Corso domenicale sul vangelo secondo Matteo
Canova – Prof. Antonio Lurgio
COMUNICARE VITA E AMORE (8 dicembre 2013)
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L’ANNUNCIO
10, 5b-7 “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani;
mettetevi in cammino piuttosto verso le pecore perdute della casa
d’Israele. Andando, predicate che il regno dei cieli si è avvicinato”.
E’ stupendo, ma dice qualcosa di strano.
Vengono inviati ad annunciare sulla strada che il regno dei cieli è vicino, perché sulla strada si possono incrociare tutte le categorie di persone. E’ la prassi teologica della teologia della liberazione. Il Dio di Gesù è il Dio della strada e lo si incontra sulla strada che percorre il cammino dell’uomo.
Il nuovo tempio di Dio è la strada e questa deve essere anche il tempio dei discepoli di Gesù. E’ sulla strada che si compie ogni esodo di salvezza. Le pecore perdute della casa d’Israele può significare anche un gruppo particolare all’interno del popolo, il cosiddetto “popolo della terra=’am ha ares”. Erano tutte quelle persone che per qualche motivo (a causa di un lavoro disonorevole, mancanza di interesse, ignoranza) rimanevano ai margini della società civile e religiosa.
Perché Gesù vieta di andare dai pagani e dai Samaritani? Due possibili interpretazioni:
• probabilmente Gesù ha visto la sua attività dapprima rivolta verso il popolo d’Israele e solo in un secondo momento verso il mondo pagano. Questo è successo anche a Paolo, quando ha sperimentato l’insuccesso verso i suoi correligionari e si è rivolto poi ai pagani;
• questi discepoli è da poco che stanno con Gesù; hanno capito alcune cose, ma non hanno capito tutta la realtà di Gesù né tutto il suo messaggio. Se questi discepoli non sono riusciti a capire tutta la profondità né di Gesù né del suo messaggio e non hanno capito neanche l’universalismo del Vangelo di Gesù, come faranno a proclamarlo ai pagani e agli eretici Samaritani? Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni sono stati educati all’interno di un esclusivismo e particolarismo di Israele per il quale con i pagani non si doveva avere niente a che fare. Gesù, visto che il suo gruppo non è ancora maturo su questo, li invita a non andare per ora dai pagani (considerati neanche soggetti possibili di salvezza) e dai Samaritani (considerati eretici dagli Ebrei).
Quindi Gesù li invita a non andare per evitare che facciano danni.
I discepoli devono ancora fare un cammino notevole per entrare in piena sintonia con il suo Vangelo. Quando saranno in piena sintonia col suo Vangelo, quando avranno capito che Gesù, per amore, senza distinzioni, è andato fino in fondo donando la sua vita, solo allora li manderà verso i pagani, anzi verso tutti gli uomini.
“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt. 28, 19).
Attenzione: l’azione dello Spirito santo non è mai un’azione che passa sopra la testa della persona; esso potenzia la vita dell’uomo, ma è la persona che lo deve accogliere e poi agire. Se le persone non vogliono andare, lo Spirito santo non riuscirà a mandarle. L’azione dello Spirito santo potenzia il tuo andare, ma non si sostituisce a te. Quindi Gesù li manda verso le pecore perdute della casa d’Israele, quelle pecore verso le quali Gesù ha provato compassione:
“Vedendo le folle ne sentì compassione, poiché erano stanche e prostrate, come pecore senza pastore” (9, 36).
Anche i discepoli, come Gesù, devono andare con la dinamica della compassione. Se io vado con la dinamica della compassione, l’azione dello Spirito è quella di potenziare la mia comunicazione di vita.
Nel momento in cui i discepoli sperimenteranno la morte di Gesù, con la conseguente morte della loro ideologia di supremazia, e la sua resurrezione, saranno pronti per andare verso il mondo pagano e la Samaria, cioè sulle strade del mondo.
La compassione
Apro una parentesi. Nell’Antico Testamento è Dio che prova compassione. Nel Nuovo Testamento sono: il padre dei due figli, Gesù e il cosiddetto buon samaritano. “Compassione” traduce il termine greco “visceri” e indica un movimento interno alla persona, quello che precede il parto,la cui conseguenza è una nuova nascita. Avere compassione significa prendere talmente a cuore quella situazione di morte e trasformarla in una situazione di nuova nascita. E’ assumersi la sua passione, per rigenerare, ricreare vita.
La tua situazione di difficoltà mi causa questo radicale movimento dentro il mio essere, però è un subbuglio creativo: mi metto con te e faccio in modo che tu rinasca a nuova vita. Quando Dio ha compassione significa che Dio interviene a fianco della persona e fa in modo che essa esca fuori dalla sua situazione di infelicità e di difficoltà. “Splanchnizomai” che significa “impietosirsi-avere compassione”, ricorre nel nuovo testamento 12 volte e solo nei sinottici (4 volte in Marco, 5 in Matteo e 3 in Luca). “Splanchnon” presente solo al plurale e che traduce “organi interni – cuore-cordiale propensione – ardente desiderio – misericordia”, compare 11 volte nella letteratura neotestamentaria. Entrambi richiamano l’ebraico “rahamim” che allude al “corpo / utero materno”.
COMUNICARE VITA
10, 8 “Curate gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
Vengono inviati a comunicare vita, cioè continuare quell’attività che Gesù ha iniziato, “svegliare/alzare/risuscitare” da ogni situazione di morte della persona, tirare fuori, risollevare, purificare i lebbrosi (tutte le persone emarginate), scacciare i demoni, cioè liberare le persone possedute da realtà come il potere/denaro/successo…
L’amore, la compassione, la misericordia è rivolta alla messe e deve essere data in modo gratuito. E’ importante questo! L’attività dei discepoli deve mostrare un nuovo volto di Dio che non chiede niente all’uomo.
Gratuità
L’amore di Dio, la compassione di Dio per l’uomo, la sua misericordia, appartengono all’ambito della gratuità, e così devono agire i discepoli, altrimenti sfigurano il volto di Dio. Se Dio è colui che si dona gratuitamente, il discepolo è colui che continua l’azione di Dio in modo gratuito.
Per credere in un Dio veramente generoso, bisogna essere in sintonia profonda con lui, e cioè essere totalmente generosi. Se il discepolo si fa pagare (carriera-potere-prestigio), allora sta sfigurando il volto di Dio e sta ingannando l’uomo.
L’avverbio greco che dice “gratuito=dorean” indica un regalo benevolmente concesso; non c’è motivo per quel regalo, l’unico motivo è la benevolenza di colui che compie questo regalo, il piacere di farlo per amore.
Riporto alcuni versi molto belli da “Il dono” di Jean-Marie Quinche: “Il dono è l’invenzione di Dio per liberare il mondo da tutti i suoi calcoli, da tutte le sue schiavitù, da tutte le sue morti. Il dono è l’intervento di Dio. E’ una parola, un atto, è una persona che si impegna e che mi impegna con Lui, sulla via della speranza. Il dono è il solo atto che io possa compiere al Suo seguito, per scuotere il mondo e ricreare la vita. E’ l’atto d’amore libero e liberatore. Rende vane le speculazioni. Fa saltare i pronostici, attacca le strutture. Sfida gli interessi. Sfugge al controllo dell’uomo. Mammona è spodestato. Ed ancora il dono risuscita la speranza di una vita possibile, di una fragilità condivisa, di una fraternità vera, di una responsabilità accettata per abitare meglio la terra. Parole, parole…tutto qui? E se noi per una volta provassimo per vedere?”
La comunicazione dell’amore e della misericordia di Dio
10, 9-10: “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio è degno del suo nutrimento”. Questa impostazione di Matteo è condivisa anche da Luca; l’unico che diverge è Marco che dice: “E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche” (Mc. 6, 8-9). Matteo e Luca dicono: né sandali, né bastone. Marco invece acconsente al bastone e ai sandali.
Qualche autore scrive: forse il permesso concesso da Marco si riferisce al fatto che sandali e bastone potevano servire da difesa contro gli animali. Luca in Atti (At 20, 33-35) presenta Paolo che sta salutando i presbiteri della comunità di Efeso: “Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!”
Bisogna andare liberi, con la gratuità, senza interessi di qualche genere. Gesù li manda a continuare la sua attività e li manda senza nulla. Cosa significa questo? Nel Talmud c’è scritto che i pellegrini che si dirigono al santuario di Gerusalemme devono andare al tempio a piedi scalzi e senza bastone. In realtà significa che questo “ordine” che Gesù dà ai suoi li mette in quell’ottica di essere pellegrini. Questo perché è il mondo che diventa il nuovo santuario di Dio.
I pellegrini ebrei andavano al tempio di Gerusalemme a piedi scalzi e senza bastone, i discepoli di Gesù vengono mandati scalzi e senza bastone a percorrere il nuovo tempio di Dio, il mondo e i suoi abitanti, verso cui gli inviati devono compiere atti di comunicazione di vita.
Quando una volta all’anno si celebrava la festa del Kippur, la festa dell’espiazione/perdono/riconciliazione – unico giorno in cui ufficialmente un ebreo era tenuto al digiuno dall’alba al tramonto – l’ebreo che andava al tempio doveva andare senza portare nulla di tutte le cose che abbiamo appena elencato (né oro, né argento, né monete di rame nelle cinture, ecc.).
Doveva andarci spoglio, perché si recava al tempio per essere perdonato; era il giorno in cui Dio concedeva il perdono al popolo; era il giorno in cui i peccati del popolo finivano nel capro espiatorio. Solo due capri venivano portati: uno destinato al sacrificio per Dio, l’altro ripieno dei peccati del popolo e che poi veniva allontanato verso il deserto.
L’ebreo non portava altro, perché veniva gratuitamente, per amore di Dio, perdonato e riconciliato attraverso il sangue di un caprone. Gli evangelisti leggono il sangue di Gesù come sangue di riconciliazione. Quella del Kippur era anche una festa particolare, perché era l’unica volta nell’anno in cui solo il sommo sacerdote entrava nel “Santo dei Santi”, nel luogo più intimo del tempio, ed era l’unica volta nell’anno che pronunciava il nome impronunciabile di Dio (=Jhwh).
Ciò significa che mentre per Israele il perdono/riconciliazione era limitato ad un giorno dell’anno, limitato al tempio di Gerusalemme, limitato al solo popolo ebreo, Gesù, mandando i suoi discepoli con queste indicazioni, richiama la riconciliazione/kippur, ma non più limitata ad un giorno nell’anno ma continua, non più limitata al tempio di Gerusalemme ma ovunque i discepoli andranno perché li manda sulle strade del mondo, non più limitata al popolo ebreo ma a tutte le persone che i discepoli incontreranno.
Non ci sarà più alcun rituale ma solo la comunicazione di vita da parte dei discepoli.
“Perché l’operaio è degno del suo nutrimento”. Qual è il nutrimento dell’operaio? Il suo nutrimento è l’amore che comunica, è la misericordia che comunica, perché comunicando amore, misericordia diventi più umano.
“Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt.5, 48) Andate dunque: più amore comunicate, più crescete nell’amore; più misericordia comunicate, più sarete capaci di essere misericordiosi. I discepoli vanno sulle strade del mondo e non portano nulla se non la comunicazione dell’amore e della misericordia di Dio e questo per ogni persona e tutti i giorni dell’anno, senza alcun limite.
Come nella festa del Kippur la misericordia di Dio gratuitamente cancella i peccati del popolo, così i discepoli nel loro andare nel nuovo santuario che è il mondo, devono comunicare gratuitamente la misericordia di Dio e questa misericordia di Dio cancella i peccati delle persone che loro incontrano.
“Avere due tuniche” nella cultura del tempo significava appartenere alla classe alta, accumulare ricchezza. Nella prima Beatitudine Gesù aveva detto: “Beati quelli che sono poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli” (Mt. 5, 3).
Coerenza di vita- disponibilità ad accettare il messaggio
I discepoli devono essere testimoni della beatitudine della condivisione (coerenza di vita). E’ l’unica condizione per essere credibili. Avere due tuniche significa contraddire tutto ciò e non rendere possibile la realizzazione della prima Beatitudine.
10, 11-15: “In qualunque città o villaggio entriate, informatevi se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, sarà più tollerabile la sorte per la terra di Sodoma e Gomorra, nel giorno del giudizio, che per quella città”.
Gesù sta dicendo: l’annuncio che poi portate deve essere fatto in un luogo adatto. Questo luogo adatto è caratterizzato dall’evangelista Matteo attraverso il termine “degno=axios”. Il termine “degno” ricorre ben tre volte in questi versetti 11-15. Poi sempre in 10, 37-38 ricorre altre tre volte: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”.
Quindi nel capitolo 10 per ben sei volte ricorre il termine “degno”. Che cosa significa “degno” secondo l’evangelista Matteo? “Degno” in questo testo non ha il significato di dignità morale (persone che sono più giuste, più corrette, degne di rispetto, di attenzione) come se i discepoli non dovessero cercare le persone onorevole, ma ha qui un significato dinamico.
L’essere degno significa la disponibilità ad accettare il messaggio.
I discepoli devono andare da quelle persone che mostrano un certo interesse per il messaggio, che cercano di essere in sintonia con il messaggio.
Non bisogna perdere tempo perché la messe è molta e gli operai sono pochi. Colui a cui si comunica il messaggio deve essere intenzionato a fare altrettanto in seguito.
Non dipende dal comportamento precedente delle persone, non dipende dallo loro moralità o dal lavoro che fanno, perché nel momento in cui la persona accoglie il messaggio di Gesù, il suo passato, che i vangeli chiamano peccato, viene cancellato. Quindi Gesù invita i suoi ad andare da questo tipo di persone. Essi non devono lasciarsi confondere/fuorviare dal modo di vivere delle persone, dalla scala gerarchica che occupano nella società.
Devono stare attenti solo ad una cosa: se sono disponibili restate, se non sono disponibili andate via. Il tempo è impellente e scarso, in più gli operai sono pochi, quindi non si deve perdere del tempo prezioso per cercare di convincere chi non ne vuole sapere, ma occorre lasciar perdere e dirigersi verso coloro che mostrano almeno un minimo di disponibilità ad ascoltare.
“Se non vi accoglierà e non vi ascolterà” è il segno del rifiuto. Il credente invece è colui che accoglie, che ascolta.
Anche perché il Vangelo di Gesù – che è Vangelo della vita, della compassione, della misericordia, dell’amore – va proposto alle persone, non imposto. “Se vuoi, mi segui”: il Vangelo va annunciato e messo a disposizione della libertà delle persone, senza doverle convincere per forza. Se troverete rifiuto, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi.
Gesù invita i suoi a fare un gesto particolare di fronte a coloro che volontariamente/coscientemente rifiutano questa proposta di vita: toglietevi la polvere dai piedi o dai sandali.
Che cosa significa “togliere la polvere dai piedi o dai sandali?” Significa la non comunione, la piena rottura, la non comunione fra voi e coloro che rifiutano consapevolmente il vangelo del Regno. Perché proprio questo gesto?
Quando gli ebrei andavano in un territorio pagano e poi tornavano in Israele, prima di entrare nella loro terra si toglievano la polvere dai sandali, perché nulla di pagano e di impuro doveva entrare nella terra di Israele. Significa anche che l’ebreo non voleva avere nulla a che fare con i pagani. Matteo scrive che nei confronti delle persone che liberamente/coscientemente decidono di non accogliere il messaggio di Gesù, il giudizio sarà più duro di quello nei confronti di Sodoma e Gomorra.
E’ incredibile! Sodoma e Gomorra sono due città maledette; sono state le due città assolutamente non ospitali nei confronti degli inviati di Dio; hanno violato la legge non scritta, ma divina, dell’ospitalità.
L’evangelista Matteo sta dicendo che l’appartenenza al popolo d’Israele non è garanzia di salvezza. E’ solo l’accettazione del messaggio di vita che garantisce la salvezza. Tu che rifiuti il messaggio di vita, di fatto ti metti nella dimensione della morte. Il tuo stile di vita, il tuo destino è peggio che appartenere alla città di Sodoma e di Gomorra.
Essere nella dimensione della morte è la conseguenza del rifiuto del messaggio della vita. Is. 1, 9-10: “Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto, già saremmo come Sodoma, simili a Gomorra. Udite la parola del Signore, voi capi di Sodoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra”. Am. 4, 11: “Vi ho travolti come Dio aveva travolto Sodoma e Gomorra…” Per conoscere la vicenda di Sodoma e Gomorra occorre leggere i capitoli 18 e 19 del libro di Genesi.
Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe – pecore/lupi
Mt. 10, 16: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.
Rabbi Jehuda ben Simon (posteriore a Matteo): “Dio dice degli Israeliti: Verso di me (=davanti a me) sono semplici come colombe, ma verso (=davanti a) i popoli del mondo (=pagani) sono prudenti (=astuti) come serpenti”. Il versetto è un unicum di Matteo. O il testo di Matteo era conosciuto in ambiente giudaico, oppure era un detto proverbiale.
Occorre distinguere la semplicità dalla credulità (cfr. Lc. 16, 8: “Il padrone lodò quell’amministratore ingiusto, perché aveva agito saggiamente. Poiché i figli di questo mondo sono più saggi dei figli della luce verso la loro stessa specie”). Gesù sta inviando i Dodici e li prepara agli ostacoli che dovranno affrontare. La missione sarà accompagnata da persecuzione/ostracismi/ostacoli. Israele, in esilio e disperso fra le nazioni pagane, viene paragonato a un gregge di pecore in mezzo ai lupi (cfr. IV Esdra 5, 18) e Ez. 34, 8: “Com’è vero ch’io vivo, parla il Signore Dio, poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto di ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge, hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge…”
Qui abbiamo due immagini contrapposte: “pecore/lupi” e “serpenti/colombe”. Pecore/lupi: i discepoli sono “disarmati/indifesi” nella situazione di conflitto violento. E’ a rischio la perseveranza dei discepoli e la fedeltà incontaminata al messaggio di Gesù. Mt. 7, 15: “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi con vesti di pecore, ma dentro sono lupi rapaci”. Abbiamo una specie di vademecum per i “discepoli/missionari” perseguitati a causa di Gesù.
Il principio che deve ispirare l’agire in queste situazioni è: “saggia semplicità”.
• “Saggi/prudenti”: richiama le vergini della parabola (25, 1-13) e 24, 45.
• “Semplici/integri”: richiama lo stile di vita del discepolo. Serpenti: cioè, occorre essere cauti. Il serpente quando attacca nasconde la testa, la mette al sicuro, perché è la sua parte più delicata e importante.
Quindi; bisogna muoversi con cautela e non offrire all’avversario la parte più delicata e importante per non essere eliminato. In più, occorre essere prudenti e non andare nella tana del lupo. In sintesi: i discepoli devono evitare i pericoli inutili. La costruzione del Regno è più importante degli eroismi individuali.
Se la società è totalmente ostile al messaggio di Gesù, si va altrove oppure si trovano altre vie e modalità di proclamazione/comunicazione. Non bisogna essere testardi.
Semplici: cioè, non andare in giro col fare da fanatici in cerca di persecuzione-martirio-vittimismo, ma con la trasparenza di vita già elencata nelle beatitudini con l’espressione “beati i puri di cuore”, che significa esistenza limpida, ciò che uno è dentro così è fuori, non con secondi fini (subdoli e intriganti).
Nel nostro versetto non viene richiamata quell’astuzia che tende all’insidia per far cadere l’altro, ma un atteggiamento (=stile di vita) che sa coniugare la coerenza al vangelo con un lucido realismo.
La persecuzione a cui saranno sottoposti i discepoli non deve essere da loro provocata. Sarà causata da altri e i discepoli l’affronteranno. Rom. 16, 19: “La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti: mentre dunque mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male”. 1Cor. 14, 20: “Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi. Quanto a malizia, siate bambini, ma quanto a giudizi, comportatevi da uomini maturi”.