Antonio Lurgio
Appunti da incontri presso la canonica di Canova,
PARROCCHIA SAN PIO X – 2007 -2008
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PREMESSA
Thomas Merton (monaco cattolico) dopo aver incontrato il mondo orientale scrive nel suo “Diario asiatico”:

“La verità è quella che porta in nessun luogo o, almeno, è quella che porta al luogo del nessun io. La verità non può essere posseduta da nessuno; essa non è di nessuna autorità per chi vuole avere un’autorità; non ha nessuno scopo e per chi volesse utilizzarla non gli è permesso. E’ la verità della non verità. Non è riconoscibile come verità: è senza indicazioni, non è particolare e nessuno può dire <è questa> oppure <è quella>…”.

Quando si ha l’elenco di tutte le verità, questa non è nell’elenco. Voler definire la verità, significa decretarne la fine.
Introduzione importante per riflettere sul monoteismo e sul rapporto fra i tre monoteismi storici.

Il Talmud, raccolta delle tradizioni dell’ebraismo attraverso le interpretazioni dei rabbini, dice che il testo ha almeno settanta interpretazioni, tutte autentiche, tutte vere, nessuna da condannare.
Non esiste un solo punto di vista, ma infiniti (il punto di vista è semplicemente la vista da un punto). Se noi affermiamo che Dio è infinito, allora sono infiniti anche i modi di approccio a Lui e di esperienza di Lui.

Quando Dio si rende presente a Mosè attraverso il segno del roveto ardente, gli dice:

“Dirai agli israeliti: il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi” (Es. 3, 15).

Non è un Dio che va bene per tute le stagioni e di cui tutti possono fare la stessa identica esperienza.
Abramo ha fatto l’esperienza dello stesso Dio di Isacco e Giacobbe ma ognuno in modo diverso dall’altro. Sono esperienze uniche, irripetibili. La percezione che di Dio ha Abramo non è la stessa di Isacco e Giacobbe; hanno un incontro vero-autentico ma diverso, profondamente e totalmente differente. Non si negano, ma non è la stessa esperienza. Anche l’esperienza di Mosè sarà diversa… e così la nostra.

Questa molteplicità di incontri con Dio è l’autentica caratteristica del Dio vivente, radicalmente diversa e agli antipodi col Dio delle formule sempre uguali per tutti.
L’autore biblico vuol dire che l’esperienza di Abramo con Dio non può essere normativa e quindi vincolante per Isacco, Giacobbe e coloro che verranno dopo, ma che sono realtà arricchenti per la storia dell’incontro tra Dio e il suo popolo e tra Dio ed ogni uomo.

E’ un Dio vivo, che cambia. Non sempre identico a se stesso, ma continuamente nuovo nell’incontro con ogni uomo. E’ un Dio “uno”, non “unico”.

La tentazione e il rischio di fondo del monoteismo è quello di coniugare ”uno con unico”. Una sola esperienza di Dio che diventa l’unica esperienza vera/autentica di Dio. Ma questo non è più monoteismo, bensì “monolitismo” (un grande masso/pietra senza vita e che diventa di ostacolo agli altri e nel finirci sotto si resta schiacciati…quante immagini di Dio anziché suscitare vita nelle persone, le hanno tramortite?).
Questo è il nostro rischio oggi: siamo monolitici, abbiamo un monolitismo culturale dentro di noi, non siamo abituati a spaziare su diverse possibilità e tutto ciò trova sbocco anche in ambito religioso per cui siamo diventati teologicamente monoliti.

Il monolitismo teologico porta all’idolatria e cioè a fare del Dio in cui crediamo un idolo costruito da noi e che diventa punto di riferimento per tutti (non più il Dio che sta davanti, che precede, della storia da realizzare insieme, ma quello delle passate esperienze…).
Il confrontarsi con un idolo è terribile perché diventa un qualcosa di talmente duro e inflessibile che per aderirvi devo anch’io diventare duro e inflessibile (per dio si può morire e anche uccidere).
I monolitismi monoteistici si spezzano, ma non si piegano.

La nostra tradizione biblica ci dice che l’umanità è stata creata a immagine di Dio (Genesi 1). Ma Dio ha infinite immagini e io a quale immagine di Dio sono stato creato?
Il testo biblico ci ricorda anche di non farci alcuna immagine di Dio e cioè di evitare ogni tentativo di definire Dio rinchiudendolo in una formula uguale per tutti e per ogni tempo.

Ecco perché Dio è un Dio dell’esodo, dell’emigrazione… Quando l’uomo ha costruito la città e una torre, quella di Babele, Dio ha distrutto tutto (Gn 11).
Agli uomini che volevano un’unica grande città, un’unica lingua, un unico pensiero, un’unica politica, un unico governo, un’unica economia, un unico Dio (…) Dio scende e annienta il loro progetto e “fece-creò” la “confusione”.

Noi cerchiamo l’unità e Dio cerca il pluralismo; noi cerchiamo l’unicità e Dio cerca la molteplicità; noi cerchiamo il monoteismo e Dio cerca…
Dio ha rimandato l’uomo a emigrare perché l’emigrazione è l’incontro delle diverse idee e diverse immagini di Dio. L’uomo è rimandato nel mondo per cogliere che non c’è un’unica immagine di Dio, della verità, del comportamento, della morale, della religione, dei riti, delle cerimonie…

Un camino questo che deve portare l’uomo a non dire più “io sono”, ma “io sto diventando-mi muovo-cambio”.
INTRODUZIONE STORICO-TEMATICA ALL’ISLÀM
Questo lavoro si rende necessario a causa di una nostra conoscenza non sempre adeguata delle fonti, avvenimenti storici e dati culturali relativi alla religione islamica.

Islàm è una religione più qualcos’altro (politica e Stato). E’ una religione fondata su “Il Libro/Corano” e basata sulla “Legge” e che trova applicazione attraverso una comunità che fa applicare la legge.

Nel mondo islamico per chiudere una discussione si dice: “Sta Scritto”. Ciò che Dio ci ha detto è lì, nel libro.
La scienza per eccellenza nell’Islàm non è la teologia (come intelligenza critica della fede), ma la “giurisprudenza”.

Corano e Sunna (= tradizione ed è composta dai detti e fatti della vita del profeta) sono le due grandi fonti normative da cui si deduce come “ci si deve comportare”.

Umma (= madre / mamma) è l’intera comunità musulmana: sia locale sia universale.
Com-unità: tensione verso l’unità…tutti insieme.

Per il Corano, la Umma è una comunità che ordina il bene e proibisce il male:

“Sorga da voi una nazione (in arabo è Umma ed ha sempre un connotato religioso) che invita al bene, promuove la giustizia e impedisce l’iniquità: ecco i fortunati” (sura 3, 104).

Cioè la comunità si fa carico dell’applicazione della legge di Dio e guida/accompagna il singolo individuo facendolo crescere. L’Islàm non lo si vive singolarmente/individualmente.

L’Islàm non conosce la distinzione tra città di Dio e città dell’uomo, ma vuole fare della città dell’uomo, la città di Dio (cfr. esperienza del monachesimo nel cristianesimo…e della cristianità medievale).

Il 622 è l’anno dell’égira (=emigrazione). Maometto alla Mecca era il capo di una delle tante religioni presenti…
In quell’anno viene chiamato da un’altra città di nome Yatrib (400 km a nord della Mecca) perché erano venuti a sapere che era un uomo saggio/giusto e quindi lo invitano a governarli perché hanno deciso di accettare il suo messaggio…

Questo è l’esodo di Maometto. Qui nasce l’Islàm, perché l’Islàm nasce lì dove può diventare una comunità che governa. Maometto non ha mai detto: “il mio regno non è di questo mondo”.
L’Islàm deve obbedire alla legge di Dio e deve costruire un società a misura di questa legge.
Maometto è insieme più cose: profeta, capo politico, giudice, legislatore, capo militare…

Yatrib cambierà nome e verrà chiamata Madinat = Città (per eccellenza). Medinat al nabì = città del profeta.
“Dina” in arabo vuol dire “religione”: la città che vuole fare della religione il suo centro (come Ginevra per Calvino…).

Da ciò, il capo politico in un certo senso deve essere chiamato alla santità.
Califfo = sostituto (di Dio) deve guidare la comunità sulla via di Dio obbedendo alle sue leggi, così le persone possono essere felici…

Ciò è stato raggiunto con Maometto e con i 4 califfi ben guidati (epoca d’oro dell’Islàm).

L’Islàm dice: noi dobbiamo fare quello che già hanno fatto i nostri “nonni…” all’inizio. Il nostro futuro è nel nostro passato. Nel primo secolo della propria storia l’islam conquista un territorio che non è riuscito a nessun altro impero della storia…

L’Islàm sciita nasce per una questione politica: chi deve essere il nuovo califfo e chi ha il diritto di eleggerlo…in un certo senso per una questione democratica di elezione… L’Islàm non conosce il feudalesimo (che di padre in figlio ci si trasmette un titolo…). Il titolo lo si conquista.

Se si chiede a un musulmano in cosa crede, ecco la risposta: Dio è uno e non ha associati (…) nel Corano…

L’Islàm dice che anche Ebrei e Cristiani hanno ricevuto la stessa rivelazione (non una diversa), ma che poi l’hanno cambiata. Il Corano parla della Torah e del Vangelo. Il Corano dà per scontato la Bibbia, ne cita persone…

“Dio! Non c’è divinità all’infuori di lui, il Vivente, l’Assoluto! Egli ti ha rivelato il Libro che contiene la verità, a conferma delle Scritture precedenti. Già prima infatti aveva rivelato il Pentateuco e il Vangelo, guida degli uomini; ora poi ha rivelato il Corano, criterio del bene e del male. In verità, quelli che non credono alle rivelazioni di Dio avranno un crudele castigo, perché Dio è potente e sa vendicarsi. Nulla è nascosto a Dio in terra e in cielo (…) La sola vera religione agli occhi di Dio è l’Islàm. Coloro cui fu dato il Libro discordarono tra di loro solo dopo aver conosciutola verità e per mutuo malanimo. Ma chi non crede alle rivelazioni di Dio sappia che Dio è veloce nel fare i conti” (sura 3, 2-5.19).

Tutto ciò ha senso in una società musulmana, ma dove i musulmani sono piccola parte?
Cosa significa essere musulmani se non si possono fare tutte queste cose?

L’Islàm non ha una teologia della minoranza, dell’essere minoranza…
L’Islàm più che un’ortodossia è un’ortoprassi…

L’Islàm implicitamente si concepisce come maggioranza. Ai tempi della riconquista della Andalusia e della Sicilia da parte dei cristiani, veniva detto ai musulmani di tornare ai propri paesi perché diventava impossibile per loro vivere l’islam… Non si può vivere l’islam nella sua completezza in un paese non islamico.

Questo è un problema teologico-giuridico molto importante e interessante oggi a seguito dell’immigrazione di musulmani in paesi non islamici…

Islàm sunnita: senza clero né ortodossia…
Islàm sciita: con clero, ortodossia, angelologia, martirio…

Corano – Sunna (la tradizione) – Hadith (i detti del profeta).
Hadith è la raccolta di parole e atti di Maometto come pure la sua approvazione di parole e atti compiuti alla sua presenza.

“Sunnat al nabi” (la tradizione del profeta) è fissata nell’Hadith ma comprende anche gli esempi dati dai primi compagni di Maometto.

Il Corano dà la base e i princìpi, l’Hadith e la Sunna completano questi insegnamenti per adattarli al presente appoggiandosi al modello dato dai primi credenti.

Dall’Hadith n. 2 della raccolta dei 40 Hadith di An-Nawawi.

In presenza di Umar che sarà il secondo califfo (633-644), Maometto risponde a un personaggio sconosciuto che gli viene a chiedere i principi fondamentali del suo insegnamento. Sono i famosi cinque pilastri o sostanza dell’Islam e che sono 5 pratiche sociali e collettive…

• “Non c’è Dio all’infuori di Dio e Maometto è il profeta di Dio“.
• La preghiera (5 volte al giorno) anche se fatta individualmente è un atto collettivo (stessa ora…). Per gli Ebrei la preghiera ufficiale è prevista tre volte al giorno.
• Digiuno nel mese di Ramadan. E’ un mese di recupero della dimensione sociale (ci si incontra con amici, parenti…).
• Elemosina (tassa sul culto per i poveri, per la diffusione dell’islam).
• Pellegrinaggio alla Mecca.

Nel corso del dialogo vengono chiariti altri punti.
Alla domanda di cos’è il retto comportamento viene risposto: “Che tu adori Dio come se lo vedessi. In ogni caso, anche se tu non lo vedi, lui ti vede”.

Alla domanda sull’ora del giudizio, la risposta è: “Su questo punto l’interrogato non ne sa più di chi lo interroga”.

In realtà il personaggio al quale Maometto sta rispondendo, senza saperlo perché si rivelerà dopo, è l’arcangelo Gabriele e la sua apparizione vuole essere una conferma dell’insegnamento del profeta.
Per la maggioranza dei musulmani non viene fatta la critica delle loro fonti, per cui il testo comunica l’essenziale dell’Islam con la garanzia dell’autorità divina (in realtà è un circolo vizioso…ci si autolegittima).

Penisola arabica e Arabi prima dell’Islam: non esisteva uno stato né un governo arabo riconosciuto.
Gli Arabi vivevano in tribù disperse e rivali fra loro e non sottomesse a un governo centrale.

Nel VI secolo l’impero bizantino dominava una parte di questa penisola e controllava tutto il vicino oriente.
L’altra parte era controllata dall’impero sassanide di Persia che dominava la Mesopotamia e l’Iran.
Sia l’uno che l’altro cercavano di controllare l’Arabia grazie all’aiuto delle tribù arabe che vivevano vicino ai loro confini.

I Lakhmidi, tribù al servizio dei Sassanidi, erano dei cristiani nestoriani.
I Bizantini si appoggiavano ai Ghassanidi, cristiani monofisiti, che si erano stabiliti a sud-est della Palestina.
Ma i Ghassanidi non hanno avuto sempre buoni rapporti coi Bizantini.
Altra importante comunità cristiana era a Najran, alla frontiera dello Yemen.

Gli Ebrei erano presenti nello Yemen, a Khaybar e a Yathrib ed erano soprattutto agricoltori.
Il monoteismo quindi era già presente in questi luoghi.

Ogni tribù araba si comportava come stato indipendente, amministrandosi per proprio conto e nominando un capo, tra gli anziani e i saggi, che aveva come compito quello di guidare il proprio gruppo secondo il bene generale.

Una delle tribù più importanti era quella di Qoraish che viveva alla Mecca dove esercitava il controllo dal quinto secolo, importante città perché provvista di acqua .

Nella Mecca c’era il santuario della Kaaba (la Sacra Casa) conosciuto come eretto da Abramo e di questo santuario la tribù di Qoraish ne aveva la custodia e ne doveva assicurare il servizio.

La gente vi andava già in pellegrinaggio almeno una volta all’anno prima dell’avvento dell’Islam.
Il sistema religioso del luogo era politeistico (politeismo semitico) e al di sopra di tutte le divinità vi era “Allah”.

Vi erano anche tre divinità femminili: Manat (dea della fortuna – il destino), Al-Lat (femminile di Allah e dea della fecondità), Al-Uzzà (dea dell’amore e protettrice della Mecca-potenza), ed erano dette le figlie di Allah.

A questo proposito vediamo la questione dei cosiddetti versetti satanici, così chiamati perché considerati ispirati da satana che in un primo momenti erano presenti nel testo coranico e poi espunti.

“Nessun messaggero o profeta abbiamo mandato prima di te senza che, quando essi trasmettevano messaggi di speranza, Satana non interferisse nei loro messaggi. Ma Dio annullerà l’interferenza di Satana e confermerà i propri segni, perché Dio è sapiente e saggio” (sura 22, 52).

I commentatori deducono da questo versetto che vi sono state interpolazioni di Satana nel testo, ma che poi Dio le ha eliminate con versetti successivi. Da qui deriva anche la questione dei versetti abrogati e abroganti che vedremo più avani.

“Che ne pensate di Al-Lat, di Al-Uzzà e di Manat, il terzo idolo?” (sura 53, 19-20).

Una tradizione islamica dice che Maometto, arrivato a questo punto, avrebbe aggiunto due versetti in lode a queste divinità femminili e cioè:

“Sono dee sublimi e si deve sperare bene dalla loro intercessione”.

Siamo all’interno di una problematica complessa. Il monoteismo è lo specifico dell’Islam. Ma agli inizi c’è stato un momento delicato. Come per l’ebraismo si è passati dalla monolatria al monoteismo attraverso un processo storico…
Non è improbabile agli inizi una situazione di compromesso/adattamento (come per gli inizi dell’ebraismo e del giudeo-cristianesimo…).
Probabilmente Maometto voleva ingraziarsi la componente degli “idolatri” della Mecca ed infatti queste parole furono da loro accolte con entusiasmo.

Questi versetti risultavano particolarmente rischiosi per il nascente monoteismo islamico e Maometto li ripudiò dichiarando che erano stati ispirati da Satana e furono sostituiti con gli attuali versetti 21-23:

“Voi dunque avreste i maschi e Dio le femmine? E’ una spartizione ingiusta! Altro non sono che nomi inventati da voi e dai vostri padri: Dio non ve ne ha data alcuna autorità! I miscredenti non seguono che congetture e passioni del loro animo: eppure hanno già ricevuto dal loro Signore la giusta direzione” (sura 53, 21-23).

Nel testo ufficiale del Corano i versetti “satanici” non vengono menzionati e perciò risultano assenti nella mentalità della gente comune.

Dopo questa situazione iniziale l’attività di Maometto e dell’Islàm è stata per la diffusione del monoteismo tra gli abitanti politeisti dell’Arabia.

La Mecca era al crocevia di strade che andavano dallo Yemen alla Siria e dalla Palestina alla Mesopotamia. La tribù di Qoraish lavorava nel commercio e trasporto merci.
La situazione generale, a livello economico-sociale, conosceva condizioni agiate e soddisfacenti.

Aspetti positivi degli Arabi pre-Islàm: generosi, fedeli ai patti, proteggevano i vicini, rispetto della gerarchia, i giovani rispettavano gli anziani.
Aspetti negativi: vendetta, bere alcol, seppellire le ragazze vive.

A livello religioso la gran parte era pagana, molti idoli erano anche nella Kaaba. Alcuni adoravano il sole e la luna.
Il Corano chiama questo periodo “Jahiliyya”, cioè della ignoranza.

Maometto nacque intorno al 570 (secondo alcune tradizioni il 1^ settembre) presso la Mecca. Era membro della tribù di Qoraish. Suo padre morì prima che nascesse e sua madre quando aveva 6 anni. Di lui si presero cura prima il nonno e poi lo zio. Si sposa a 25 anni con Khadija, una ricca vedova di 40 anni.

La rivelazione avviene sul monte Hira (Maometto ha 40 oppure 43 anni): apparizione di Gabriele.
Il 18 del mese di ramadan del 610 scende la sura 96 “Iqra” vv. 1-5:

“Proclama, nel nome del tuo Signore che ha creato: che ha creato l’uomo da un grumo di sangue (ndr la sura ora si chiama “Il grumo di sangue” in riferimento a questo v. 2)! Proclama! Nessuno infatti è generoso come il tuo Signore! E’ lui che ha insegnato a usare la penna, ha insegnato ciò che l’uomo non sapeva”.

L’angelo Gabriele lo salutò: “Salve a te, o Muhammad, apostolo di Dio”. Poi Maometto lasciò Hira e tornò a casa.

“Iqra” significa “recita/leggi ad alta voce/proclama” ed è un rimando al libro di Isaia dove si legge:“Grida a squarciagola, non aver riguardo” (Is. 58, 1).
Dalla stessa radice deriva Qur’an (Corano, cioè recitazione ad alta voce).

Mentre Maometto dormiva coperto da un mantello, Khadija va da un suo parente cristiano a chiedere informazioni sull’angelo Gabriele. Lui le risponde che è l’intermediario fra Dio e i profeti. Lei gli racconta l’accaduto e lui le chiede se ha ricevuto l’incarico di chiamare gli uomini. Se ciò fosse vero significava che aveva ricevuto una missione da parte di Dio.

Mentre Khadija torna a casa, Gabriele gli appare e scende la sura 74 “Colui coperto da un mantello” vv. 1-7:

“O tu, coperto dal mantello! Alzati e ammonisci! Glorifica il tuo Signore! Purifica le tue vesti! Fuggi l’abominazione! Non essere generoso sperando di ricevere ancor di più! E pazienta, per amore del tuo Signore”

Khadija crede e anche il suo parente…iniziano così le conversioni all’Islam.
Le varie rivelazioni vengono chiamate discese (movimento dall’alto verso il basso)…

Gli studiosi musulmani distinguono 2 periodi nella discesa: quello meccano e quello medinese.
Altri studiosi procedono con elementi di critica quale stile/temi (…) e distinguono 4 periodi:
tre per il tempo di soggiorno alla Mecca con temi più religiosi (escatologia, monoteismo, profeti anteriori a Maometto, onnipotenza divina) e uno dal momento di arrivo a Medina con attenzione alla comunità musulmana (politica, diritto…).

I primi temi della predicazione islamica sono: Dio esiste, è creatore/provvidente, chiama gli uomini alla conversione e cioè a fare il bene ed evitare il male, il giudizio finale.

Le sure sono 114 e, esclusa la prima che serve come introduzione alla preghiera, sono ordinate non in senso cronologico ma per lunghezza: da quella più lunga che è la numero 2 (titolata “La Vacca”) all’ultima.

Dal punto di vista della redazione storica, le sure brevi sono del periodo meccano e contengono elementi con tematiche prevalentemente teologiche ed esposizione a volte in forma poetica.

Quelle del periodo medinese sono lunghe ed hanno come obiettivo l’aspetto giuridico per strutturare la nascente comunità islamica.
TAPPE IMPORTANTI DELLA VITA DI MAOMETTO
Dal 610 al 613. Predicazione nascosta e pochi meccani si convertono. Fede vissuta in un primo momento a livello privato per poi affacciarsi all’ambito sociale dando inizio a problemi di convivenza con gli abitanti della Mecca.

Dal 614 al 622. A Maometto viene rivelato di rendere pubblico il messaggio: “Ammonisci i più vicini a te della tua tribù” (26, 214).

Nasce così l’opposizione e una forma di persecuzione/emarginazione: i meccani non vogliono abbandonare i propri costumi e credenze politeiste.
Ecco allora che arriva la rivelazione: contro Abu Lahab (zio di Maometto) e sua moglie:

“Periscano le mani di Abu Lahab e perisca anche lui. A nulla gli gioveranno i suoi beni e i suoi guadagni. Arrostirà in un fuoco fiammeggiante insieme a sua moglie, portatrice di legna, con una corda di fibre di palma intorno al collo” (sura 111, 1-5).

Maometto e i primi credenti furono “pazienti/resistenti” all’opposizione… Da ciò la pazienza è un grande valore islamico (come abbiamo già visto nella sura 74, 7).

Verso il 615 l’opposizione alla nuova fede si fa più forte, alcuni furono costretti ad abiurare, ma non fu toccato Maometto a causa dell’importanze della sua famiglia e della protezione dello zio Abu Talib (non convertito ma protettore di suo nipote).
Si converte invece Omar Ibn el Khattab (secondo califfo ben guidato).

Predicazione di Maometto: insistenza sull’unicità di Dio che viene chiamato: “al-Rahman = Il Misericordioso” e annunciato come colui che punirà l’infedele…

Sempre nel 615 Maometto consigliò ai suoi di recarsi in Etiopia (cristiana) per sicurezza…
Andarono in 80 tra cui Otman Ibn Affan (terzo califfo ben guidato).
Furono ben accolti e il re cristiano rifiutò la loro estradizione alla Mecca dove avrebbero subito la persecuzione…

Nel 619 muoiono la moglie Khadija e lo zio Abu Talib. E’ la perdita per Maometto della protezione della sua tribù.
Diventa capo Abu Lahab, suo zio e suo avversario. Maometto pensa di emigrare…

A partire dal 620 Maometto inizia a predicare ai pellegrini che arrivano alla Mecca, visto che con i suoi compaesani i risultati erano insoddisfacenti.
Molti discepoli di Maometto iniziano a partire per Yathrib… la tribù di Qoraish vede diminuire il suo potere e si pensa di uccidere Maometto.
Maometto viene a conoscenza del piano e riesce a fuggire (aveva 52 anni)…
Siamo al 24 settembre 622.

A Medina Maometto diventa allo stesso tempo capo spirituale e politico della comunità.
Per quanto riguarda la teologia, il dogma della nuova fede è già completo alla Mecca.

Alcuni importanti conflitti militari.
Dal 622 al 627: fase di difesa della comunità. Piccoli scontri del tipo della razzìa a danno delle carovane dei meccani dirette in Siria.

Nel gennaio 624 c’è uno scontro a Nakhla con una carovana proveniente dallo Yemen: un meccano viene ucciso e due vengono fatti prigionieri:

“Credevate forse di entrare nel giardino del paradiso senza subire prima le prove che subirono quelli che vissero prima di voi? Essi furono colpiti da avversità e disgrazie e ne furono così scossi che il Messaggero di Dio e quanti credevano insieme a lui dissero: Quando verrà l’aiuto di Dio? Ma forse che l’aiuto di Dio non è sempre vicino?” (sura 2, 214).

La carovana ritornava dal pellegrinaggio alla Mecca e si era verso la fine del mese sacro di Ragiab, periodo di pace per consentire il pellegrinaggio, e non si aspettava l’attacco.
A giustificazione di ciò ecco la rivelazione:

“Ti domandano se è lecito combattere nel mese sacro. Rispondi: Combattere in quel mese è peccato grave, ma ancor più grave è agli occhi di Dio distogliere dalla via di Dio, non credere in lui, profanare il Sacro Tempio e scacciarne la gente. La sovversione è peggiore dell’uccisione. I miscredenti continueranno a combattervi finché non vi avranno fatto rinnegare la fede, se ci riusciranno. Quanto poi a quelli di voi che rinnegano la fede e muoiono da miscredenti, vane saranno le loro opere in questo mondo e nell’altro: finiranno nel fuoco e vi resteranno per sempre” (sura 2, 217).

Nel febbraio 624 Maometto cambia direzione per la preghiera (a causa dei contrasti con le tribù ebree): da Gerusalemme alla Mecca.

Direzione verso Gerusalemme:
“A Dio appartiene l’oriente e l’occidente e, in qualsiasi direzione vi volgiate per pregare, là è il volto di Dio, perché Dio è immenso, sapiente” (sura 2, 115).

Direzione verso la Mecca:
“Gli stolti diranno: Che cosa ha fatto loro cambiare la direzione verso cui si rivolgevano nella preghiera? Rispondi: A Dio appartiene l’oriente e l’occidente: egli guida chi vuole a una retta vita.
Così abbiamo fatto di voi una nazione che sta nel giusto mezzo (ndr per alcuni studiosi significa una nazione autonoma tra ebrei e cristiani, secondo altri una nazione che condanna ogni eccesso) perché possiate testimoniare contro tutti gli uomini, e il Messaggero di Dio possa testimoniare contro di voi.
Avevamo fissato la direzione verso cui vi volgevate prima nella preghiera, solo per distinguere chi seguiva il Messaggero di Dio da chi lo abbandonava. Certo, fu una prova dura per tutti, ma non per quelli che sono guidati da Dio. Dio non ha mai inteso distruggere la vostra fede, perché Dio è pietoso e misericordioso con gli uomini. Vediamo che volgi la faccia verso il cielo: t’indicheremo dunque un orientamento nella preghiera che ti piacerà.
Volgi la faccia verso il Tempio Sacro; ovunque siate, volgete la faccia in quella direzione! Certo, coloro cui fu dato il Libro sanno bene che questa è la verità che viene dal loro Signore: e Dio non è incurante di ciò che fanno.
Anche se tu mostrassi a quelli cui fu dato il Libro ogni sorta di segni portentosi, non seguirebbero il tuo orientamento nella preghiera, né tu devi seguire il loro; e d’altronde essi non seguono l’orientamento gli uni degli altri. Se tu acconsentissi ai loro vani desideri dopo aver conosciuto la verità, saresti davvero iniquo” (sura 2, 142-145).

Secondo diversi autorevoli studiosi i vv. 142-145 abrogherebbero il v. 115.

Marzo 624 seconda razzìa a danno dei meccani presso il pozzo di Badr. La carovana contava più di mille cammelli ed era guidata da Abu Sufyan. Maometto con 300 uomini emigrati dalla Mecca andò all’attacco. Abu Sufyan informato dell’attacco cambiò percorso. Dalla Mecca arrivarono in aiuto circa 800 uomini.

Il 12 del mese di Ramadan del 624 avvenne lo scontro al pozzo di Badr a 105 km da Medina. Vinse Maometto che attribuì la vittoria all’aiuto di Dio. Musulmani morti furono 14, i meccani morti 44 e i prigionieri 44.

Questa battaglia è considerata l’inizio della Jihad contro i nemici dell’Islam. Da allora i caduti in battaglia sono considerati martiri (shahid).

Maometto accusò gli ebrei della tribù di Banu Qainuga di aver collaborato con i meccani…

625 battaglia di Uhud (vicino al monte Ohod).
3.000 meccani contro 1.000 uomini di Maometto. Abd Allah Ibn Ubayy sconsigliò a Maometto la battaglia in campo aperto ma non fu ascoltato (Maometto confidava nell’aiuto di Dio come nella battaglia precedentemente vinta) e allora si ritirò coi suoi 300 uomini.

19-20 novembre 625 ci fu la battaglia: vinsero i meccani, Maometto fu ferito e suo zio Hamza fu ucciso… Maometto riuscì a rifugiarsi a Medina. I meccani non lo inseguirono per timore degli uomini di Ibn Ubayy…

La sconfitta e soprattutto la morte di molti suoi valorosi uomini pongono a Maometto il problema degli orfani e delle vedove. Chi si prenderà cura di loro? E come?
Il matrimonio delle vedove si presenta come la soluzione più equa e giusta anche per salvaguardare l’eredità degli orfani. Lo stesso Maometto sposerà alcune vedove dei suoi compagni morti in battaglia e il suo esempio fu seguito da altri. Questi versetti, quindi, nascono in un contesto storico e con motivazioni ben precise:

“O uomini! Temete il vostro Signore che vi ha creato da una sola persona, e da questa ha creato la sua consorte, e da entrambe ha suscitato uomini e donne in gran numero. Temete dunque Dio nel cui nome vi chiedete favori a vicenda, e rispettate le viscere che vi hanno portati, perché Dio vi sorveglia sempre. Date agli orfani i loro beni, senza scambiare il cattivo col buono, e non consumate i loro beni incamerandoli ai vostri: è un grave peccato. Se temete di non essere giusti con gli orfani, fra le donne che vi piacciono sposatene due o tre o quattro, e se temete di non essere giusti con esse, sposatene una sola, oppure sposate le schiave che possedete: è il modo migliore per non deviare dalla giustizia” (sura 4, 1-3).

Per quanto riguarda la poligamia, il Talmud, come la Bibbia, la ammetteva (perché aiutava ad adempiere il comando di Dio di “moltiplicarsi”) anche se la sconsigliava:

“Un uomo può sposare quante mogli desidera”;

“Un uomo non può averne più di quattro”.

Al sommo sacerdote però era vietata la poligamia. Queste idee circolavano nella penisola arabica ed erano presenti alla Mecca in forza della presenza ebraica. Non è una novità introdotta da Maometto, ma le motivazioni sono diverse.

Tornato a Medina Maometto accusò gli ebrei della tribù di Banu Nadir di non aver preso parte al combattimento… (Sura 4, 154 forse quel giorno era di sabato?: “Sopra di loro abbiamo sollevato il monte Sinai in segno d’alleanza e abbiamo detto loro: Entrate per la porta, prostrandovi in adorazione! E abbiamo aggiunto: Non violate il sabato! E abbiamo stretto con loro un patto solenne”).

Ci fu l’ordine di espulsione ma gli ebrei resistettero e allora Maometto fece incendiare palmeti da datteri e coltivazioni. Ciò però era proibito dalle tradizioni arabe e Maometto dovette giustificarsi con una rivelazione:

“Se avete tagliato delle palme o le avete lasciate in piedi, tutto è avvenuto col permesso di Dio, perché egli potesse confondere i perversi” (sura 59, 5).

Gli ebrei ebbero salva la vita ma dovettero andare via lasciando tutto…

Tra la fine del 626 e l’inizio del 627 un esercito di 10.000 meccani pose l’assedio a Medina. La città era però circondata da un fossato. Dopo alcuni mesi di assedio i meccani si ritirarono (11 marzo 627) e per Maometto fu una grande vittoria… (morirono 6 musulmani e 3 meccani).

Dopo questo periodo i rapporti con gli ebrei di Medina si fecero duri perché accusati di aver cospirato col nemico. Gli uomini furono quasi tutti uccisi e le donne e i bambini ridotti in schiavitù. I beni furono confiscati e donati agli “emigrati” (musulmani provenienti dalla Mecca).
A questo punto l’unità politica e religiosa di Medina giunse a compimento.

Ora inizia l’offensiva per la conquista della Mecca, attraverso un’azione di indebolimento dei meccani.
Come? Controllando le vie del commercio verso la Siria.

Nel febbraio 628 Maometto si mise in cammino verso la Mecca con gli emigrati e i fedeli medinesi (1.400 uomini). Iniziale tentativo di conquista che poi, per defezione dei beduini, si trasformò in pellegrinaggio…
Trattato di pace fra Maometto e la Mecca della durata di 10 anni: i musulmani potevano recarsi come pellegrini, senza armi, per 3 giorni a partire dal 629. Per il 628 Maometto fu autorizzato a celebrare i riti fuori della zona sacra… Per Maometto è un successo perché viene riconosciuto ufficialmente capo. I convertiti aumentano…
Maometto riesce a battere e sottomettere gli ebrei delle oasi circostanti Medina in un raggio di 300 km. Dalle oasi ricavano datteri e cereali e quindi l’autonomia economica…

Nel 630 un musulmano viene ucciso (un incidente fra due tribù) e con questo pretesto Maometto ritiene nullo il trattato e si prepara ad attaccare la Mecca.
Con un esercito di 13.000 uomini si dirige alla Mecca. La città aveva già perso il controllo delle vie carovaniere a spese di Medina.
Ci furono negoziati: i meccani non opposero resistenza ed ebbero salva la vita e i beni.

Maometto entrò in città 11 gennaio 630 (20 di ramadan dell’anno 8). Conquista politico-religiosa.
Maometto va alla Kaaba, fa sette volte il giro, tocca la pietra nera e distrugge gli idoli. Tutto lo spazio è dichiarato sacro.

Rivendica il diritto di conquista e riduzione in schiavitù della popolazione. Poi la libera. Il popolo si impegna ad obbedire ad Allah e al suo inviato (giuramento).
Meno di dieci oppositori furono uccisi.
Dopo tali avvenimenti, Maometto fece ritorno a Medina.

In pochi anni (629-631) tutte le tribù arabe furono sotto l’influenza musulmana eccetto Yemen e qualche altra… Lo strumento fu la guerra oppure il tributo…

Nel marzo 632 Maometto guidò il pellegrinaggio alla Mecca, fissò gli ultimi dettagli del rito del pellegrinaggio:

“Vi sono dunque proibiti gli animali morti di morte naturale, il sangue, la carne di porco, gli animali macellati invocando un nome diverso da quello di Dio, gli animali soffocati, ammazzati a bastonate, morti per caduta o per cornate o sbranati in parte dalle fiere (a meno che non facciate in tempo a sgozzarli) e quelli immolati sugli altari pagani. Vi è anche proibito consultare la sorte usando frecce divinatorie: è un’empietà. Oggi i miscredenti disperano ormai di distruggere la vostra religione. Non temeteli dunque: temete me! Oggi vi ho reso perfetta la vostra religione, vi ho colmato dei miei favori e mi è piaciuto darvi per religione l’Islàm. Chi è costretto dalla fame a nutrirsi di cibi proibiti, senza vera inclinazione al peccato, sappia che Dio è indulgente e misericordioso.
Ti chiedono che cosa sia lecito mangiare. Rispondi: Vi sono lecite tute le cose buone e ciò che avete insegnato a prendere agli anomali da preda, addestrandoli come fate con i cani e insegnando loro alcune delle cose che Dio ha insegnato a voi. Mangiate dunque gli animali che essi hanno preso per voi, invocando su loro il nome di Dio. E temete Dio, perché Dio è veloce nel fare i conti!
Oggi vi sono dichiarate lecite le cose buone; vi è lecito il cibo di coloro che hanno ricevuto il Libro, e ad essi è lecito il vostro cibo. Vi è lecito sposare le donne credenti che siano oneste e le donne oneste di coloro cui fu dato il Libro prima di voi, purché diate ad esse la giusta dote e viviate poi onestamente, senza fornicare e senza prendervi delle amanti. Se un credente rinnega la fede, vane saranno le sue opere, e nell’altra vita sarà fra i perdenti.
O voi che credete! Quando vi accingete alla preghiera rituale, lavatevi il volto e le mani fino al gomito, e con la mano bagnata stropicciatevi la testa e i piedi fino alle caviglie. Se siete in stato di impurità legale, purificatevi. Se siete malati o in viaggio o siete andati di corpo o avete avuto rapporti con donne e non trovate acqua, cercate allora della buona sabbia e passatevela sulla faccia e sulle mani. Dio non vuole imporvi pesi gravosi: vuole anzi purificarvi e colmarvi dei suoi favori, nella speranza che gli siate riconoscenti” (sura 5, 3-6).

Per quanto riguarda gli animali da mangiare oppure no, c’è una forte somiglianza con l’elenco che presenta la Bibbia al capitolo 11 del libro del Levitico.

“Oggi vi ho reso perfetta la vostra religione, vi ho colmato dei miei favori e mi è piaciuto darvi per religione l’Islàm” (che è parte del v. 3) è in ordine cronologico l’ultimo versetto del Corano rivelato durante il pellegrinaggio di addio e poco prima della morte di Maometto.

Dopo questo pellegrinaggio, Maometto torna a Medina dove morirà l’ 8 giugno 632 (62 anni) a causa di una grave malattia.

Viaggio notturno e ascensione di Maometto al cielo Sura 17, 1 (sura meccana):

“Gloria a colui che di notte trasportò il suo servo dal Tempio Sacro (ndr. cioè la Kaaba della Mecca) al Tempio più remoto (ndr. cioè il Tempio di Gerusalemme), di cui abbiamo benedetto il recinto, per mostrargli alcuni dei nostri segni! In verità, egli è colui che ascolta e osserva ogni cosa”.

Viaggio notturno di Maometto, sul suo cavallo dalla Kaaba (Mecca) al Tempio di Gerusalemme e poi al settimo cielo fino al trono di Dio. Siamo all’ultimo anno prima dell’egira (621).

Cfr. Il viaggio di Paolo fino al terzo cielo. Per il mondo ebraico i cieli erano sette e Dio abitava l’ultimo. Tra un cielo e l’altro vi era una distanza di 500 anni di cammino. Quindi per raggiungere Dio occorrevano 3.500 anni di cammino per cui l’impresa risultava impossibile. Il terzo cielo era chiamato paradiso ed è quello che raggiunge Paolo come narrato nella seconda lettera ai Corinzi al capitolo 12 e versetti dal 2 al 4:

“So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare” (2Cor 12, 2-4).

IL PERIODO D’ORO DELL’ISLAM: I 4 CALIFFI BEN GUIDATI
1 – Abu Bakr al-Siddiq (632-634).
Suocero di Maometto, padre di Aicha la moglie preferita.
Al-sadiq=il giusto aveva accompagnato Maometto durante l’esodo verso Medina.

2 – Umar Ibn al-Khattab (634-644).
Suocero di Maometto.
I musulmani tolgono la Siria ai Bizantini con la battaglia vinta nel 636. Conquistano Antiochia nel 637 e annientano l’impero sassanide.
Conquista della Mesopotamia 639-641.
Conquista dell’Egitto nel 642 e i bizantini lasciano Alessandria. Nel 643 Amr Ibn al-As fonda al-Fustat (il Vecchio Cairo).

3 – Uthman Ibn Affan (644-656).
Genero di Maometto, aveva sposato due sue figlie. Clan Umayya, gente ricca della Mecca. Da loro la dinastia degli Ummayyadi che governeranno a Damasco.
Conquista dell’Armenia.

Importante: Raggruppamento di tutte le Sure del Corano (la cosiddetta Volgata, il testo base accettato da tutti).

L’uniformazione definitiva del testo fu fatta con l’edizione del Cairo del 1923 e poi con quella del 1952. Quest’ultima è l’editio princeps e serve da modello in tutto il mondo.
Ucciso da un beduino il 17 giugno 656.

4 – Alì Ibn Abi Taleb (656-661).
Cugino di Maometto, aveva sposato sua figlia Fatima. Proclamato califfo a Medina. I suoi partigiani sono gli Sciiti.
Aicha, moglie preferita di Maometto, lo accusa di complicità nell’uccisione di Uthman e scoppia la ribellione e la guerra. Il 24 gennaio 661 Alì viene assassinato.

Trent’anni dopo la morte di Maometto, la Umma è già divisa e lo sarà fino ad oggi.
Cfr. Cristianesimo…concilio di Gerusalemme (49-50 d. C.).
Sunniti: seguaci di Maometto e della sua Sunna.
Sciiti: seguaci di maometto e di Alì.
IL CORANO
610-622: periodo delle sure Meccane.
622-632: periodo delle sure Medinesi.

La durata della “discesa” (tanzil) delle sure è di 23 anni. La rivelazione (wahy) è detta discesa.
Per ebrei e cristiani il testo sacro è ispirato da Dio, ma scritto dagli uomini.

Per i musulmani l’autore del Corano è Dio stesso. Non vi sono miracoli nel testo perché è esso stesso il miracolo. Il Corano gode della inimitabilità (i-zaz).

Per la maggioranza degli studiosi il Corano è “dettato” da Dio a Maometto attraverso l’angelo Gabriele.
Per altri è già scritto e “trasportato” così a Maometto da Gabriele.

In ogni caso è un testo divino e non umano, reso manifesto in lingua araba che diventa in tal modo la lingua di Dio e ciò spiega la sua non traduzione perché ogni traduzione è una interpretazione e quindi porta con sé il rischio della manipolazione.
Il processo di islamizzazione è anche un processo di arabizzazione (come è avvenuto nei secoli passati per l’evangelizzazione cristiana che ha portato con sé un processo di europeizzazione).

Un elemento importante da ricordare è che il Corano per l’Islàm non è messo sullo stesso piano dell’Antico Testamento o dei Vangeli, ma la stessa cosa vale anche per l’ebraismo e il cristianesimo. Il motivo teologico è quello della pienezza e definitiva rivelazione da parte di Dio.

Nel rapporto Islàm-Cristianesimo, occorre comprendere che il Corano per l’Islàm occupa il posto che ha Gesù nel Cristianesimo. Non rapporto tra due libri, ma tra il Corano che per l’Islàm gode della inimitabilità e Gesù che per il Cristianesimo è la Parola ultima e definitiva di Dio.

Ecco come l’Islàm vede la questione della rivelazione di Dio:

1) Dio si è rivelato a Mosè con la Torah (Pentateuco) e nasce l’Ebraismo.
2) Dio si è rivelato a Gesù, abbiamo i Vangeli e nasce il Cristianesimo.
3) Dio si è rivelato a Maometto, abbiamo il Corano e nasce l’Islàm.

Per l’Islàm la rivelazione successiva completa quella precedente, così è anche per il testo e per la religione.
In sintesi: Gesù-Vangeli-Cristianesimo completano Mosè-Torah-Ebraismo.
Maometto-Corano-Islàm completano Gesù-Vangeli-Cristianesimo.

Questa è la stessa logica che guida la distinzione tra versetti abrogati e versetti abroganti. Quando nel Corano si trovano versetti che sono in contraddizione tra loro, gli studiosi hanno elaborato la seguente regola: i versetti successivi (abroganti) eliminano quelli precedenti (abrogati) e questo perché nella rivelazione di Dio non può esserci contraddizione, ma pienezza. Ciò che viene dopo dice di più di ciò che è stato detto prima. Ciò che segue, completa ciò che precede.

Ecco di seguito un esempio.
In questo versetto si parla della morte di Gesù e poi della sua risurrezione ad opera di Dio.

“Ricorda quando Dio disse: O Gesù, in verità io ti farò morire e ti farò ascendere fino a me liberandoti da quelli che non credono e porrò i tuoi seguaci al di sopra dei miscredenti fino al giorno della risurrezione” (sura 3, 55).

In quest’altro versetto, che abroga quello precedente secondo i motivi detti prima, viene negata la morte di Gesù. Al suo posto è detto che muore un altro (secondo alcuni autori si tratta di Simone di Cirene, ma non tutti concordano oppure una specie di sosia), ed è lo stesso modo di ragionare dei docetisti (movimento gnostico di poco posteriore alla morte di Gesù, di impianto dualista, che metteva in crisi la vera umanità di Gesù di Nazareth affermando che il Verbo/Logos non era diventato veramente uomo ma aveva solo preso sembianza umana e che al posto di Gesù era morto una altro).

“Gli ebrei sono davvero miscredenti! Hanno detto contro Maria una calunnia enorme (ndr. accusandola di essere donna di dubbia reputazione come risulta dal vangelo di Giovanni 8, 41 dove i Giudei accusavano Gesù rinfacciandogli: “Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio”) e affermano: Abbiamo ucciso il Messia, Gesù figlio di Maria, messaggero di Dio!
In realtà non l’hanno né ucciso né crocifisso, ma qualcun altro fu reso ai loro occhi simile a lui.
Quelli poi che sono in disaccordo su questo punto e hanno dubbi a riguardo non sanno nulla di preciso e non seguono che un semplice congettura. In verità, essi non lo hanno ucciso, ma Dio lo ha innalzato a sé: Dio è potente e saggio!” (sura 4, 156-158).

In tal modo per l’Islàm Maometto è il profeta ultimo-definitivo inviato da Dio, il Corano completa ciò che è contenuto nella Bibbia e l’Islam porta a completamento le religioni precedenti.

Per l’Ebraismo e il Cristianesimo vale lo stesso discorso e quindi risulta complesso il dialogo tra religioni che pensano di essere la Parola ultima e definitiva di Dio (anche perché Dio non è ebreo né cristiano né musulmano né…).
Le religioni non sono Dio né i testi sono Dio…

Per l’Islàm una conversione all’Ebraismo o al Cristianesimo è un tornare indietro, ad una rivelazione parziale e non piena di Dio, ecco perché è considerata estremamente negativa ( la stessa cosa è accaduta in diversi periodi storici del cristianesimo…).

Per l’Islàm l’uomo è naturalmente musulmano; per il Cristianesimo l’uomo è naturalmente cristiano (basta andare alla teologia patristica e medievale, fino all’altro ieri…).

Prima dell’egira c’è la sura 20 che contiene la rivelazione del Corano, la vocazione di Mosè e il suo scontro con i maghi del Faraone, il vitello d’oro e il peccato di Adamo.

La rivelazione del Corano:
“Non ti abbiamo rivelato il Corano perché tu soffra, ma solo perché ammonisca chi teme Dio. E’ una rivelazione da parte di colui che ha creato la terra e gli alti cieli. Il Clemente si è assiso in trono. Suo è tutto quello che è nei cieli e in terra e tutto quello che è in mezzo ad essi e tutto quello che è sotto terra. Non occorre che tu lo preghi ad alta voce: egli conosce l’intimo del tuo cuore e cose ancor più occulte. Dio! Non c’è divinità all’infuori di lui! A lui appartengono i nomi più belli” (sura 20, 1-8).

Vocazione di Mosè:
“E quando (Mosè) giunse vicino al fuoco si sentì chiamare: O Mosè! In verità, io sono il tuo Signore. Togliti i sandali, perché sei nella valle santa di Tuwà! Io ti ho prescelto: ascolta dunque ciò che ti ho rivelato. In verità, io sono Dio! Non c’è divinità all’infuori di me. Adorami dunque e compi la preghiera in ricordo di me” (sura 20, 11-14).

E’ un testo diverso da quello contenuto nel libro dell’Esodo al capitolo 3 con il quale abbiamo iniziato la nostra riflessione.
Sembra ricordare Dt 6, 4:
“Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”.

E ancora altri due testi:
“Io sono il Signore tuo Dio (…) Non avere altri dei di fronte a me” (Dt. 5, 6-7; Es. 20, 2-3).

“Andate (Mosè ed Aronne) dunque da lui (il Faraone) e ditegli: Fa’ partire con noi i figli di Israele e non perseguitarli più! Ti portiamo un segno da parte del tuo Signore. Pace a chi segue la giusta direzione” (sura 20, 47).
IL PECCATO E GENESI 3
Ebraismo
I rabbini non hanno visto nella disobbedienza del primo uomo la sciagura abbattutasi sull’umanità…
Ogni uomo in origine è puro: “Quando eri un bambino non hai peccato, sei cresciuto e pecchi” (Talmud).
Chi nega questa purezza condanna il libero arbitrio all’impossibilità di cogliere e praticare il bene per libera scelta (Michea 6, 8).

Dal Talmud: “Tu devi essere un giusto e non un peccatore … E sappi che il Santo, Egli sia benedetto, è puro e coloro che lo servono sono puri; l’anima che egli ti ha dato è pura, se tu la mantieni nella sua purezza, fai cosa buona; se no, Dio te la porterà via”.
Non esiste il concetto di peccato originale, così come è stato inteso nella teologia cristiana a partire da Agostino, nell’ebraismo.
Il peccato originale, se così possiamo chiamarlo, è l’idolatria che è stata causa anche dell’esilio babilonese e delle disgrazie patite da Israele.
Cristianesimo
Lettera ai Romani 5, 12-21 parallelismo fra Adamo e Cristo.
Una non adeguata comprensione di questo testo a causa di una lettura di tipo giuridico mutuata dal diritto romano e all’interno della controversia con i pelagiani che portarono a una reinterpretazione di Genesi 3, condusse Agostino a porre le basi teologiche per la dottrina del peccato originale così come poi è stata tramandata nella Chiesa.
Islam
Il peccato di Adamo è un peccato originario e non originale. Non esiste un peccato personale che possa ricadere sugli altri.
Ogni bambino nasce senza peccato (non c’è bisogno di sacramenti/riti) ed è dotato di una naturale disposizione a sottomettersi a Dio che è il creatore.

“Già prima avevamo stretto un patto con Adamo, ma egli se ne dimenticò e non trovammo in lui costanza. E quando dicemmo agli angeli: Prostratevi davanti ad Adamo!, si prostrarono tutti, eccetto Iblis che si rifiutò.
Dicemmo allora: O Adamo, costui è nemico tuo e di tua moglie. Badate che non vi scacci entrambi dal giardino del paradiso, sì che tu divenga infelice. Qui non hai da soffrire né fame né nudità e neppure vi soffri sete o calor del sole.
Ma Satana lo tentò bisbigliandogli all’orecchio: O Adamo! Vuoi che ti mostri l’albero dell’eternità e di un regno senza fine?
Ed essi ne mangiarono entrambi e si accorsero della loro nudità, sì che presero a cucirsi addosso delle foglie del giardino. Così Adamo si ribellò al suo Signore ed errò. Ma poi il suo Signore lo prescelse, si volse a lui benigno e lo guidò sulla retta via.
Dio disse: Via di qui tutte e due! Sarete nemici gli uni degli altri, ma io vi indicherò la giusta direzione, e chi la seguirà non si perderà né sarà infelice” (sura 20, 115-123).
ABRAMO
Ebraismo
Secondo il Talmud e il Midrash Abramo giunge a riconoscere un unico Dio attraverso la contemplazione di un mondo ordinato (vedi il paragrafo sull’Islàm subito dopo).
Secondo i rabbini in Gn. 15, 8 si deduce che Abramo fu il primo a riconoscere Dio quale Signore.

Gn. 12,2: con l’esodo di Abramo dall’ambiente pagano inizia una svolta nella storia dell’umanità
Dio stipula con Abramo un patto e gli promette terra e discendenza. Si crea un rapporto particolare.
Abramo padre di Ismaele avuto da Agar e di Isacco avuto da Sara.

Si formano due genealogie: Abramo-Ismaele-Isacco-Giacobbe…che è quella utilizzata dall’Islàm e Abramo-Isacco-Giacobbe…utilizzata dall’Ebraismo e Cristianesimo.

Tutti e tre i monoteismi hanno Abramo come padre nella fede; tutti e tre si considerano religioni rivelate; tutti e tre credono non in un solo Dio, ma nello stesso Dio che si è rivelato all’origine in Abramo… (è interessante leggere ciò che il libro della Genesi racconta a partire dal capitolo 12 … lascio a voi la splendida scoperta di queste pagine della Bibbia, a volte poco conosciute).

Segno dell’alleanza è la circoncisione (Gn. 17,1). Abramo deve essere una benedizione per tutti i popoli. Ancora oggi gli ebrei vengono definiti figli e figlie di Abramo.
Abramo viene sottoposto alla prova: sacrificio di Isacco Gn. 22.
Gn. 22,3 ad Abramo viene attribuita l’introduzione della preghiera del mattino.

Il sacrifico di Isacco venne preso nel medioevo come esempio della fede dei patriarchi, che preferivano la morte dei loro figli all’abbandono della fede.
Cristianesimo
Importante è l’appartenenza spirituale e non razziale ad Abramo perché “Dio può far nascere figli di Abramo anche da queste pietre” (Lc. 3,8).
I veri figli di Abramo dovrebbero fare le opere di Abramo (Gv. 8,39).

Rottura in Gv. 8,58: “Prima che Abramo fosse, Io Sono”.
Il pensiero di Paolo sul ruolo di Abramo: Gal. 3,6…; Gal. 4, 21-31 rapporto Sara/Agar e Isacco/Ismaele.
Abramo diventa l’anello di congiunzione delle “tre religioni abramitiche” (cfr. Nostra Aetate 4).

Islàm
Abramo è il titolo della Sura 14. Padre di Ismaele e Isacco: “Lode a Dio che, malgrado la mia vecchiaia, mi ha donato Ismaele e Isacco!” (sura 14,39).

Abramo non era né ebreo né cristiano, ma uomo retto e sottomesso a Dio per natura: “Abramo non era né ebreo né cristiano: era un uomo retto che si era sottomesso a Dio e non era idolatra. In verità, fra tutti gli uomini i più vicini ad Abramo sono quelli che lo hanno seguito, e questo Profeta e quelli che credono in lui; e Dio è l’amico che protegge i credenti” (sura 3, 67-68).

La fede di Abramo è un prototipo dell’Islam. La comunità islamica fondata da Abramo è detta “Comunità di Abramo” dal Corano ed Abramo è considerato il primo Hanif cioè il puro credente monoteista.

Abramo pervenne alla conoscenza di Dio attraverso l’osservazione dei corpi celesti e della loro transitorietà
In questo c’è una splendida somiglianza con la tradizione rabbinica. Ecco una sintesi dei testi:

“Ricorda quando Abramo disse a suo padre Adhar: Ti prenderai degli idoli come dei? Vedo che tu e il tuo popolo siete in evidente errore.
Così mostrammo ad Abramo il regno dei cieli e della terra perché egli fosse tra quelli che sono convinti della loro fede. Quando infatti Abramo fu avvolto dalle tenebre della notte, vide una stella e disse: Ecco il mio Signore!; ma quando la stella tramontò disse: Non amo le cose che tramontano.
E quando vide spuntare la luna disse: Ecco il mio Signore!; ma quando la luna tramontò disse: Se il mio Signore non mi guida, sarò anch’io certamente nel numero dei traviati.
E quando vide sorgere il sole disse: Ecco il mio Signore!; ma quando il sole tramontò disse: Popolo mio! Io non ho più nulla a che fare con i vostri idoli. In purezza di fede, io mi rivolgo a colui che ha creato i cieli e la terra e non sono idolatra” (sura 6, 74-79) (altra sura è 21, 51-67).

La letteratura rabbinica considera l’esistenza di Dio una verità certa che non ha bisogno di argomentazioni e prove, come pure l’Islàm. E’ talmente evidente l’esistenza di Dio che il cercarne le prove induce alla miscredenza.
La tematica teologica delle prove/argomentazioni dell’esistenza di Dio appartiene al Cristianesimo.
Non si danno prove per convincere l’Ebreo che Dio deve esistere.

La natura prova da sé l’esistenza di Dio ed Abramo attraverso il ragionamento è arrivato fino alla Causa prima. Di ciò, nella tradizione rabbinica, si danno due versioni. Ve le riporto per piacevole curiosità.
Le citazioni sono prese da: Abraham Cohen, Il Talmud, Edizioni Laterza Bari 1999, pp. 25-26.
1) Quando Abramo si ribellò all’idolatria, suo padre lo condusse dinanzi al re Nimrod, il quale gli chiese che se non voleva adorare le immagini adorasse il fuoco.
Seguì allora questa discussione: Abramo replicò: “Dovremmo piuttosto adorare l’acqua che spegne il fuoco”.
“Allora adora l’acqua” disse Nimrod, e Abramo riprese: “Se è così, dovremmo adorare la nuvola che versa l’acqua”.
“Allora adora la nuvola” disse Nimrod. “Se è così, continuò Abramo, dovremmo adorare il vento che disperde la nuvola”.
E Nimrod: “Allora adora il vento”. “In questo caso, concluse Abramo, dovremmo piuttosto adorare l’essere umano che porta il vento” (ndr. Da intendere nella respirazione).
Tale linea di ragionamento conduce all’ipotesi di un creatore supremo.

2) L’altra leggenda racconta che, poco dopo la nascita, Abramo era stato tenuto nascosto, gli astrologi avendo predetto al re Nimrod che era per nascere un fanciullo che avrebbe distrutto il suo regno, per cui lo consigliavano ad ucciderlo mentre era ancora in fasce.
Il bambino visse tre anni in una caverna con la nutrice. Quando ne uscì, il suo cuore cominciò a riflettere sulla creazione dell’Universo e decise di adorare tutti gli astri finché non avesse scoperto quale fra tutti era Dio.
Osservò la luna la cui luce illuminava l’oscurità della notte da un capo all’altro del mondo e notò il corteggio immenso delle stelle. “Questo è Dio” esclamò, e l’adorò per tutta la notte.
Al mattino quando mirò il sorgere del sole, dinanzi al quale la luna si oscurava e il suo potere svaniva, esclamò: “La luce della luna deve derivare da quella del sole e l’Universo esiste soltanto per i raggi solari”. Così adorò il sole per tutto il giorno.
Alla sera il sole tramontò dietro l’orizzonte, la sua forza svanì e la luna riapparve con le stelle e i pianeti.
Allora egli proclamò: “Invero, tutti hanno un Signore e Dio”.

Dall’esodo di Abramo da Ur fino a Canaan, i musulmani deducono l’esodo di Maometto dalla Mecca a Yatrib (Medina). In entrambi i casi c’è stata un svolta nella storia delle religioni.

Abramo con il figlio Ismaele edificò la Kaaba:
“E quando Abramo e Ismaele ebbero innalzato le fondamenta della Casa, dissero: Signore nostro, accettala da noi, tu che ascolti e conosci ogni cosa” (sura 2, 127).

“In verità, la prima Casa Sacra eretta per gli uomini è quella che è in Bakka (ndr. altro nome per dire la Mecca), Casa benedetta e guida per tutte le creature, dove ci sono segni evidenti come il luogo dove Abramo si fermò a pregare; e chi vi entra è al sicuro. Gli uomini che ne abbiano la possibilità hanno il dovere verso Dio di fare il pellegrinaggio alla Sacra Casa. Chi poi non crede, sappia che Dio può fare a meno delle sue creature” (sura 3, 96-97).

Abramo = Khalil Allah (amico di Dio).

Per il libro della Genesi al capitolo 22 Abramo sta per sacrificare il figlio Isacco, per il Corano il sacrificio è quello di Ismaele, e da ciò deriva la festa del sacrificio (il Corano collega il sacrificio di Ismaele alla costruzione del santuario della Kaaba):

“Disse ancora Abramo: Me ne vado dal mio Signore ed egli mi guiderà. Signore concedimi un figlio che sia dei giusti.
E noi gli annunciammo la nascita di un figlio mite.
Quando il figlio raggiunse l’età di andare al lavoro con lui, Abramo gli disse: Figliolo mio, ho proprio visto in sogno che ti devo immolare: che ne pensi?
Rispose: Padre mio, fa ciò che ti è ordinato. Se Dio vuole mi troverai paziente.
Quando si furono rassegnati entrambi alla volontà di Dio e Abramo ebbe disteso il figlio con la fronte a terra, allora gli gridammo: Abramo! Hai già dato compimento al tuo sogno: così noi ricompensiamo quelli che fanno il bene. La tua è stata davvero una prova luminosa!
Gli riscattammo poi il figlio con un grande sacrificio e tramandammo ai posteri la sua lode: Pace ad Abramo! Così noi ricompensiamo quelli che fanno il bene.
In verità, egli fu uno dei nostri servi credenti, e noi gli annunciammo la nascita di Isacco, profeta e uomo giusto. Benedicemmo lui e Isacco; ma fra i suoi discendenti c’è che fa il bene e c’è chi chiaramente fa torto a se stesso” (sura 37, 99-113).

Dopo il giudizio universale Abramo accompagnerà i credenti in paradiso.
LA CONDIZIONE FEMMINILE
Ebraismo
Libro del Siracide capitolo 25, 12-26. Eccone alcuni estratti:
“Qualunque ferita, ma non la ferita del cuore; qualunque malvagità, ma non la malvagità di una donna” (v. 12).
“Preferirei abitare con un leone e con un drago piuttosto che abitare con una donna malvagia. La malvagità di una donna ne altera l’aspetto, ne rende il volto tetro come quello di un orso” (vv. 15-16).
“Ogni malizia è nulla, di fronte alla malizia di una donna, possa piombarle addosso la sorte del peccatore!” (v. 18)
“Non soccombere al fascino di una donna, per una donna non ardere di passione” (v. 20).
“Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutto moriamo” (v. 24).
“Se non cammina al cenno della tua mano, toglila dalla tua presenza” (v. 26).

La Bibbia sarà pure ispirata da Dio, ma è stata scritta dagli uomini intesi in questo caso come maschi, che si sono ben guardati dal tralasciare i propri privilegi mettendoli poi in bocca a Dio.

Interessante a tal proposito il capitolo 26 del Siracide dove è considerato beato il marito di una donna virtuosa (“Beato il marito di una donna virtuosa; il numero dei suoi giorni sarà doppio” v. 1) e dove si preannunciano guai per il marito di una donna sconsiderata.

“Meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna” (Sir. 42, 14).

Interessante il brano che segue:
“Una figlia è per il padre un’inquietudine segreta, la preoccupazione per lei allontana il sonno: nella sua giovinezza, perché non sfiorisca, una volta accasata, perché non sia ripudiata.
Finché è ragazza, si teme che sia sedotta e che resti incinta nella casa paterna; quando è con un marito, che cada in colpa, quando è accasata, che sia sterile.
Su una figlia indocile rafforza la vigilanza, perché non ti renda scherno dei nemici, oggetto di chiacchiere in città e favola della gente, sì da farti vergognare davanti a tutti” (Sir. 42, 9-11).

Siracide 36, 21-27 importanza di una moglie assennata per un uomo. (Non si parla mai di un marito assennato per la moglie).

Passiamo al libro dei Proverbi (siamo nella riflessione sapienziale di Israele).

“La sapienza di una massaia costruisce la casa, la stoltezza la demolisce con le mani” (Pr. 14,1).

“La casa e il patrimonio si ereditano dai padri, ma una moglie assennata è dono del Signore” (Pr. 19, 14).

In Pr 31, 10-18 (brano da leggere assolutamente) abbiamo l’elogio della donna/moglie di casa, perfetta nel suo ruolo. A prima vista sembra uno spassionato ritratto della donna ideale, della bravura di sé, invece è il modello di donna e moglie che vuole la cultura maschilista del tempo (ma forse di ogni tempo).

Una moglie che si alza presto alla mattina per preparare da mangiare, che si addormenta tardi per finire i lavori di casa e non solo, che sta in cucina… Una donna che non pensa mai a se stessa, ma sempre al marito e alla casa, che vive in funzione del marito…

Ogni ebreo maschio, appena sveglio la mattina, rivolge a Dio questa preghiera:
“Ti ringrazio o Signore che non mi hai fatto nascere né schiavo né pagano né donna”.
Ogni donna prega in questo modo: “Ti ringrazio o Signore che non mi hai fatto nascere né schiavo né pagano e secondo l tuo volere”.

Dal Talmud. A proposito della formazione della donna dalla costola dell’uomo:

“Dio considerò da quale parte dell’uomo avrebbe potuto creare la donna.
Disse: non la creerò dalla testa, perché non sollevi la sua testa troppo orgogliosamente; non dall’occhio, perché non sia troppo curiosa; non dall’orecchio, perché non si metta origliare alle porte; non dalla bocca, perché non sia troppo ciarliera; non dal cuore, perché non sia troppo gelosa; non dalla mano, perché non prenda troppo; non dai piedi, perché non sia una ciondolona; ma da una parte del corpo che sia nascosta, perché sia moderata”.

Il sonno che prende Adamo e il non essere stato interpellato da Dio, nella creazione della donna (come raccontato in Gn 2), deriva dal fatto che Dio ha preferito non ricevere da lui un rifiuto.

“Quattro qualità si riscontrano nelle donne: sono golose, curiose, pigre e gelose. Sono anche piagnucolose e loquaci”.

“Dieci misure di parole discesero nel mondo: le donne ne presero nove e gli uomini una”.

Per la cultura del tempo la legge: andando in pubblico a capo scoperto, filando per la strada, conversando con qualsiasi uomo…
La testimonianza di una donna non aveva valore.
La donna non poteva divorziare, ma poteva essere ripudiata dal marito con il suo consenso oppure no.
L’uomo commetteva adulterio quando andava con una donna ebrea sposata, ma se andava con una donna pagana sposata o una donna ebrea non sposata non commetteva adulterio.
La donna ebrea commetteva adulterio semplicemente andando con un uomo.

“Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso (letteralmente ‘la nudità di una cosa’), scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via da casa” (Dt 24, 1).

Rabbì Smammai: “L’uomo non ripudii sua moglie se non l’ha scoperta infedele”

Rabbì Hillel: “L’uomo può ripudiarla anche se lascia bruciare il cibo”.

Rabbì Akiba: “Può ripudiarla anche se trova un’altra donna più bella di lei”.

Primo esempio di femminismo o emancipazione femminile nella Bibbia.
Da leggere il Libro di Ester 1, 9-22.

Il re Assuero offre un banchetto per la sua corte e i potenti del suo regno ai quali mostra tutte le sue ricchezze. E’ un re potente e in tal modo fa vedere non solo ciò che possiede ma soprattutto vuole scoraggiare ogni tentativo di colpo di stato facendo vedere la propria potenza: a lui nulla è impossibile.
Mancava ancora una cosa da mostrare: sua moglie, la regina Vasti, di una bellezza incantevole.
La manda a chiamare: “Ma la regina Vasti rifiutò di venire, contro l’ordine che il re aveva dato per mezzo degli eunuchi. Il re ne fu assai irritato e la collera si accese dentro di lui” (Ester 1, 12).

Il re Assuero si serviva della bellezza di Vasti, la metteva in mostra come trofeo, non la trattava come persona. E Vasti si rifiuta. Non si considera merce da mostrare o strumento per interessi politici o altro… Neanche perché si dica della bravura del re nell’aver saputo scegliere una donna bellissima.
Essa vale per se stessa e non perché è la bellissima regina di Assuero.
Il pericolo, però, è che il suo esempio possa essere imitato dalle altre donne del regno.
Quindi occorre destituire Vasti e trovare un’altra regina. E sarà Ester.
Cristianesimo
Mi fermo solo ad alcuni aspetti mutuati dai Vangeli e non alla storia del cristianesimo (estremamente interessante e contraddittoria fino ai nostri giorni).

Nei vangeli tutte le donne fanno bella figura ad eccezione di due:
1) Erodiade, donna del potere, che fa tagliare la testa a Giovanni Battista;
2) la madre di Giacomo e Giovanni (che anela al potere), figli di Zebedeo, che pretende da Gesù i posti d’onore (sedere a destra e sinistra) per i propri rampolli.

Gesù aveva nel suo gruppo della donne (cfr. Luca 8, 1ss) di dubbia reputazione. Nessun rabbì aveva discepole, anche perché compito delle donne era stare in casa a lavorare…

Elemento determinante: l’annuncio della risurrezione, della bella notizia della vita donata che distrugge la morte, è portato dalle donne ai discepoli.

Le donne, che nella scala socio-giuridica del tempo erano all’ultimo posto, per Gesù e gli evangelisti sono le annunciatrici (angeli) del vangelo e occupano il posto degli angeli che nella concezione del tempo era considerati gli esseri più vicini a Dio.

Interessante è che i Vangeli non mettono la donna sullo stesso piano degli uomini, ma più in alto, su quello degli angeli di fronte a Dio.

Una breve considerazione su un testo di una bellezza unica e che si può definire il manifesto femminista dei Vangeli e cioè Luca 10, 38-42.

Gesù viene invitato a mangiare da Marta e Maria. Si trova in un villaggio, termine che vuole dire molto di più di poche case. Villaggio significa maggiore attenzione alla tradizione, al si è sempre fatto così, e poca disponibilità al nuovo, visto sempre con sospetto…

Marta significa “padrona/signora” della casa indicando il luogo della sua destinazione e cioè la cucina e gli altri posti di lavoro. E infatti Marta sta in cucina, lì dove la tradizione socio-culturale ammantata di religioso la vuole.

Maria è ai piedi di Gesù, cioè di fronte a lui seduta insieme a lui sulle stuoie per terra (non vi erano sedie) nell’atteggiamento del discepolo che apprende dal maestro.
Per la cultura del tempo era fatto divieto alle donne mettersi alla sequela di un maestro, mentre era lodato quell’uomo che impolverava i propri piedi alla sequela del rabbì.

Ancora, in questa casa non c’è l’uomo. Ora compito dell’uomo era quello di accogliere l’ospite e intrattenerlo. L’uomo nella cultura del tempo era il soggetto che godeva di tutti i diritti e libertà.

L’evangelista Luca, in tal modo, ci sta presentando Maria come colei che svolge la funzione dell’uomo libero e padrone di casa; non in attesa, come forma di supplenza momentanea, dell’arrivo del maschio. No, è lei che ha acquistato i diritti del maschio.

Questa consapevolezza, questa libertà le sono derivate dall’ascolto della parola di Gesù.
Marta invece non ascolta questa parola, ma quella della tradizione e resta perciò in cucina. Ma si lamenta della libertà della sorella e la rivuole in cucina dove la tradizione la colloca. Povera Marta, non solo non si libera lei ma non gradisce la liberazione della sorella.

E qui Gesù diventa duro: una volta accolto il Vangelo, la bella notizia della libertà dei figli di Dio, non si può più tornare indietro.

Maria ha rotto con il vecchio, ha capito che non si può mettere il vino nuovo in otri vecchi, che non si può salvare capra e cavolo, che non ci può essere una novità nella continuità (…) pena il rendere inutile l’intera parola di Gesù.

Non è Maria a dover ritornare in cucina, ma Marta ad uscirne.

La pienezza della donna non viene dalla tradizione che posiziona Marta in cucina, ma dalla parola di Gesù che la rende artefice del proprio destino così come è il progetto di Dio.

Non più la donna dal fianco/costola dell’uomo, ma dalla parola di Gesù.
Islàm
Il Corano ha significato per la donna della penisola arabica del tempo un notevole progresso. La donna non può essere più trattata come cosa, usata e poi buttata, ma vincolata col matrimonio.
La donna può testimoniare, anche se la sua testimonianza vale la metà di quella dell’uomo. La donna può ereditare anche se solo un terzo.
Dal non aver alcun diritto a questi, il cambiamento è significativo per l’epoca. La questione è che sul piano giuridico poco è cambiato da allora e che per oggi valgono ancora quelle norme.
Occorre giungere ad un approccio al testo in senso storico-critico come anche la teologia cristiana ha dovuto fare, dopo diversi secoli, nei confronti della Bibbia.
Alla donna è dedicata l’intera sura numero 4. C’è parità fra uomo e donna sul piano della fede, restano disparità invece sul piano sociale e giuridico.
Entrambi creati da Dio, ma con la precedenza di Adamo (e quindi con una certa supremazia maschile).
Sia la Bibbia che il Corano vengono dall’ambiente medio-orientale che non brillava allora né oggi per l’emancipazione femminile, ma che si esprimeva con forti connotazioni maschiliste.

La questione del velo che risulta molto delicata oggi nelle nostre società.

“O Profeta! Dì alle tue mogli, alle tue figlie e alle donne dei credenti di ricoprirsi dei loro mantelli (ndr. velo che copre dalla testa ai piedi). E’ il modo migliore per essere riconosciute e non essere molestate: Dio è indulgente e misericordioso” (sura 33, 59).

“Le donne anziane che non sperano più di maritarsi non commettono colpa se si tolgono le vesti ma senza mostrare i loro ornamenti; se però se ne astengono è meglio per loro: Dio ascolta e sa ogni cosa” (sura 24, 60).

“Dì ai credenti di abbassare lo sguardo e di essere costumati. Ciò sarà più decente per loro, perché Dio è bene informato di ciò che fanno. E di’ alle credenti di abbassare lo sguardo, di essere costumate e di non mostrare i loro ornamenti, eccetti quelli esterni, di stendere il velo del capo sui seni e di non mostrare i loro ornamenti se non al marito o al padre o al padre del marito, o ai loro figli o ai figli del marito, o ai loro fratelli o ai figli dei fratelli o ai figli delle sorelle, o alle loro donne, o alle loro schiave, o ai loro servi maschi che non han bisogno di donne (ndr. eunuchi), o ai bambini che non notano la nudità delle donne.
E non battano i pied, sì da mostrare i loro ornamenti nascosti. Volgetevi tutti insieme a Dio, o credenti, perché possiate prosperare” (sura 24, 30-31).

Da questi versetti emerge che la donna deve farsi bella per piacere al proprio marito e non a se stessa. E’ in funzione di…

In Isaia 3, 16 c’è un quadretto che riguarda le donne ebree (in special modo quelle di Gerusalemme in vista di quella che sarà la caduta della città ad opera di Nabucodonosor) e che recita così:

“Dice il Signore: Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion e procedono a collo teso, ammiccando con gli occhi, e camminano a piccoli passi facendo tintinnare gli anelli ai piedi, perciò il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà le loro tempie.
In quel giorno il Signore toglierà l’ornamento di fibbie, fermagli e lunette, orecchini, braccialetti, veli, bende, catenine ai piedi, cinture, boccette di profumo, amuleti, anelli, pendenti al naso, vesti preziose e mantelline, scialli, borsette, specchi, tuniche, cappelli e vestaglie.
Invece di profumo ci sarà marciume, invece di cinture una corda, invece di ricci calvizie, invece di vesti eleganti uno stretto sacco, invece di bellezza bruciatura” (Is. 3, 16-24).

Per quanto riguarda il velo, che per noi occidentali è considerato una forma di schiavitù (e in diversi casi lo è), è invece visto dalla maggioranza delle donne musulmane come un segno di protezione.
Inoltre, l’uso del velo rimanda al mondo ebraico, persiano e bizantino.

Interessante ciò che scrive Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi 11, 3-15 (datato 54-56 e cioè circa 25 anni dopo la morte di Gesù).

“Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio” (v. 3).
“L’uomo non deve coprirsi il capo perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno dell’autorità a motivo degli angeli” (vv. 7-10).

Vale la pena comunque leggere l’intero brano. Paolo sta scrivendo ad una comunità che si trova in ambiente greco, dove le donne non solo vanno a capo scoperto, ma hanno acquisito diverse libertà e godono di una certa emancipazione. Ebbene, Paolo tenta di introdurre la tradizione ebraica e troverà notevoli resistenze.

A proposito di una certa sottomissione della donna all’uomo leggiamo ancora nel Corano:

“Gli uomini hanno autorità sulle donne, perché Dio ha preferito alcune creature ad altre e perché gli uomini spendono i propri beni per mantenere le donne. Perciò le donne buone sono obbedienti e hanno cura della propria castità così come Dio ha avuto cura di loro. Se poi temete che alcune si ribellino, ammonitele, lasciatele sole nei loro letti e poi picchiatele; ma se vi obbediscono, non cercate pretesti per maltrattarle: Dio è eccelso e grande” (sura 4, 34).

“Tuttavia gli uomini sono un gradino più alto” (sura 2, 228), non sul piano della fede, ma su quello socio-giuridico.

LA VIOLENZA NELLA TRADIZIONE MONOTEISTICA
Ebraismo
1 Sam. 15, 1-3.7-11: “Samuele disse a Saul: Il Signore ha inviato me per consacrarti re sopra Israele suo popolo. Ora ascolta la voce del Signore Così dice il Signore degli eserciti: Ho considerato ciò che ha fatto Amalek a Israele, ciò che gli ha fatto per via, quando usciva dall’Egitto. Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini (…)
Saul colpì Amalek da Avila procedendo verso Sur, che è di fronte all’Egitto. Egli prese vivo Agag, re di Amalek, e passò a fil di spada tutto il popolo. Ma Saul e il popolo risparmiarono Agag e il meglio del bestiame minuto e grosso, gli animali grassi e gli agnelli, cioè tutto il meglio, e non vollero sterminarli; invece votarono allo sterminio tutto il bestiame scadente e patito. Allora fu rivolta a Samuele questa parola del Signore: Mi pento di aver costituito Saul re, perché si è allontanato da me e non ha messo in pratica la mia parola”.

Interessante ciò che emerge: Dio vuole la distruzione totale degli Amaleciti e punisce Saul perché non ha messo in pratica la sua parola.
Chiediamoci: questo è un ordine che viene direttamente da Dio? Certamente no! E allora?

Israele si è ormai stabilito in quella che era chiamata la “terra promessa” ed entra in rapporto con le popolazioni che vi abitavano e con le loro divinità (non dimentichiamoci che era una terra già occupata e non libera…).

In tal modo, però, inizia ad assumere lo stile di vita e le tradizioni religiose di queste popolazioni con il rischio sia del sincretismo che della idolatria, con conseguente abbandono della “Legge” che Dio ha donato sul Sinai attraverso Mosè e la frantumazione della particolare unità di tribù liberate dal Dio dell’esodo.

A questo punto, Israele rilegge teologicamente la propria storia e dice:
“Se volevamo restare fedele al Dio dell’esodo, una volta entrati nella terra promessa ma già abitata, dovevamo far fuori tutte quelle popolazioni. Non lo abbiamo fatto e allora non ci siamo salvati. Dio voleva che noi li ammazzassimo tutti e invece non lo abbiamo fatto e ci siamo persi”.

C’è un patto: Israele è consacrato a Dio e il “Signore si è legato a voi e vi ha scelto” (Dt. 7,7).
Da questa alleanza ciò deriva una grave soluzione per evitare il rischio della idolatria:
“Sterminerai dunque tutti i popoli che il Signore Dio tuo sta per consegnare a te; il tuo occhio non li compianga” (Dt. 7, 16).

Altro testo importante è quello che racconta della città di Gerico votata allo sterminio, da cui si salverà solo la prostituta Raab perché aveva aiutato gli esploratori ebrei:
“Al settimo giro attorno alla città, i sacerdoti diedero fiato alle trombe e Giosuè disse al popolo: Lanciate il grido di guerra perché il Signore mette in vostro potere la città.
La città con quanto vi è in essa sarà votata allo sterminio per il Signore; soltanto Raab la prostituta, vivrà e chiunque è con le nella casa, perché ha nascosto i messaggeri che noi avevamo inviati. Solo guardatevi da ciò che è votato allo sterminio, perché, mentre eseguite la distruzione, non prendiate qualche cosa da ciò che è votato allo sterminio e rendiate così votato alo sterminio l’accampamento di Israele e gli portiate disgrazia.
Tutto l’argento, l’oro e gli oggetti di rame e di fero sono cosa sacra per il Signore, devono entrare nel tesoro del Signore (…)
Votarono poi allo sterminio, passando a il di spada, ogni essere che era nella città, dall’uomo alla donna, dal giovane al vecchio, e perfino il bue, l’ariete e l’asino” (Gs 6, 16-19.21).

Il libro dell’Esodo così si esprime riguardo a Dio: “Il Signore è prode in guerra” (Es. 15, 3).
A dire il vero, la traduzione corretta è: “Il Signore è uomo di guerra” (= Ha-Shem ish milchamà).

“Guerra” in ebraico è “milchamà = battere, percuotere”.
E’ la stessa radice che indica il “pane = lechem”.

Per dire la radicale importanza che costituiva il pericolo della idolatria, che minava al cuore l’identità di Israele come popolo redento dalla schiavitù d’Egitto e chiamato a vivere la libertà, è opportuno leggere il brano di 1 Re 18, 20-40, dove si racconta che il profeta Elia uccide 450 profeti di Baal, in nome e con l’aiuto di Dio.

Ciò dice la gravità della commistione con popolazioni e culti diversi per Israele.
L’idolatria diventerà la causa, nella riflessione teologica in Babilonia, della fine del Regno di Giuda e del conseguente esilio.

Di conseguenza: l’idolatria deve essere combattuta attraverso la violenza e l’integrità religiosa che si risolve nell’integrità etnica deve essere difesa con ogni forza e ricorrendo a qualunque mezzo. Perché il fine è più importante.

Interessante a questo punto un versetto quasi dimenticato e contenuto in Es. 2, 11-12:
“In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi. Vide un egiziano che colpiva un ebreo , uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno, colpì a morte l’egiziano e lo seppellì nella sabbia”.

Mosè uccide un egiziano per salvare un ebreo, ma la cosa interessante è che, nel prosieguo del racconto, non si trova alcun accenno a un pentimento.

Evidentemente vi sono delle uccisioni che non sono vietate, anzi sollecitate: in nome di Dio, del popolo, della patria…

Evidentemente deve ancora maturare sia l’esperienza storica che la comprensione concettuale di un Dio che è il creatore di tutti e quindi il padre di tutti e in questa ottica è anche il salvatore di tutti.
Occorrerà un lungo e faticoso cammino per riuscire a liberarsi dalla grande tentazione della “privatizzazione di Dio”.

Dal pensare e pretendere che Dio è dalla mia parte e contro i miei nemici… Dal credere che “Dio la pensa esattamente come me…”

E’ interessante constatare cosa si riesce a pensare e a scrivere quando, osservando la realtà che ci circonda, non si riescono a vedere gli elementi positivi, quando ci si lascia guidare dal pessimismo e dal brutto (…) e cosa si riesce a mettere in bocca a Dio che si rivolge a Noè prima del diluvio:
“E’ venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco io li distruggerò insieme con la terra” (Gn. 6, 13).

Per fortuna che ci sono persone che vedono il creato con lo sguardo e l’ottimismo di Dio, per cui nello stesso testo troviamo anche altre espressioni messe in bocca a Dio:
“Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio né più il diluvio devasterà la terra” (Gn. 9, 11).

Nell’A.T. sono descritti duemila anni di storia in cui un ruolo da protagonista lo assume la guerra: “il Dio degli eserciti”.

Israele torna dall’esilio babilonese e guardate cosa scrive, mettendo in bocca a Dio, il Deutero-Isaia in questa “gioia per il ritorno”:
“Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto” (Is. 49, 26a).

Tutto ciò per dire la totale sconfitta dei nemici di Israele. Ma, in una lettura fondamentalista e integralista, parole del genere, avallate da Dio, possono portare a conseguenze inimmaginabili.
Ed infatti nella storia non si è mai ucciso così bene che in nome di Dio. Questo perché ci si sentiva autorizzati e giustificati in coscienza.
Questo vale, ovviamente, per tutte le religioni che si sono macchiate di violenza.

Sembra che sia impossibile sradicare dalla vita dell’uomo questo impulso alla violenza ed è interessante ciò che scrive l’autore biblico, mettendolo in bocca a Dio, dopo l’esperienza del diluvio in vista di un nuovo ordine del mondo:
“Non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue.
Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello.
Chi sparge il sangue dell’uomo dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo” (Gn. 9, 4-69).

In tale contesto risultano importanti questi versetti del dialogo tra Caino e Dio:
“Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere.
Ma il Signore gli disse: Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte.
Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque lo avesse incontrato” (Gn. 4, 13-15)

Nel testo biblico è presente la violenza nella forma della vendetta indiscriminata:
“Lamech disse alle mogli (…): Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette” (Gn. 4, 23-24).

In seguito si arrivò a limitare la vendetta indiscriminata con l’introduzione della “legge del taglione” che, per l’epoca, fu una legge di civiltà ed è presente anche nel codice di Hammurabi e nelle leggi Assire:
“Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido” (Es. 21, 24-25).

“Chi percuote a morte un uomo dovrà essere messo a morte. Chi percuote a morte un capo di bestiame lo pagherà: vita per vita.
Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro; frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro.
Chi uccide un capo di bestiame lo pagherà; ma chi uccide un uomo sarà messo a morte” (Lv. 24, 17-20).

“Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede” (Dt 19, 21).

E’ introdotta la figura del “go’el” o vendicatore di sangue (generalmente il parente più prossimo della vittima):
“Sarà il vendicatore del sangue quegli che metterà a morte l’omicida; quando lo incontrerà, lo ucciderà” (Nm. 35, 19).

Ci sono anche inviti alla riconciliazione e al perdono:
“Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (Lv. 19, 17-18).

E’ curioso trovare nello stesso capitolo opposte considerazioni:
Lam 3, 30: “Porga a chi lo percuote la sua guancia”.
Lam 3, 65-66: “Rendili duri di cuore, la tua maledizione su di loro! Perseguitali nell’ira e distruggili sotto il cielo, Signore”.

Si fa strada però anche la “teologia disarmata” del “Servo di Jahve” e nel testo di Is. 50, 6 leggiamo:
“Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia a gli insulti e agli sputi”.
Approfittiamo di questo brano per entrare nel mondo dei Vangeli e altri testi del N.T.
Cristianesimo
Il testo di Isaia appena citato ci riporta a Matteo e Luca (6, 29-30).
“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuol portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a camminare per un miglio, tu fanne due con lui” (Mt. 5, 38-41).

A proposito del porgere l’altra guancia, Lutero osserverà che un gesto simile era forse riservato a cerchie ristrette, mentre magistrati e carnefici cristiani potevano usare le maniere forti per difendere la convivenza e la giustizia.

Analizziamo velocemente il brano di Matteo. Siamo all’interno del capitolo delle “Beatitudini” e qui Gesù sta traducendo in pratica il suo grande progetto del “Regno”.

Le beatitudini non sono irrealizzabili né utopia, ma capacità di trasformare la storia delle relazioni tra gli uomini se riusciamo a farle penetrare nella nostra vita. E’ qui ne abbiamo un esempio: occorre andare oltre la giustizia in forma di vendetta.

a) Gesù non sta parlando di uno schiaffo qualsiasi, ma del manrovescio sulla guancia destra che per l’epoca era il gesto più offensivo anche del pugno.

Ebbene, Gesù non sta invitando alla passiva remissività davanti all’offensore, ma invitando l’offeso a reprimere con un profondo moto dello spirito l’istinto della vendetta.
Questa è un’azione positiva e creativa per la persona. Inoltre, dice che c’è sempre un’ulteriore possibilità ad una risposta violenta.

b) La tunica era l’abito che aderiva al corpo della persona e il mantello gli serviva come coperta per la notte:
“Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso” (Es. 22, 25-26).

Gesù sta dicendo: è meglio rischiare di morire di freddo piuttosto che rispondere con la violenza all’offesa ricevuta.

c) “Fare un miglio” significa la condizione dell’essere schiavo dell’occupante, in questo caso dei romani. Arrivano i soldati in un villaggio e sequestrano cibi e altro. Poi prendono gli abitanti e li costringono a portare le vettovaglie al loro accampamento…

Gesù sta dicendo: è meglio essere doppiamente schiavi che rispondere con la forza alla violenza. Neanche la legittima difesa è “legittima”: è meglio essere uccisi che uccidere per difendersi.

Ed è ciò che farà lo stesso Gesù quando dirà al suo discepolo che ha colpito il servo del sommo sacerdote staccandogli l’orecchio:
“Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?” (Mt. 26, 52-53).

Per il progetto delle beatitudini c’è sempre un’ulteriore possibilità…
Nel vangelo ci sono pagine che, ad una lettura superficiale e se interpretate in modo errato, possono dare adito a soluzioni violente.
Vediamone qualche altra.

Il brano della cacciata di venditori e compratori dal tempio ad opera di Gesù e la maledizione del fico che non porta frutti nella versione di Marco (11, 12-23).
Questo brano lo si trova in tutti e quattro gli evangelisti (Mt. 21, 12-22; Lc. 19, 15-23; Gv. 2, 13-22).

Viene raccontata un’azione violenta di Gesù che sintetizza il suo rapporto di tensione con il mondo della istituzione religiosa giudaica.

La religiosità-spiritualità fondata sul peccato/impurità e sacrificio riparatorio esprimeva la categoria del merito nel rapporto e relazione con Dio.

Col mio peccato rompo la comunione con Dio il quale si adira nei miei confronti e attraverso il pentimento e l’espiazione sacrificale io vengo perdonato da Dio e rientro i comunione con lui.

Gesù non accetta tutto ciò e lo manda all’aria “violentemente” affinché non ritorni più nel modo di pensare dei suoi discepoli.
Per Gesù, l’amore e il perdono di Dio non possono essere acquistati e meritati altrimenti si chiamerebbe prostituzione, ma vengono concessi gratuitamente e incondizionatamente per la sola “follia d’amore” del Padre.

Il tempio, cuore di questa religiosità, era diventato il luogo dove si commerciava il volto di Dio manipolandolo e stravolgendolo.

Gesù non lo accetta e dichiara che tutta questa spiritualità-religiosità con il suo centro vitale, è assolutamente inutile perché Dio non smette di amare né condiziona il suo amore alla contrizione o pentimento dell’uomo…

Il fico maledetto, perché ha solo foglie e non frutti, è il simbolo di questa spiritualità.
Marco aggiunge che quella non è la stagione dei fichi e ciò significa che quel tipo di religiosità non sarà mai in grado di produrre vita-gioia.

A questo punto è inutile ed è per questo che l’evangelista dice che si secca dalle radici. Cioè, è la morte definitiva.
Passiamo ad un altro brano interessante, presente in Matteo e Luca (12, 51-53).
“Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare il figlio da suo padre (letteralmente un uomo da suo padre e cioè un figlio adulto) e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera” (Mt. 10, 34-35).

Ad una lettura superficiale sembra di trovarsi davanti a un testo bellico. Ma la spada di cui parla Gesù non è quella militare bensì la parola di Dio che già l’Antico Testamento aveva definito spada a doppio taglio che penetra nelle profondità dell’uomo.

Il significato è evidente: Gesù sta dicendo che il suo messaggio opera divisioni, provoca separazioni tra coloro che lo accettano e coloro che lo rifiutano.

Ma la separazione immediata ed evidente è fra: figlio-padre, figlia-madre, nuora-suocera.
“Figlio-figlia-nuora” rappresentano nella società dell’epoca coloro che erano dipendenti dall’autorità espressa da “padre-madre-suocera”.
L’autorità si caratterizza dal tenere l’altro in situazione di dipendenza, di chiusura al futuro e forte riproposizione del passato (si è sempre fatto così).

Ma il messaggio di Gesù è parola liberante, vitale, che non può essere ingabbiata in schemi prefissati e soprattutto non riconosce la logica del potere, qualunque esso sia e soprattutto quello esercitato in nome di Dio.

Quindi chi accoglie il messaggio di Gesù cresce e si separa, si divide, da tutta quella tradizione che invece vorrebbe tenerlo in condizione di inferiorità e subalternità.

Il brano non è di interventismo militare ma descrive ciò che accade in chi fa proprio il messaggio e la vita di Gesù: diventa adulto, libero, autonomo, responsabile, in altre parole, diventa uomo.

Altro brano interessante tratto da Luca, ma che è presente anche in Matteo 8, 21-22.
“Ora ad un altro disse: Seguimi! Ma quegli disse: Signore permettimi di andare prima a seppellire mio padre.
Gesù replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ annunzia il regno di Dio” (Lc. 9, 59-60).

Anche in questo caso le parole di Gesù tradiscono un sentimento duro, quasi violento nei confronti di un gesto considerato un’opera meritoria e doverosa dalla religiosità giudaica.

Da una parte c’è l’invito di Gesù a seguirlo e dall’altra il gesto pietoso dell’inumazione.
Ma qui ci troviamo davanti a una pagina di profonda teologia.

Nel mondo ebraico il padre non era solo quello che dava la vita, ma colui che attraverso la vita biologica trasmetteva tutto il proprio mondo culturale, religioso, spirituale… la “tradizione”.

Tutto ciò che uno era lo doveva all’essere figlio del padre. Per tutta la sua vita sarebbe stato figlio del padre: cioè sarebbe assomigliato al padre di cui ne continuava l’opera trasmettendo ai propri figli la tradizione ricevuta con la nascita, l’educazione e la crescita. Nulla di nuovo, solo ciò che era da sempre.
Il padre, quindi, era il mondo di provenienza: il passato, il vecchio.

Ora Gesù sta dicendo a coloro che lo seguono di lasciar perdere il padre, cioè tutto quel mondo fatto di tradizioni-modi di pensare-vedere, perché il suo messaggio è totalmente nuovo e non può essere compreso e vissuto all’interno di vecchie categorie (vino nuovo in otri nuovi), che è la tentazione di sempre per l’uomo.

Seppellire un morto significa, nella concezione dell’epoca, assicurargli la possibilità della risurrezione.

Gesù sta dicendo a quella persona (e a ciascuno che intende seguirlo) che devono essere i morti a seppellire se stessi e cioè: per poter dare adesione a me e al mio messaggio occorre rinunciare a tutto quel mondo religioso-spirituale che appartiene al passato, fatto di tradizioni inamovibili e non tentare di risuscitarne qualcosa altrimenti tutto il nuovo che deriva da me diventa inutile.

E’ un invito a crescere, a non avere nostalgie, a guardare avanti e contribuire con Gesù a tracciare il solco di Dio: annunziare, cioè praticare, il suo regno.
Un breve excursus storico.
Nel 1947 Alfredo Ottaviani pubblicando le “Istituzioni del diritto pubblico ecclesiastico” vi inserì un nuovo paragrafo dal titolo: “La guerra va vietata del tutto”.

Venivano messi in discussione i concetti di “guerra giusta e guerra santa” per l’oggi storico, anche se venivano giustificati per il passato.

Nel 1963 Papa Giovanni XXIII pubblica la sua enciclica “Pacem in terris” dove la condanna è più esplicita e definitiva.

Ambrogio considerava la guerra, se combattuta per il bene comune, opera meritoria e giusta.

Agostino: “La Provvidenza divina mediante le guerre suole correggere e umiliare la condotta depravata degli uomini e con tali afflizioni travaglia anche quanti conducono una vita giusta ed encomiabile, per trasferirli, se hanno superato la prova, ad uno stato migliore, ovvero trattenerli ancora in terra per ulteriori servizi”.

Agostino attribuisce un valore teologico alla violenza legale che viene inserita nei disegni divini.
Nello stesso tempo,però, alla guerra è sempre possibile rispondere con il messaggio evangelico.

In un primo tempo Agostino è convinto che nessuno deve essere convertito a forza a Cristo; mentre in un secondo momento ammette che la chiesa possa usare la forza “per ricondurre al proprio seno i figli che essa ha perduto”.

Nasce la teoria della liceità della “costrizione al bene”.
Nel testo “Ontologia della libertà” di Luigi Pareyson emerge che: “E’ meglio il male libero che il bene imposto”.
Per Agostino, dove c’è guerra con ingiustizia e oppressione, il cristiano può ristabilire la pace con l’uso della violenza perché i consigli e le prediche non risultano di solito efficaci.

Il cristiano quindi dovrà combattere per essere un “pacificus”, cioè un costruttore di pace.
Pacifico quindi non è più il “pacifista”, ma colui che usa la forza per dar vita a uno stato di pace. E questa interpretazione leggerà nei secoli i “pacifici” di cui parla il vangelo.

Ma Gesù nelle beatitudini dice: “Beati i costruttori di pace, perché essi saranno chiamati figli di Dio” (Mt. 5, 9).
Beati coloro che per procurare la pace (e in ciò la pienezza di vita) agli altri, sono disposti a perdere la propria (di pace e di vita), perché costoro stanno agendo come agisce Dio.

Ma il cercare la pace attraverso l’uso delle armi sarà l’ideale dei cavalieri medievali e dei re cristiani.

Per Agostino occorre impedire il male a danno del prossimo altrimenti lo si approva indirettamente.
La carità evangelica, infatti, è il “non lasciar soffrire il fratello oppresso”.
A tal proposito viene accettata, da Agostino, anche la pena di morte perché la sua finalità è per il bene della società.

Riguardo al porgere l’altra guancia, Agostino la interpreta come un’intenzione del cuore:
“Si può ricorrere a una giusta violenza, ma si deve mantenere uno spirito di carità che serve per correggere chi sbaglia”.

Agostino (354-430) assiste alle pressioni dei barbari, alle continue guerre e al lento appassire di Roma. Il 24 agosto 410 i Visigoti occupano e saccheggiano Roma.
A questo punto sembra arrivata la fine del mondo.
In tale ambito storico-teologico si inserisce la guerra contro gli eretici (cfr Ambrogio…).

Secondo Agostino, bisogna ricorrere alla costrizione non per vendetta ma per correggere chi non si sarebbe lasciato indirizzare in altro modo sulla “giusta via” (in arabo “jihad”).

Petiliano obiettò ad Agostino che la carità cristiana non usa la forza contro nessuno.
Agostino gli rispose che gli avversari sono lupi travestiti da agnelli e la colpa quindi è loro. E siccome la legge divina autorizza la persecuzione degli eretici, Agostino non accetta discussione e tolleranza.

Su questa linea si mossero anche i papi Leone Magno e Gregorio Magno per cui tale modo di pensare divenne dottrina…

Non tutti però erano d’accordo o tacevano…
Niccolò I (858-867), il papa più significativo del primo medioevo, respingeva l’uso della violenza contro chi era in errore e così Alessandro II (1061-1073).
Ottennero però pochi risultati e non duraturi.

Benedetto da Norcia parla dell’utilità delle pene inflitte ai confratelli. In tal modo, la violenza entra nelle comunità più pacifiche, quelle monastiche, limitandosi però alle punizioni corporali.
Pier Damiani (XI sec.), santo e cardinale, ammetteva l’uso della violenza sui “colli di coloro che si oppongono a Dio”. Stessa posizione di Urbano II, il primo sostenitore delle crociate.

Bernardo (morto nel 1153), santo e mistico, nel suo “De Consideratione” elabora la dottrina delle due spade: la chiesa detiene il potere spirituale e temporale e quindi non c’è separazione tra religione e politica (stessa tesi di Bonifacio VIII nella bolla “Unam Sanctam”.
Nasce il concetto di “milizia cristiana”.

Tommaso d’Aquino usa il metodo agostiniano della retta intenzione d’animo ma, per il bene comune, anche con l’azione pratica.
Cioè: è lecito fare guerre giuste che hanno come finalità la pace.
Occorre combattere contro gli infedeli “non per costringerli a credere, ma solamente per costringerli a non ostacolare la fede in Cristo”.
Tommaso approva, per la difesa del culto e della salvezza comune, gli ordini cavallereschi con finalità militari.

Per Lutero è reato uccidere l’anima più che il corpo (come per Agostino).
Nel suo libro “Contro le saccheggiatrici e assassine bande di contadini” esorta i principi alla repressione dei contadini da “scannare come cani arrabbiati”.

Cosa analoga nel suo libro “Contro gli Ebrei”.
(Cfr. Antisemiti erano anche il pagano Wagner e il tollerante Voltaire…).

Erasmo da Rotterdam: “Si farebbe fatica a dire quanto, al giorno d’oggi, per ogni dove e con quale audacia e leggerezza le guerre si intraprendono e quanto ferocemente e barbaramente si conducono non solo da parte dei popoli pagani, ma anche da parte dei cristiani” (“Adagia”).

Tutte le guerre nell’antichità erano fatte con in testa all’esercito l’effige della propria divinità: erano guerre sante (“in hoc signo vinces”). Ma non implicavano la conversione dei nemici sconfitti.

Questo valeva anche per l’ebraismo monoteistico.
Il proselitismo non è nel dna dell’ebraismo che ha la razza come elemento determinante.

Si è ebrei per nascita. Lo si può comunque diventare per scelta di fede, ma i casi non sono elevatissimi…

Le cose cambiano con gli altri due monoteismi: cristianesimo e islàm che sono invece a vocazione universalistica.

Obiettivo: realizzare la volontà di Dio e quindi la conversione di tutta la terra.

Da ciò deriva uno sforzo missionario che a volte è avvenuto e avviene ancora in modo violento nei confronti dei cosiddetti “miscredenti-eretici”…
Islam
Il messaggio di Maometto entra in un mondo dove la violenza tra i diversi gruppi-tribù era esplicitata soprattutto attraverso la “vendetta” e la “razzia” (= ghazwa).

La razzia serviva anche per mettere in mostra la bravura in combattimento e come redistribuzione delle risorse economiche saltate a causa delle calamità naturali.
Il furto di cammelli era una di queste razzie che però causavano un limitatissimo spargimento di sangue.
In tutto ciò ogni tribù, poi, aveva il suo dio protettore.

La vendetta era vissuta quasi sempre come risposta ad un’altra tribù, a seguito di fatti gravi come l’omicidio. Queste forme di vendetta potevano sfociare in guerre vere e proprie.

Maometto assumendo la carica politica a Medina dovette assumersi anche il ruolo militare.
Da qui si diffonde la tradizione del profeta armato e dell’islàm violento.

Maometto ha svolto il ruolo di capo militare e ha preso parte a combattimenti, ma storicamente non risulta essere stato un grande guerriero.

Le fonti musulmane parlano di 26 scontri di notevole entità a cui assistette Maometto e a 9 a cui prese parte direttamente.
Questi scontri erano quasi sempre “razzia = ghazwa” e comunque mai chiamati né “harb”, né “qital” (parole che in arabo indicano guerra o battaglia), né “jihad”.

Prima fase: Islam in espansione.
Problema: come devono essere governate le conversioni.

Seconda fase: stazionaria.
Problema: come comportarsi con le comunità che non si sono convertite.

Abbiamo qui il passaggio dall’islàm come fede, all’islàm religioso-politico.

Visto che era ormai difficile da realizzare l’accettazione universale all’islàm, nasce la teoria della distinzione fra i territori dove prevaleva l’islàm ( e cioè la volontà di Dio e Sharia) e territori dove prevaleva la sedizione:

– “Dar al-islam”: territorio dell’islàm.
– “Dar al-harb”: territorio della guerra o sedizione. (Da non intendersi come “dar al-jihad” e cioè territorio della guerra santa o della crociata).

Questo aspetto cambiò la concezione islamica della guerra traducendola in una conflittualità permanente tra due realtà in cui non ci sono veri e propri combattimenti.

Questa è la chiave di lettura per capire la “jihad”.
E’ una maturazione che avviene nei primi due secoli dell’islàm come concettualizzazione di due fatti contrastanti: fulminea espansione iniziale del messaggio e necessità di adattarsi alla stasi delle conversioni.

“Jihad” deriva dalla radice araba “jhd” che indica: “sforzarsi-applicarsi a qualcosa”.
Dal punto di vista “islamico-religioso” è lo sforzo volto a realizzare sulla terra la volontà di Dio.

Nella tradizione islamica, alla domanda cosa fosse più importante, Maometto rispose: “La preghiera, la riverenza ai genitori e il jihad sulla via di Dio”.

La tradizione islamica prevede quattro modi in cui si assolve alla “jihad”: “con l’animo, parola, mano, spada”.

Animo: sforzo individuale contro le proprie inclinazioni negative. Qui si nota la sfumatura etica che vale anche per parola e mano (“fare il bene ed evitare il male”).
Sono sforzi all’interno della comunità.

Spada è sforzo all’esterno della comunità.

Sura 9, 29: “Combattete quelli che non credono in Dio e nell’ultimo giorno, quelli che ritengono lecito ciò che Dio e il suo Messaggero hanno dichiarato illecito e, fra coloro cui fu dato il Libro, quelli che non professano la religione della verità. Combatteteli finché non paghino umilmente il tributo, a uno a uno”.

Gli ebrei, cristiani, sabei e zoroastriani, pagando il tributo si sottraevano all’alternativa della conversione all’islàm o della spada e potevano continuare a praticare la loro religione.

Al tributo erano tenuti i maschi adulti, sani di mente e di corpo.
Erano esentati le donne, vecchi, bambini, poveri compresi i monaci e gli schiavi.

Il tributo era pagato in contanti o in natura e non era gravoso.
Questa mitezza di comportamento fu una delle cause per la rapida diffusione dell’islam soprattutto nei territori prima dominati dai bizantini che invece erano estremamente esosi.

Importante: questo versetto viene compreso come il fondamento della guerra santa.

Attenzione: qui la radice “jhd” non compare.
E’ presente invece la radice “qtl” che indica: “combattere, uccidere, eliminare fisicamente”.

In tutti i passi coranici dove ricorre la radice “jhd”, non è mai direttamente o esclusivamente legata né alla guerra né al conflitto armato, ma sempre connessa allo sforzo personale/impegno.

Sura 25, 52: “Perciò non seguire i miscredenti ma combattili vigorosamente col Corano”.
Qui occorre sostituire “combattimento” con “sforzo” .

Sura 9, 73: “O Profeta, combatti i miscredenti e gli ipocriti!”
Qui occorre sostituire “combatti” con “impegnati contro”.

La Sura 33 descrive l’ultimo scontro fra Maometto e i meccani nella primavera del 627.

Il corano per parlare dell’attività militare e del combattimento con l’annientamento del nemico usa “qtl o hrb”:
Sura 9, 13-14: “E come non dovreste combattere della gente che ha violato i giuramenti, ha cercato di scacciare il Messaggero di Dio e vi ha assaliti per prima (…) Combatteteli dunque! Dio li punirà per mano vostra e li umilierà, vi farà trionfare su di loro”.

Sura 8, 39: “Combatteteli finché non ci sia più sedizione, e il culto sia reso solo a Dio”.

Sura 2, 193: “Combatteteli dunque finché non ci sia più sovversione, e la religione sia quella di Dio”.

In un “hadith” di Maometto leggiamo che ritornando da una razzia avrebbe detto: “Ora ritorniamo dal piccolo jihad al grande jihad”.

Interrogato sul significato rispose: “E’ lo sforzo contro noi stessi”.

E’ la stessa tesi dei “sufi”: un cammino-attività spirituale per staccarsi dagli affari terreni e cercare l’unione con Dio.

Sura 2, 216: “Vi è prescritta la guerra, anche se non vi piace; ma ciò che non vi piace potrebbe essere un bene per voi, e ciò che vi piace potrebbe essere un male. Dio sa: voi non sapete”.

Qui compare il termine “al-qital” che significa “guerra” nel senso comune-tradizionale.

Abbiamo dei versetti di epoca meccana (il periodo caratterizzato dall’aspetto profetico-religioso) che invitano a sopportare passivamente la persecuzione:

Sura 13, 22: “Quelli che sono pazienti, per la brama di vedere il volto del loro Signore, compiono la preghiera e, in privato e in pubblico, danno in elemosina una parte di ciò che la nostra provvidenza ha loro elargito e vincono il male col bene. Costoro avranno in premio la dimora celeste”.

Sura: 41, 34-35: “Il bene non è uguale al male. Respingi il male con un bene più grande, e chi ti era nemico diventerà intimo amico. Ma vi riusciranno solo quelli che sanno pazientare, vi riusciranno solo quelli che Dio colma dei più insigni favori”.

Diversi sono i testi dell’epoca medinese in cui Maometto era anche capo politico.

Sura 2, 190: “Combattete per la causa di Dio quelli che vi combattono, ma non aggrediti per primi: Dio non ama gli aggressori. Uccideteli ovunque li troviate e scacciateli da dove hanno scacciato voi, poiché la sovversione è peggiore dell’uccisione. Non combatteteli però presso il Sacro Tempio, a meno che non vi attacchino per primi: in tal caso, uccideteli. Ecco la ricompensa dei miscredenti! Ma se desistono, sappiate che Dio è indulgente e misericordioso”.

Qui compare il termine “guerra = qtl” ma a scopo difensivo.

Sura 22, 39-40: “A quelli che hanno subito torti è dato il permesso di reagire e di combattere – Dio è ben capace di soccorrerli – a quelli cioè che sono stati scacciati ingiustamente dalle loro case (…)”.

Altri versetti, invece, autorizzano l’attacco.
a) Quelli che lo permettono ad eccezione dei quattro mesi sacri (appartenevano al paganesimo preislamico, e una volta trascorsi, gli idolatri dovevano scegliere tra la conversione all’islàm o una guerra senza quartiere): “Ti domandano se è lecito combattere nel mese sacro. Rispondi: Combattere in quel mese è peccato grave, ma ancor più grave è agli occhi di Dio distogliere dalla via di Dio, non credere in lui, profanare il Sacro Tempio e scacciarne la gente” (Sura 2, 217).

“Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete gli idolatri ovunque li troviate (…) Se invece si convertono, fanno la preghiera e pagano la decima, lasciateli in pace, perché Dio è indulgente e misericordioso” (Sura 9, 5).

b) Quelli che danno il permesso incondizionatamente: “Sura 4, 74-76: “Combattano dunque per la causa di Dio quelli che sono pronti a sacrificare questa vita terrena per l’altra vita, perché a colui che combatte per la causa di Dio e sarà ucciso o vincerà daremo una mercede immensa. Che avete dunque? Perché non combattete per la causa di Dio e per i più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini che dicono: Signore nostro, facci uscire da questa città di gente iniqua (sono i musulmani rimasti bloccati alla Mecca tra i pagani)! Dacci, per tua grazia, un patrono! Dacci, per tua grazia, un difensore! Quelli che credono combattono per la causa di Dio, ma quelli che non credono combattono per la causa degli idoli”.

Importante: i versetti della Sura 9 abrogano quelli della Sura 4.

Ma non tutti in ambiente musulmano concordano sulla teoria dell’abrogazione. Per molti non è chiaro fino a che punto vale l’abrogazione dato che i disegni di Dio sono comprensibili solo a lui mentre all’uomo ciò è precluso.

Il “jihad” è un obbligo e non un dovere come i cinque pilastri.
Il “jihad” con la spada, poi, è un obbligo che deve essere compiuto dalla comunità nel suo insieme.
Solo nella difesa, in caso di attacco, il “jihad” diventa un dovere che implica anche le donne, vecchi e bambini.

Solo dal secolo X il “jihad” diventa “azione militare religiosamente giustificata al fine di creare un ambiente universale islamico”.

L’uccisione di un uomo è sempre stata compresa come atto sacrilego, ma in tal modo si è trovata la giustificazione religiosa a ciò. Questo è stato anche il problema dell’ebraismo e del cristianesimo.

Problema: “quale autorità stabilisce che il conflitto è giusto ed è doveroso prendervi parte?”
E’ il cosiddetto “jus ad bellum” del diritto romano.

Problema: “come bisogna comportarsi in guerra, con i combattenti e i non combattenti? Quando ha termine o scontro? Bisogna annientare o meno il nemico che non vuole arrendersi o convertirsi?”
E’ il cosiddetto “jus in bello”.

Ad un certo punto nascono delle guerre all’interno del mondo musulmano, tra le stesse comunità musulmane. Tutto ciò manda in crisi il mondo musulmano.
Si pone allora la questione dell’autorità e si trova la relativa risposta:
“Nel mondo musulmano non importa come il potere viene preso, ma come viene esercitato”.

La contestazione di un sovrano riguardava il modo di esercitare il potere: non sull’usurpazione ma sulla tirannia.

Con l’ingresso nell’islàm delle popolazioni mongole, che saranno la spina dorsale dell’esercito islamico, cambierà ancora il concetto di guerra che sarà compreso come uno strumento violento per far trionfare la volontà di Dio non solo contro gli infedeli esterni ma anche contro quelli interni, ossia nei confronti di altre dinastie musulmane.

Noi occidentali equipariamo il “jihad” con le crociate, ma ciò è sbagliato.

“Jihad” indica uno stato di conflitto permanente fra “dar al-islam” e “dar al-harb” che si concluderà solo con la conversione di tutta la terra all’islàm.

Le crociate sono state un fenomeno limitato nel tempo (le ufficiali sono solo otto dal 1095 al 1270 ma ve ne sono state molte altre) con obiettivi limitati.

Il “jihad” assomiglia invece alle “missioni cristiane”, fenomeno che non ha limite di tempo e ha come obiettivo l’evangelizzazione-conversione dell’umanità alla fede cristiana.

Un attento studio delle missioni cristiane, mostra come esse sono avvenute nella maggior parte dei casi: al seguito dei soldati, con l’aiuto delle armi e con un processo di “europeizzazione”.

Il problema del rapporto con i non credenti che non accettano di convertirsi è cruciale, soprattutto per un monoteismo a respiro universale.

Le crociate hanno visto l’intervento diretto in ambito temporale e militare della Chiesa il cui potere avrebbe dovuto essere solo religioso; mentre nel caso del “jihad” si è assistito a una separazione/scissione dei due piani (religioso e politico).

Per la maggioranza degli studiosi musulmani esiste tra “dar al-islam” e “dar al-harb” uno stato di belligeranza ininterrotto…

Problema: questo stato di cose sarà mai risolto? E come?

Hadith di Maometto: “Il mio popolo sarà diviso in 73 sette (= parti) e tutte, salvo una, si salveranno”.

Da ciò l’islàm considera imperfetti gli altri monoteismi, ma validi.

Quindi: tolleranza religiosa, sociale, culturale e giuridica. Ma non uguaglianza.

Per le genti del Libro esiste un’alternativa tra la conversione all’islàm e l’annientamento: possono continuare nella loro fede a condizione di riconoscersi sottoposte all’islam (cfr. Sura 9, 29 citata precedentemente).

Queste disposizioni, però, già esistevano presso le tribù beduine.
Inoltre erano rivolte inizialmente solo a ebrei e cristiani per motivi religiosi, ma in seguito anche ad altre comunità per motivi politici ed economici.

I primi furono i zoroastriani dell’Iran, conquistati dall’islàm ma ancora troppo numerosi, forti e importanti nella gestione dello stato musulmano per poter essere ignorati o eliminati.

Poi i buddisti e gli indù abitanti delle terre indiane, perché i musulmani avevano conquistato il potere ma erano in minoranza numerica.

Le cose cambiano a partire dalla seconda metà del XIX secolo nei territori ottomani a causa della penetrazione delle potenze coloniali.

Entrano del “dar al-islam” movimenti nazionalistici di ispirazione europea e inizia il crollo del concetto di “dhimma”.

Nel 1860 iniziano i primi massacri a carattere religioso in Libano.

Nel 1915-1916 abbiamo il genocidio degli Armeni ad opera dei Giovani turchi favorevoli all’occidentalizzazione della Turchia.
Gli scambi forzati di popolazione fra Turchia e Grecia. Scontri fra indù e musulmani durante il processo di indipendenza dell’India…

Cambia il concetto di “jihad” e la sua attuazione pratica.
Si inizia a parlare di campagne militari non più di espansione ma di lotta alla penetrazione coloniale.

L’episodio più eclatante è l’appello alla “jihad” dell’11 novembre 1914 che accompagnò l’entrata in guerra dell’impero ottomano contro Francia, Gran Bretagna e Russia.
La dichiarazione di guerra fu accompagnata nel “dar al-islam” da una “fatwa” che autorizzava il sultano Mehmet V a dichiarare guerra a Francia, Gran Bretagna e Russia.

Aspetto interessante: l’appello richiedeva il dovere di partecipare alla guerra ed era esteso, per la prima volta, non solo ai sudditi dell’impero ottomano ma a tutti i musulmani della terra, soprattutto quelli sotto il dominio coloniale dei nemici della Turchia.

Le potenze coloniali, allora, fecero pressioni sugli “ulama” dei territori da loro controllati affinché emettessero una “fatwa” che dichiarasse non conforme alla “sharia” il proclama del sultano.

I leader religiosi algerini sostennero che il “jihad” del sultano non era valido e che i musulmani di Algeria avrebbero appoggiato le legittime autorità locali.

Ritorna il principio prima enunciato: ciò che conta non è il modo in cui viene preso il potere ma come esso viene esercitato.

Stessa cosa accadde in India con la collaborazione con gli Inglesi dopo la violenta ribellione del 1857.

Sayyid Ahmad Khan propose una nuova interpretazione della “jihad” da cui si ricavava che i musulmani potevano essere contemporaneamente leali con gli inglesi e collaborare al benessere dell’India.
Egli criticò la teoria dei versetti abrogati e abroganti e precisamente i versetti più militaristici successivi a quelli concilianti del periodo meccano.
Per lui la “jihad” è doverosa solo in caso di attacco o concreta oppressione o impedimento per il musulmano di esercitare la propria fede, manifestata dall’impossibilità di attuare i cinque precetti.
Dato che gli Inglesi non vietano tutto ciò, non è ammissibile la “jihad” contro di loro.

In Egitto invece le cose vanno diversamente e la lotta contro il colonialismo viene classificata come “jihad”.

Stessa cosa in Pakistan.
Il richiamo al “jihad” viene fatto anche dai leader laici ed è una strumentalizzazione per godere del sostegno religioso.

La lotta dei palestinesi contro la penetrazione dei sionisti in Palestina durante gli anni Venti e Trenta non fece mai ricorso al “jihad”.

Non ci fu ricorso al “jihad” nemmeno nelle guerre fra Israele e gli Stati Arabi del 1948, 1956, 1967, 1973.

Oggi il “jihad” è la parola d’ordine dei movimenti che si oppongono sia all’imperialismo sia ai regimi locali. Tale “jihad” ha assunto forme di terrorismo.

Abbiamo visto che il “jihad” è un dovere collettivo di tutta la comunità islamica, ma oggi con gli stati-nazione è di fatto inutile.

Gli Stati musulmani hanno aderito al diritto internazionale per risolvere i conflitti (cfr. guerra Iran-Iraq) e tutti hanno aderito all’ONU.

Il diritto internazionale è di matrice europea ed è stato accettato e riconosciuto dagli Stati musulmani contemporanei e dai gruppi che vi detengono il potere.

Casi particolari di popoli senza stato: precedentemente i palestinesi e oggi i curdi.
Le loro lotte erano comprese come guerra giusta.

L’attuale attivismo politico islamico da parte di gruppi fondamentalisti si inserisce in due vuoti: quello delle strutture indigene e quello dei modelli importati dall’Occidente.

Più che contro la civiltà occidentale sono contro la pretesa che si tratti dell’unico modello di civiltà mondiale.
(Cfr. D’altra parte basta vedere gli scontri fra cattolici e protestanti in Irlanda del Nord, il proliferare di sette protestanti fondamentaliste americane, le crociate dei fondamentalisti cristiani antiaboristi negli USA).

S. Freud si interroga, nel 1915, sul perché di quella guerra in Europa:
“La guerra non si lascia sopprimere; fintanto che le condizioni di vita dei popoli saranno tanto diverse e l’astio fra essi profondo, dovranno pur esserci guerre.
Non è possibile fermarla con il diritto, le leggi…con i prodotti intellettuali di una società evoluta”.
Scrive ancora in “Perché la guerra?”:
“Il diritto è la forza di una comunità. E’ ancora e sempre violenza, pronta a volgersi contro chiunque le si opponga, operante con gli stessi mezzi, intenta a perseguire gli stessi fini”.

I gulag e i lager dimostrano che l’uomo crede nelle scorciatoie offerte dalla violenza per realizzare le proprie idee…
Filippo Tommaso Martinetti: “Non ammettiamo per il mondo, che un’unica igiene: la guerra”.
Elemosina
Islam
E’ uno dei cinque precetti. Vi è tenuto ogni fedele, uomo-donna, il cui patrimonio superi una certa entità.
In arabo è detta “zakat” (in italiano significa “purificazione”). In ebraico è “zedaqah”.

La tassa è un dovere religioso, ma lo Stato la può imporre.
E’ versata in denaro o in prodotti naturali durante il mese di Ramadan.

Finalità: riscatto degli schiavi (in passato); coloro che hanno contratto debiti e non sono in grado di onorare non per colpa propria; coloro che combattono per la fede o la patria; quanti si sono messi in viaggio e non hanno più mezzi per continuare; per gli studenti privi di mezzi.

E’ un fondo per i poveri a cui possono attingere: uomo-donna-musulmano-cristiano-ebreo.
L’ammontare della tassa si calcola sull’intero capitale che supera il fabbisogno familiare.

Finalità religiosa: il fedele si mostra riconoscente per i beni che Dio gli ha dato; vengono mitigati i contrasti sociali e le differenze di classe e promossa una equa ripartizione dei beni; promossa la generosità e l’amore reciproco tra gli uomini.

Il diritto di “proprietà-sovranità-potere” è nelle mani di Dio. Tutto è stato creato per il benessere di tutti.

L’islàm condanna i metodi di guadagno smisurato e l’accumulazione di capitale in un’unica mano e pretende l’assunzione di obblighi sociali.

E’ proibito un guadagno esagerato attraverso il commercio.
Un terzo dei proventi di miniere e natura deve tornare a vantaggio dello Stato.

L’usura è proibita. Secondo molti commentatori islamici, il Corano condanna non solo l’usura vera e propria ma anche qualsiasi forma di prestito a interesse. Da ciò le difficoltà incontrate dalle banche nei paesi musulmani.

Occorre, quindi, ben distinguere tra usura e prestito a interesse.

Sura 2, 275-278: “Quelli invece che vivono di usura sorgeranno dai sepolcri nel giorno della risurrezione come colui che satana ha reso epilettico col suo tocco. E questo perché dicono: Il commercio è come l’usura. Mentre invece Dio permette il commercio e condanna l’usura. Chi viene a conoscenza di questo ammonimento del suo Signore e desiste dall’usura, potrà conservare i guadagni fatti in passato e se la vedrà con Dio; quelli invece che tornano a praticare l’usura finiranno nel fuoco dell’inferno e vi resteranno per sempre. Dio annienterà l’usura e farà fruttare l’elemosina, perché Dio non ama i miscredenti e i peccatori. In verità, quelli che credono, fanno opere buone, compiono la preghiera e pagano la decima saranno ricompensati dal loro Signore, non avranno nulla da temere né li coglierà la tristezza.
O voi che credete! Temete Dio e rinunciate al saldo dell’usura che vi resta da riscuotere, se siete credenti”.

Sura 3, 130: “O voi che credete! Non praticate l’usura esigendo il doppio o il quadruplo della somma prestata!”

Sura 30, 38-39: “Dà al tuo consanguineo ciò che gli spetta, e così pure al povero e al viandante. E’ la miglior cosa per quelli che cercano il volto di Dio (cfr. Salmo 26,8): quelli sì che sono fortunati!
Ciò che prestate a usura perché aumenti a scapito dei beni degli altri non aumenterà presso Dio, ma ciò che date in elemosina cercando il volto di Dio vi sarà raddoppiato”.
Cristianesimo
Mt. 6, 2-4: “Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nascosta; e il Padre tuo, che vede ciò che è nascosto, ti ricompenserà”.

Nel mondo ebraico esisteva l’elemosina pubblica e quella privata. Nella liturgia sinagogale il posto occupato accanto al rabbino era spesso occupato da colui che nella settimana aveva fatto l’elemosina più consistente.

Gesù, in questo brano, non sta lodando l’elemosina ma sta dicendo: se proprio vuoi farla, almeno non pubblicizzarla.
Non c’è cosa più oscena che pubblicizzare il bene fatto, perché la finalità è costruire il proprio piedistallo, la propria santità, essere di esempio agli altri.
Fare carriera approfittando delle necessità delle persone.

Inoltre, l’elemosina manifesta il divario tra chi dà e chi riceve e non lo annulla.
Ma nella comunità dei discepoli di Gesù nessuno deve essere bisognoso e il compito di questa comunità è che ogni uomo possa fare l’esperienza di essere figlio del Padre.
Non l’elemosina, ma la condivisione (cfr. i brani della condivisione dei pani e dei pesci) deve essere il criterio fondante della comunità dei discepoli di Gesù.

Mc. 14, 3-7: “Gesù si trovava a Betania, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Essa ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni (nella versione di Giovanni è solo Giuda ndr) che, fra di loro, si indignarono: Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per trecento denari e darli ai poveri.
Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: Lasciatela stare; perché le date fastidio? Essa ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, ma non sempre avete me”.

Il brano è riportato anche da Matteo 26, 6-11 e da Giovanni 12, 3-8 con varianti.

Questo testo non dice che la comunità (la chiesa) deve fare elemosina ai poveri, deve interessarsi dei poveri, ma afferma che i poveri fanno parte della comunità/chiesa.
I poveri non sono l’interesse della chiesa, ma sono chiesa!

Nel suo percorso storico e fino a tutto il medioevo la chiesa, secondo la sua teoria economica e morale, proibiva il prestito di denaro a interesse perché era un guadagno ottenuto senza lavoro.

In seguito, per evitare che l’ingente ricchezza derivata da questa attività finanziaria andasse solo in mani estranee, si corse ai ripari per trovare una giustificazione su base etica al prestare denaro a interesse.
A ciò contribuì l’attività di riflessione dei due movimenti pauperistici: francescani e domenicani.

Inizialmente i francescani erano contrari, mentre i domenicani erano a favore.
In seguito si raggiunse l’accordo: è lecito prestare denaro a interesse purché l’interesse non superi il 5%, in caso contrario si tratta di usura e si incorre nel divieto.
Ebraismo
L’ebraismo pratica l’elemosina privata e collettiva.
Ma il testo biblico conosce gli strumenti da usare per far sì che la disuguaglianza sociale non arrivi al punto limite da non essere più recuperata e diventare causa di radicale squilibrio in un popolo all’interno del quale Dio non vuole ci siano bisognosi (Dt. 15, 4).
Altrimenti ciò significherebbe il fallimento della liberazione dall’Egitto.

La prima invenzione di Dio è l’anno giubilare (Lv. 25, 8-17).
Ogni cinquant’anni la terra ritorna al primo proprietario/lavoratore, in tal modo si rende evidente che l’unico vero proprietario è Dio e l’uomo è solo colui che coltiva e custodisce il suolo (Gn. 2, 15). In tal modo è salvata anche la destinazione universale della terra e dei suoi beni.

Può darsi che qualcuno sia più bravo, più furbo, e partendo dal suo pezzetto di terra riesce a possedere una fortuna mentre altri, a causa di negligenza o incompetenza, perdono tutto.
Tutto ciò può durare fino all’inizio del successivo giubileo. Appena il suono del corno dà inizio al giubileo, ognuno ritorna in possesso di quello che aveva.

Bella questa idea di Dio, peccato che storicamente sia stata abbandonata o forse mai attuata e per evidenti motivi…

Occorre ricordare che nel mondo ebraico la terra è sinonimo di dignità: un uomo senza terra è un uomo senza dignità. E’ un uomo senza libertà e deve ricorrere al lavoro subordinato, essere lavoratore-servo-schiavo di qualcun altro e ciò contro la volontà di Dio che ha reso libero Israele e che gli ha donato una terra capace per tutti…

Nell’epoca caratterizzata dal commercio, dalla moneta, dalla forte urbanizzazione, un altro rischio si rende reale per il popolo di Israele: quello di chiedere un prestito e non poterne onorare il pagamento, per cui si verifica l’ingigantirsi del debito e l’essere costretto a diventare schiavo del creditore fino all’estinzione del debito.

Anche questa situazione mette in crisi la teologia liberante dell’esodo.

A questo punto, per evitare che i ricchi diventino sempre pi ricchi e i poveri sempre più poveri, Dio inventa l’anno di remissione che ricorreva a scadenza settennale (Dt. 15, 7-11).

L’idea era semplice: una persona chiede un prestito e si impegna a pagarlo entro l’arrivo dell’anno di remissione. Se non ci riesce, con l’arrivo di quest’anno viene cancellato/azzerato tutto ciò che rimane da pagare.
Era una formula di riequilibrio sociale sul modello dell’anno giubilare.

Evidentemente questa soluzione non era gradita da chi operava il prestito, per cui nessuno più prestava.
Quindi, l’invenzione di Dio per salvaguardare le categorie più deboli si ritorce proprio contro di loro perché più nessuno era disponibile a prestare denaro.

A questo punto il rabbino Hillel inventa la soluzione che porta il nome di “prosbul”: la persona che riceve il prestito, si impegna per iscritto a liquidare il dovuto anche dopo l’anno di remissione.
Quindi, l’anno di remissione resta solo nella bibbia, ma non diventa storia: è lettera morta.

La seconda grande idea di Dio viene di nuovo vanificata e sempre a motivo degli egoismi individuali camuffati da buon senso (io ho lavorato tanto, più di quell’altro, ed è giusto che abbia tutto ciò…).

Gesù non accetta tale soluzione e propone:
– in sostituzione dell’anno giubilare, la condivisione dei pani e dei pesci, vale a dire la condivisione di ciò che si ha e di ciò che si è;
– in sostituzione dell’anno di remissione ciò che è contenuto nel “Padre nostro” e cioè “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, vale a dire che nella comunità dei discepoli di Gesù non ci devono essere né creditori né debitori.

Per ciò che riguarda l’usura leggiamo da Es. 22, 24:
“Se presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse”.
“Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro né di viveri né di qualunque cosa che si presta a interesse. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese in cui stai per andare a prender possesso” (Dt. 23, 20-21).

Interessante da leggere Dt. 24, 19-22.

Satana – demonio
Ebraismo
Nella bibbia esiste il termine satana,tradotto diavolo nella versione greca, che rappresenta colui che a Dio racconta il falso dell’uomo e all’uomo racconta un Dio falso.
E’ la figura dell’accusatore.

Interessante il brano del censimento del popolo operato da Davide nelle due versioni sotto riportate:.

a) 2 Sam 24, 1: “La collera del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: Su, fa’ il censimento di Israele e di Giuda”.

b) 1 Cr 21, 1: “Il Satana insorse contro Israele. Egli spinse Davide a censire gli israeliti”.

Il primo testo è precedente al secondo: in Samuele è Dio stesso che tenta, mentre in Cronache è il satana.
Ovvio che la spiegazione più adeguata e matura è quella di Cronache.

L’autore di Samuele, invece, era preoccupato di non cadere in una forma di manicheismo per cui attribuiva tutto a Dio, sia il bene che il male.

Il satana di cui si parla in questo testo e in altri, poi citati, non ha nulla a che vedere con l’immagine della testa di caprone con corna e coda…o peggio ancora con lucifero e gli angeli ribelli a Dio e per questo precipitati all’inferno…o cose del genere.

Ecco alcuni testi: Gb 1, 6-12; 2, 1-10 (del periodo persiano); Zc 3, 1 ss; Is 14, 12-15.

Per quanto riguarda l’unico demonio nella bibbia bisogna andare al libro di Tobia (deuterocanonico).
Cristianesimo
Per poter approfondire in modo scientificamente adeguato l’intera problematica consiglio il seguente libro:
Albero Maggi, Gesù e belzebù. Satana e demòni nel vangelo di Marco, Cittadella editrice.

I vangeli distinguono tra diavolo e demonio. Gesù non libera mai persone possedute dal diavolo.

Diavolo indica: persone, istituzioni, realtà concrete che si oppongono al messaggio di Gesù e che possono appartenere sia al gruppo dei discepoli (in Mt.16, 23 è Pietro che viene apostrofato con il termine satana da Gesù) sia al mondo delle autorità religiose di Israele.
Demonio è quella realtà che prende possesso della persona, la riempie, indirizzandone la vita ed ha diverse connotazioni: potere, dominio, ricchezza, religione/religiosità.

Gesù incontra queste categorie di persone e le invita a cambiare, le libera offrendo loro un altro modello di esistenza fondato sulla logica del “donare-servizio-amore gratuito”, ad operare come opera lui e il Padre suo, e nostro, che è nei cieli.
Islam
Iblis = satana

Sura 2, 34-36 (e anche Sura 7, 11-25): “E quando dicemmo agli angeli : Prostratevi davanti ad Adamo!, si prostrarono tutti eccetto Iblis, che rifiutò superbo e divenne miscredente.
Dicemmo pure: O Adamo, abita tu e tua moglie nel giardino e mangiatene liberamente i frutti dove volete; non avvicinatevi però a quest’albero, perché allora diventereste iniqui.
Ma Satana li fece scivolar via dal giardino e li tolse dalla condizione felice in cui si trovavano”.

Sura 15, 30-42: “Così gli angeli lo (cioè Adamo) adorarono tutti insieme, eccetto Iblis che rifiutò di unirsi a quelli che adoravano.
Dio allora gli domandò: O Iblis, che hai da non unirti a quelli che adorano?
Rispose: Non sarà mai che io adori un uomo che hai creato di argilla secca e di fango impastato!
Esci allora di qui, gli disse Dio, perché sei davvero maledetto (…)
Disse ancora Iblis: Mio Signore, poiché tu mi hai fatto errare, io farò apparir bello agli uomini il male sulla terra e li farò errare tutti quanti, eccetto i tuoi servi sinceri.
Dio rispose: Questa è per me una retta via. In verità, sui miei servi non avrai nessun potere, ma solo sui traviati che ti seguiranno”.

Sura 16, 99: “Satana non ha nessun potere su quelli che credono e che confidano nel loro Signore: egli ha potere solo su quelli che lo scelgono per patrono e sugli idolatri che adorano altri dèi accanto a Dio”.
Sessualità
Ebraismo
“Tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio” (Dt. 14, 2).

Perché ciò avvenga occorre essere puri:
“Così (Dio) lo purificherà e lo santificherà dalle impurità degli israeliti” (Lv. 16, 19; Ez. 36, 23-25).

Purezza del corpo (Lv. 12-13 ss), del servizio divino (Lv. 11-17-21 ss) e morale (Ger. 13, 38).

L’igiene sessuale assegna al rapporto sessuale la continuazione della specie come compito e comandamento principale:

“Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn. 1, 28; 9, 1).
Ma riconosce anche la soddisfazione del piacere sessuale indipendentemente dallo scopo della procreazione:

“Sia benedetta la tua sorgente; trova gioia nella donna della tua giovinezza: cerva amabile, gazzella graziosa, essa si intrattenga con te; le sue tenerezze ti inebrino sempre; sii tu sempre invaghito del suo amore” (Prv 5, 18-19).

Il “Cantico dei Cantici” è il racconto dell’amore più alto dell’intera tradizione biblica e della letteratura antica.

La letteratura talmudica e rabbinica si mantiene in una via di mezzo tra la totale approvazione ai sensi e la castità. L’uomo ha sempre comunque la possibilità di pentirsi.

L’astinenza sessuale dice il periodo idoneo al rapporto di coppia e ne indica anche il nuovo inizio (cfr. astinenza periodo mestruazioni…nascita).

Il periodo di astinenza termina con un bagno rituale/immersione (= tebila) in una “mikwe”. La donna si immerge nuda con tutto il corpo e recita una formula di benedizione.
Dopo è pura e può riprendere la sua vita sessuale.

Per l’ebraismo l’astinenza totale non è realizzativa della persona (come per l’Islam che ad esempio non ha l’esperienza monastica). Dal Talmud:

– “Chi non ha moglie non è un essere umano”.
– “Chi non si sposa non è un uomo completo”.

Un solo rabbino nella tradizione giudaica non si è sposato: Simon ben Assaì (circa 110 aC.).
Sua motivazione: “Che cosa devo fare? La mia anima è attaccata alla Torah (non ho tempo per il matrimonio); possa il mondo sussistere ad opera di altri”.

Codice di purità-santità relativo alla sessualità in Lv 18-20.

Per il divieto di avere rapporti sessuali durante lo “Yom Kippur” (= giorno dell’espiazione/perdono e altre solennità leggere Lv 16, 29.

Protezione e diritti speciali alla donna violentata (Dt. 22, 29).

In Genesi 38 è narrata la vicenda di Onan che non si attiene alla legge del “levirato” e per questo viene punito da Dio con la morte.
La tradizione teologico-morale, invece, vedeva nella morte di Onan la punizione per il coito interrotto (tradizione arrivata fino a “ieri”).

Ufficialmente vi era il divieto della contraccezione, ma di fatto venivano usato mezzi per evitare il concepimento come il “moch”.

“Se qualcuno non attua la procreazione è come se spargesse sangue” (Talmud).

“Ma se egli ha dei figli può smettere di procreare ma non di vivere assieme a una donna” (Talmud).

“Nessuno deve astenersi dal procreare a meno che non abbia già figli” (Talmud).
Bet-Hillel dice: un figlio e una figlia.
Islam
La sessualità appartiene alla sfera etica e del diritto. La lapidazione per adulterio non c’è nel Corano per cui ci si richiama alla tradizione.
Il matrimonio deve dare il giusto spazio alla sessualità. La donna può rifiutarsi di avere un rapporto contro natura. L’assenza della sessualità può sciogliere il matrimonio in tribunale.

Nel matrimonio, il rapporto dominante spetta all’uomo. In caso di rottura matrimoniale, la donna può accedere al divorzio, mentre l’uomo può usare anche l’istituto del ripudio.
Cristianesimo
La sessualità è vulnerabile all’egoismo umano:
“Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gn. 3, 16).

I vangeli dedicano pochissimo spazio al tema.
Il brano più vasto e complesso è quello relativo alla risposta data da Gesù alla domanda sulla liceità del ripudio (Mt. 5, 32; 19, 1-9; Mc. 10, 1-11; Lc. 16, 18).

La domanda non riguarda il divorzio, che non esisteva nel mondo ebraico, ma il ripudio e cioè la fondamentale uguaglianza “uomo-donna”: l’uomo è superiore alla donna al punto da usare il ripudio per rompere il matrimonio?

I maschietti che hanno scritto la bibbia si sono premuniti mettendosi un gradino sopra le donne introducendo nella sacra Scrittura questo versetto:

“Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa” (Dt. 24, 1).

Ma Gesù non concorda col Deuteronomio e riporta l’uguaglianza e l’unione “uomo-donna” alla creazione, al progetto di Dio:

“Ma egli (Gesù) rispondendo disse: Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina (Gn. 1, 27) e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne (Gn. 2, 24)”.

Per ciò che riguarda la storia della chiesa, nel secolo scorso abbiamo avute due encicliche sul tema della sessualità-matrimonio:

“Casti connubii” di Pio XI del 1930 e l“Humanae vitae” dei Paolo VI del 1968.

Entrambe le encicliche hanno di mira il rifiuto dei metodi anticoncezionali, ma con le dovute differenze.
Il testo di Pio XI parla dell’unica finalità procreativa del matrimonio, mentre quello di Paolo VI propone una duplice finalità: prima l’unitiva e poi la procreativa.
In tale relazione c’è il problema degli anticoncezionali e il testo di Paolo VI rifiuta tutti i mezzi che non siano naturali.

Ma c’è un problema: oltre alla liceità dei mezzi vi è anche la questione dell’intenzione.
Cioè: io posso usare i metodi naturali ma nel contempo avere una mentalità contraccettiva.
Aborto – Omosessualità – Fecondazione
Cristianesimo
L’aborto, nel testo della “Didaché”, è considerato peccato:
“Secondo precetto della dottrina. Non ucciderai, non commetterai adulterio, non corromperai i fanciulli, non commetterai fornicazione, non ruberai, non farai magie, non preparerai bevande magiche, non farai perire il bambino con l’aborto né l’ucciderai dopo che è nato, non desidererai i beni del prossimo. Non sari spergiuro, non porterai falsa testimonianza, non sarai maldicente, non serberai rancore”.

In seguito diventa omicidio ed è così considerato dalla dottrina recente.
La vita umana inizia al momento del concepimento.
L’embrione è considerato persona anche se non sempre è stato così (ad esempio, S. Tommaso pensava che l’infusione dell’anima umana non avvenisse prima dei 40 giorni).

L’omosessualità viene considerata contro natura e intrinsecamente perversa da cui occorre essere guariti.
I testi biblici tradizionali per condannare tale pratica sono quelli del Levitico riportati anche per l’Ebraismo, più avanti.

Il capitolo 19 del libro di Genesi parla dell’abuso sessuale da parte della popolazione di Sòdoma degli ospiti maschi di Lot.
A questo punto Dio punisce la città:
“(…) il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo” (Gn. 19, 24-25).

L’interpretazione tradizionale era che Dio, in tal modo, punisce la sodomia che diventa allora peccato grave.

Ma la punizione di Dio, secondo il testo di Genesi, non ha come causa la sodomia bensì la violazione della sacra legge dell’ospitalità. E’, quindi, ben altra cosa.
Per quanto possibile bisogna far diventare etero gli omosessuali.
Sì all’omosessuale, ma che accetti la sua situazione come non normale…

Per la fecondazione medicalmente assistita, la posizione ufficiale della Chiesa è critica e di condanna per la versione eterologa e per buona parte dei mezzi nella versione omologa.
La riflessione teologica in ambito cristiano è, invece, più ampia e plurale.
Ebraismo
La vita esiste dalla creazione in un processo continuo. Dal momento del concepimento inizia non la vita (già contenuta nell’ovulo e nello spermatozoo) ma una sua nuova fase.

La vita embrionale non è uguale a quella dell’essere umano perché in evoluzione.
Il bambino è persona con tutti i diritti solo alla nascita o al momento dell’uscita della maggior parte del suo corpo dall’utero della madre.

L’aborto, anche se ritenuto cosa negativa, è previsto in caso di pericolo per la salute psico-fisica della madre.

Esempio: se i medici sconsigliano il prosieguo della gravidanza, ma la donna dichiara di affidarsi a Dio e continuare, l’ebraismo considera la sua scelta un caso di suicidio.

Se si vede una persona intenta a togliersi la vita si ha l’obbligo e il dovere di disarmarla, così è anche per questa donna.

E’ consigliabile l’aborto nei primi tre mesi, ma non è impossibile neanche al nono mese.
In caso di malformazione del feto è consigliabile l’aborto entro i tre mesi.

Per la fecondazione artificiale le posizioni sono varie come per il cristianesimo.
Omosessualità per il giudaismo ortodosso è un’aberrazione.

Lv. 18, 22: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio”.

Lv. 20, 13: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro”.

Si intende sempre omosessualità maschile e non femminile. Ciò però non significa il rifiuto dei diritti civili agli omosessuali.
Islam
Per alcuni studiosi la vita inizia con il concepimento.
Hadith: 120 giorni dopo il concepimento.

L’aborto è lecito solo in caso di pericolo per la madre e per nessun altro motivo.
A tal proposito può essere effettuato in ogni momento anche se è preferibile entro i primi tre mesi.
Alcuni studiosi lo ammettono in caso di malformazione del feto.

E’ accettata solo la fecondazione omologa e da viventi sposati. Non è ammesso l’utero in affitto.

C’è il divieto dell’omosessualità:
Sura 4, 16: “Se poi sono due di voi che commettono turpitudini, puniteli entrambi; ma se si pentono e si correggono lasciateli in pace, Perché Dio è indulgente e misericordioso”.

Si intende l’omosessualità maschile e non femminile. In alcuni paesi come l’Iran c’è la pena di morte per gli omosessuali attraverso l’impiccagione.
Risurrezione
Ebraismo
Rabbi Meier (II sec. d.C.) commentando Gn 1, 31 così si esprime: “Dio vide che tutto era cosa buona e cosa buona era anche la morte perché separa da questo mondo transitorio e conduce al mondo eterno, dove non c’è più peccato”.
Superamento dell’angoscia delle morte: “Sono io che dò la morte e faccio vivere”.
Is. 26, 19: “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere”.

2 Mac 7, 14.36: “Ridotto in fin di vita, egli diceva: E’ bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sarà per la vita.
Già ora i nostri fratelli, che hanno sopportato breve tormento, hanno conseguito da Dio l’eredità della vita eterna. Tu invece subirai per giudizio di Dio il giusto castigo della tua superbia”.

Questo testo nasce durante la rivolta dei Maccabei contro il dominio ellenistico di Antioco IV Epifanie e che si concluse con la conquista di Gerusalemme e la ritrovata libertà.

Fino a questo periodo, ma anche dopo per molta gente, la ricompensa di Dio per il bene e il male fatto avveniva direttamente in questa vita attraverso la “ricchezza-lunghi anni-tanti figli” per chi si comportava bene, in “povertà-pochi anni-sterilità” per chi faceva il male.

Ma durante questi tre lunghi anni di guerra per la libertà e la salvezza del popolo di Israele, molti sono stati i giovani morti, che non hanno potuto sperimentare il premio in questa vita.

Inoltre, coloro che sono morti per Israele non possono essere paragonati ai morti oppressori, c’è una differenza, non tutti i morti sono uguali perché sono diverse le motivazioni.

A questo punto si fa strada l’idea di una premio o castigo dopo la morte attraverso la risurrezione.

Dalle “Diciotto Benedizioni”:
“Tu sei potente in eterno, Signore che risusciti i morti, che sei grande nel concedere salvezza (d’estate si dice: che fai scendere la rugiada; d’inverno: che fai spirare il vento e fai scendere la pioggia).
Egli nutre i viventi per grazia, fa risorgere i morti con grande misericordia, sostiene i cadenti, guarisce i malati, libera i prigionieri e mantiene la sua fedele promessa a chi dorme nella polvere.
Chi come Te, o Potente? Chi Ti assomiglia, o Re che fa morire e risorgere, che fa sbocciare per noi la salvezza? Tu sei fedele nel far risorgere i morti.
Benedetto Tu, Signore, che risusciti i morti”.
Cristianesimo
Uno dei primissimi testi del N.T. è la prima lettera ai Corinti di Paolo scritta intorno alla metà degli anni 50 del primo secolo d.C.:

“A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, e apparve a Cefa e quindi ai Dodici (…)
Ora, se si predica che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! (…)
Ma se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede” (1 Cor. 15, 3-5.12-13.17).

Per i cristiani di Corinto, di formazione greca, la continuazione dell’esistenza era assicurata dall’immortalità dell’anima. La risurrezione era assente dal loro orizzonte culturale.
Tutto ciò per Paolo è assolutamente rischioso perché mette in crisi il cuore della fede cristiane e cioè la risurrezione di Gesù, il suo mistero pasquale.
Ecco allora l’insistenza, che occupa tutto il capitolo 15 dell’attuale lettera sulla risurrezione di Gesù che è causa della nostra risurrezione.

I vangeli, ma tutto il N.T., dipendono dalla risurrezione di Gesù, nulla è stato scritto se non a partire dall’evento pasquale che ha illuminato l’intera esistenza di Gesù di Nazareth.

Dai vangeli, come dagli scritti di Paolo, emerge che la risurrezione non è un qualcosa da declinare al futuro: oggi si vive, poi si muore e dopo si risuscita.

Ma, la risurrezione è l’esperienza fondamentale già in questa vita: qui ed ora si sperimenta la morte e la risurrezione al punto tale che Gesù, secondo il testo di Giovanni, dice che chi mangia la sua carne e beve il suo sangue (cioè chi fa propria l’esistenza di Gesù col suo stile di vita) ha la vita piena e non fa l’esperienza della morte, ma è già passato dalla morte alla vita.

La risurrezione, quindi, non compete ai morti, ma ai vivi. E’ da vivi che si risuscita!

E’ ciò che celebriamo anche nel battesimo:
“Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione” (Rm 6, 3-59).

Il libro dell’Apocalisse parla della “seconda morte” (cfr. Ap. 20, 14).
La prima morte è quella della “ciccia”, la seconda morte è quella della “persona/soggetto/io”, la cessazione di ogni relazionalità. E l’uomo esiste solo come relazione: è relazione.

Colui che ha fatto della propria esistenza un dono di vita agli altri, dice il vangelo di Gesù, quando arriverà a sperimentare la fine biologica (la morte delle cellule…), questa non interromperà il suo esistere, la sua relazione con sé e con gli altri, ma solo la “trasformerà/trasfigurerà” come è avvenuto per Gesù sul monte, nell’esperienza dei discepoli di Emmaus secondo Luca o al lago di Tiberiade secondo Giovanni…

Chi, invece, ha fatto della propria vita un rifiuto dell’altro, un ostacolo/opposizione alla “dignità-libertà-felicità” degli altri, quando arriverà la fine biologica-chimica, sperimenterà l’annullamento/annichilimento totale di sé: cesserà di essere/esserci.

Questa è per l’Apocalisse, ma anche per i vangeli, la seconda morte, quella definitiva.

La teologia tradizionale parla di una risurrezione alla fine (cosmica) dei tempi, interpretando in tal modo il passo di Giovanni dove Gesù dice: “Lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv. 6, 39).

Ma per l’evangelista Giovanni, l’ultimo giorno non riguarda la fine del mondo, ma il mistero pasquale di Gesù, la sua morte e risurrezione.
L’ultimo giorno è quello definitivo: “Tutto è compiuto” (Gv. 19, 30).

Quindi, l’esperienza della “mia” risurrezione non è rimandata alla fine di questo tempo e di questa storia, ma nel mistero pasquale di Gesù è già presente in questa mia “vita concreta”.
Islam
La Sura 75 è interamente dedicata alla risurrezione.

Sura 75, 37-40: “Non è stato egli (cioè l’uomo) prima una goccia di sperma versato, poi un grumo di sangue? Poi Dio l’ha creato e plasmato e ne ha fatto i due sessi, maschio e femmina? Chi ha fatto questo non saprà risuscitare i morti?”

Sura 3, 145: “Nessuno può morire se non col permesso di Dio, per un decreto che gli fissa il termine della vita”.

Sura 3, 157: “(…) Morti o uccisi che siate, sarete tutti radunati davanti a Dio”.

Sura 3, 185: “Ogni anima assaggerà la morte e nel giorno della risurrezione vi saran pagati i vostri compensi. Chi sarà sottratto al fuoco dell’inferno e sarà fatto entrare nel giardino del paradiso sarà davvero fortunato!”

Con la morte avviene la separazione anima-corpo.
Giudizio finale: alla fine del mondo ricongiungimento anima-corpo e destinazione paradiso-inferno.

Diversi livelli di paradiso: il più in alto vede Maometto, martiri, amici di Dio.
Felicità totale non solo spirituale ma anche “materiale”.

Per alcuni studiosi l’inferno è materialmente concreto con diversi livelli di fuoco.
Ci sarà fuoco che arderà sotto i piedi delle persone e il calore farà bollire il cervello; le persone bruceranno e vi sarà un continuo cambiamento della pelle che brucia: essa si rinnova e viene bruciata nuovamente e questo castigo durerà in eterno.
La temperatura del fuoco non è immaginabile.
Il cibo sarà amaro e sgradevole: le persone si nutriranno di pus e delle cose più immonde che possiamo immaginare.

Sura 44, 34-56: “Ora questi miscredenti dicono: Non c’è che la nostra prima morte, né mai saremo risuscitati. Riportateci qui vivi i nostri padri, se siete sinceri (…)
Prendete il peccatore e trascinatelo in mezzo alla vampa infernale; poi versategli slla testa l’acqua bollente che lo tormenti (…)
E invece i timorati di Dio saranno in luogo sicuro, fra giardini e sorgenti (…) E li sposeranno a fanciulle dai grandi occhi neri (…) e là, dopo la prima morte, non ne gusteranno un’altra, e Dio li preserverà dal tormento della vampa infernale”.

Il vero premio del paradiso, però, è il compiacimento di Dio:
“Ai credenti e alle credenti Dio ha promesso giardini sotto i cui alberi scorrono i fiumi, dove rimarranno per sempre e belle abitazioni nei giardini dell’Eden.
Ma il dono più grande sarà il compiacimento di Dio: sarà quello il supremo trionfo!” (Sura 9, 72).

Sura 74, 27: “Lo vuoi sapere cos’è l’inferno? E’ un fuoco che distrugge tutto, non risparmia nulla, brucia gli uomini”.

Sura 19, 66-72: “Dice l’uomo: Quando sarò morto, sarò fatto uscire dalla tomba? (…)
Non c’è nessuno fra voi che non scenderà nella geenna: è un decreto già promulgato dal tuo Signore. Poi salveremo quelli che ci temono e vi lasceremo dentro gli iniqui, in ginocchio”.

Sura 2, 39: “(…) quelli invece che non crederanno e tacceranno di menzogna i nostri segni, quelli finiranno nel fuoco e vi resteranno per sempre”.

Per i mistici musulmani la morte è invocata perché grazie ad essa si svanisce in Dio.
Hadìth: “Morire ancor prima che la morte vi colga”, cioè vivere sperimentando l’eternità già in questa vita.