la continua azione di Dio con la collaborazione dell’uomo.
La lettera “bet” richiama il Dio che esce per creare la sua storia con l’uomo. L’uomo è oggetto della benedizione di Dio per cui è capace di collaborare alla sua creazione.
Generare il figlio significa realizzare questo processo creativo.

Per il popolo ebreo la famiglia è la struttura costitutiva non in quanto istituzione legale, ma in quanto realtà che nasce dall’intima comunione di Elohim con Adam.

In Gn 1, 22 gli animali sono oggetti della benedizione di Dio.
In Gn 1, 28 è l’uomo “maschio-femmina” oggetto della benedizione di Dio.

In accadico “kara-bu”: pregare, consacrare, benedire, salutare.
In arabo “baraka”: beneficio, flusso benefico che viene da Dio…per cui salute, felicità…
In ebraico (radice “brk”): “barak” (verbo) dotare di forza vitale; “bera-ka” (sostantivo) forza vitale/salutare, ma ha anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio.
Ginocchio è un eufemismo per indicare gli organi sessuali maschili (i genitali e cioè alle fonti della vita): l’accadico “birku” ginocchio e grembo.

(Discendenza in ebraico è zera, mentre il greco biblico traduce con sperma, Gn 12,7 e Gal 3,16).
“Benedire” è trasmettere la propria capacità generativa a un altro rendendolo fecondo
(nella tradizione ebraica è l’uomo che genera/trasmette la vita).
La benedizione è unica e una volta data non può più essere tolta.

Dio che benedice significa il trasmettere la sua potenza vitale, la sua capacità generativa per rendere partecipi della sua paternità generante.
Quando è l’uomo a benedire significa che trasmette tutta la propria energia di vita a colui che è benedetto.
Chi benedice è responsabile della vita di colui/coloro che benedice.
Interessante leggere Gn 27 dove Giacobbe ruba al fratello Esaù la benedizione del padre lsacco.

Tutta la Bibbia è la storia di Dio con la famiglia umana, e alla fine è una storia di famiglie.
L’unico uomo che non ha famiglia è Melchisedek e di lui non si conosce il padre (nella polemica insita al sacerdozio israelitico, Melchisedek rappresenta il progetto di Dio di fronte alla casta sacerdotale di Aronne).

Ritorniamo a Gn 1-2.
Gn 1, 2: “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”.
Il verbo ebraico significa “covare le acque/fecondarle”, gesto del coito e cioè rapporto sessuale completo.
Assume anche il significato di “rompere le acque”, è il segno del parto che inizia…

Gn 2, 6 dice la stessa cosa come abbiamo già visto precedentemente.
Ciò richiama l’amore sponsale del Creatore per la sua creatura.

In Gn 1 il Creatore per sette volte grida il suo “tov” che indica il suo compiacimento e il suo godimento.
Dio contempla ciò che crea, se ne innamora e grida il suo godimento…

Gn 1-2 non sono il ricordo di una età dell’oro irrimediabilmente perduta o la descrizione dell’uomo perfetto, ma progetto di una creazione da “farsi/costruirsi”: non ciò che sta indietro, ma ciò che deve impegnare il futuro dell’uomo e di Dio.

La creazione è da costruire… Gn 1-2 non è il la cronaca di come sono andate le cose, ma il progetto di come devono andare.