SCRUTANDO L’AURORA
(Un cristianesimo per domani)
Riflessioni di don MARCELLO FARINA
Parrocchia di Canova (Trento)
Canova, 17 marzo 2006 4° incontro
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Inquietudini e speranze dei cercatori di Dio
1. Il nostro cammino di quest’anno si è tutto incentrato su un tema, quello di «un cristianesimo per domani», che non è stato facile, e non lo è anche oggi, da immaginare e da descrivere. Abbiamo camminato insieme più sulla convinzione, presentata nel primo incontro, che «per la Chiesa di oggi non basta più “sistemare”, bisogna, invece, “traslocare”, e che per i credenti e i cercatori di Dio diventi necessario abitare diversamente un mondo diventato diverso» (J. Delumeau, op. cit., pag. 5). Solo un’attenzione condivisa e appassionata al mutamento in atto può permettere loro di continuare ad annunciare il Vangelo in un mondo profondamente segnato da fenomeni che sembrano radicalizzare la contraddizione della nostra storia quotidiana, tesa tra forme di uniformità e rivendicazioni particolaristiche, tra la ricerca continuata dei diritti di tutti e la violazione sfrontata della dignità di tante donne e di tanti uomini di oggi.
«Anche le grandi Chiese cristiane si trovano di fronte a due movimenti che scuotono il loro statuto storico e il loro funzionamento tradizionale: da una parte, una proliferazione del religioso sia nei gruppi evangelici e carismatici, sia in una ricerca personale, talvolta del tipo “fai da te” che attinge dal fondo religioso planetario; dall’altra parte, una secolarizzazione della società ogni giorno più evidente. Questi due movimenti sono di significato opposto. Tuttavia spesso uniscono i loro effetti per destabilizzare gli apparati ecclesiali e accrescervi il posto dei laici, e specialmente delle donne, cortocircuitando le strutture ecclesiastiche» (J. Delumeau, op. cit., pag. 153).
2. Il ritorno del «sacro» dentro il Cristianesimo
Il fenomeno è davvero molto esteso e anche molto variegato, sia dal punto di vista culturale (che cos’è sacro? che cos’è religioso? che cos’è l’oggetto della fede?), sia dal punto di vista storico, del nostro tempo. Da questo punto di vista «la revanche de Dieu» (la rivincita di Dio), pur con tutta la sua ambiguità (quale Dio, in effetti ritorna?) è un dato di fatto, diffi-cilmente smentibile.
Qui, però, vorrei prestare attenzione a quello che sta avvenendo all’interno del Cristianesimo a partire dalla seconda metà del XX secolo: l’emergere prima delle chiese evangeliche, poi del pentecostalismo all’interno di esse e, infine, dei movimenti carismatici protestanti e cattolici. Le Chiese “evangeliche”, ad esempio, cercano di essere devote, ortodosse e di fare proseliti, unendo insieme il rigore morale e la “rettitudine” dottrinale (molto vicina al fondamentalismo). Esse stanno avendo un enorme successo in America Latina, negli Stati Uniti e nella Corea del Sud, in Africa; ma anche l’Europa non ne è immune, se è vero che il 30% dei protestanti francesi appartiene alla corrente evangelica.
Nei Paesi in via di sviluppo l’evangelismo ha successo in particolare presso popolazioni destabilizzate geograficamente e socialmente. Esso crea delle reti di mutuo aiuto e di socialità a base religiosa.
I pentecostali, a loro volta, esprimono la loro fede con una grande sensibilità emotiva ed effervescente, assicurando di aver rivissuto la Pente-coste e di aver ricevuto il battesimo dello spirito. Proclamano: «Gesù salva, Gesù battezza, Gesù guarisce, Gesù ritorna».
Infine – la terza “sorpresa” – è data dallo sbocciare del «Rinnovamento carismatico» sulla spinta delle esperienze protestanti, all’interno anche della Chiesa cattolica, diffuso in tutte le parti del globo (sono circa 70 milioni i cattolici “carismatici”).
«Due conclusioni almeno possono essere tratte da questi dati. La prima senza dubbio è questa: il posto sempre maggiore che la nostra civiltà concede ai valori profani suscita, per contraccolpo e su scala mondiale, una rivalutazione della preghiera che si manifesta nelle effervescenze carismatiche (e perfino nei comportamenti di quanti si confezionano una religione personale partendo da elementi eterogenei). La seconda conclusione mette in evidenza il bisogno, in un mondo sempre più anonimo e monotono, di una religione calorosa che si esprima nell’effusione, nella spontaneità, nella gioia e nella festa, all’opposto delle cerimonie insieme ripetitive e austere delle chiese cristiane tradizionali. In queste liturgie nuove i fedeli provano un sentimento di liberazione personale mediante la partecipazione a gruppi fusionali che li sostengono, li rivelano a se stessi e permettono loro di aprirsi davanti agli altri» (Ivi, pag. 156).
«Più globalmente, i movimenti evangelici e carismatici degli inizi resero evidenti e pubbliche nel corso del XX secolo le domande religiose non soddisfatte dalle chiese classiche e che rimangono presenti: riavvicinamento tra cristiani, culti non ripetitivi, calorosi e gioiosi, annuncio semplice della fede, strutture comunitarie di prossimità, presa di parola dei fedeli nel corso delle liturgie, valorizzazione della donna.
Ma negli ultimi anni abbiamo assistito a una deviazione, almeno parziale, dalle intenzioni e direzioni iniziali. La volontà di far conoscere e affermare il battesimo mediante lo Spirito, il fervore “di conversione” e il timore di una dissoluzione dell’identità cristiana nella società circostante talvolta si sono trasformati in atteggiamenti fondamentalisti e aggressivi. “Nascere di nuovo” significa spesso, per gli evangelici d’oltreoceano, promuovere una lettura letterale della Bibbia e, inoltre, una mobilitazione contro la chiesa cattolica accusata di “adorare idoli”, in particolare Maria; e la reazione allora è, specialmente in Brasile, la veemenza di preti con il colletto romano diventati come delle “pop star”, che riuniscono a loro volta immensi uditori tuonando contro “le sette”. Il rock evangelico e quello cattolico si fanno così concorrenza attraverso trasmissioni a forte impatto e con cd venduti a milioni di copie» (Ivi, pag. 158).
È chiaro che tutto ciò non è senza inquietudini, dentro il mondo dei credenti e dei cercatori di Dio. Scrive Delumeau: «La tensione verso la prossima e definitiva venuta di Cristo non rischia di essere delusa come lo furono, nel corso dei secoli, altre attese simili della parusia? La tentazione che ne deriva di ripiegarsi fuori dal mondo non può staccare i cristiani del necessario investirsi nei problemi della società? La tendenza al fondamentalismo, l’accento posto sulle “guarigioni”, il profetismo e l’irrazionale sono compatibili con una fede illuminata e paziente che tiene conto con lucidità sia dei progressi dell’esegesi che delle difficoltà concrete e necessariamente ricorrenti della condizione umana? E il troppo forte arruolamento in gruppi fusionali non può soffocare la libertà del credente? Esiste infatti la trappola di guru-seduttori, della manipolazione mentale e di comunità troppo soffocanti nel loro abbraccio. A ciò bisogna poi aggiungere, almeno fuori dalla Chiesa cattolica, il pericolo di polverizzazione rappresentato dal moltiplicarsi di gruppi “senza denominazione” la cui durata peraltro è talvolta molto breve. Infine non fa parte della natura dei movimenti “ispirati” di esaurirsi una volta passato il fervore iniziale? Sono tutti interrogativi che invitano a riflettere sul dopo-carismatismo. Un rovesciamento di tendenza per ora non è immaginabile» (Ivi, p. 159-160).
3. La secolarizzazione
Come si sa, la secolarizzazione ha costituito una delle dinamiche della civiltà occidentale. Nello stesso tempo va ricordato che l’autonomia del profano e del religioso non va scambiata per «secolarismo» o per «laicismo», come sta invece avvenendo dentro la Chiesa cattolica in alcuni suoi livelli anche alti, che confondono secolarizzazione con secolarismo, dimenticando che il Concilio Vaticano II aveva accettato di far posto alla nozione di «autonomia delle realtà terrene». La secolarizzazione – afferma Daniele Hervieu-Leger – non è la perdita della religione nel mondo moderno: è l’insieme dei processi di risistemazione del credere».
E Jean Delumeau spiega: «Conoscendo bene, avendola studiata a fondo, la mentalità di “cittadella assediata” – sottotitolo del mio libro La peur en Occident (La paura in Occidente) – che dominò la chiesa latina al momento della Riforma protestante, auspico con forza che non vi si ricada. In questo la mia diagnosi coincide con quella dell’attuale presidente dei vescovi francesi. Monsignor Ricard consiglia infatti di non cadere nel “complesso della cittadella assediata la quale debba di continuo lanciare frecce contro un mondo ostile”. È questo il momento o mai di ricordarci che il cristianesimo è una religione dell’incar¬nazione. L’affermazione che Dio si è fatto uomo costituisce uno dei suoi messaggi più importanti. Da qui l’urgenza di un’inculturazione che permetta di inserire questo messaggio nel cuore del mondo moderno e la necessità di trovare il linguaggio adatto per presentarlo ai nostri contemporanei. Claude Geffré afferma: “Il cristianesimo rimarrà vivo solo se saprà reinterpretare i suoi testi e adattarli alle nuove situazioni e alla nuova esperienza storica che stiamo vivendo”. A questo prezzo si apriranno le porte del futuro. Infatti nel passato non è mai esistita una civiltà dello stesso tipo della nostra. Da ciò – ed è normale – un difficile ma necessario adattamento» (Ivi, pagg. 162-163).
Poi ancora egli annota: «Tuttavia è necessario misurare bene, in compenso, una conseguenza importante del progresso della secolarizzazione: un magistero della chiesa non può più proclamare la norma come faceva una volta. Le persone “sono pronte ad ascoltare, ma non vogliono che si dia loro degli ordini”. Chiedono di essere associate alle decisioni etiche che le riguardano e che esse dovranno vivere nel quotidiano. Bisogna dunque abbandonare i discorsi egemonici “che pretendono di dire alle persone ciò che devono pensare e come devono comportarsi”. Giacché i fatti sono lì e sono testardi, come osserva ancora M. Gauchet: “Spesso i fedeli non sanno che farsene di quanto può raccontare l’autorità e, anche se sono nel cuore dell’istituzione, non per questo obbediscono”. Un buon osservatore della realtà polacca, lui stesso cattolico polacco, afferma: “Più le raccomandazioni della chiesa sono costrittive, come nell’ambito dei costumi e dei comportamenti, più decisamente vengono respinte dai fedeli”. Si pensi infatti come sono vissute dagli stessi cattolici le proibizioni riguardanti la contraccezione, la fecondazione in vitro, il rifiuto dell’eucaristia ai divorziati risposati, ecc.; e come è stata accolta la richiesta del papa agli avvocati di non difendere le cause di divorzio. Secondo un sondaggio realizzato subito dopo, l’87,5 per cento degli italiani dichiararono di non essere d’accordo con questo invito. Non si tratta forse di una contraddizione evidente? Infatti l’obiezione di coscienza, per definizione stessa, non può essere imposta dall’esterno. Eccoci nel cuore del dibattito odierno tra religione e società».
Occorre ridurre il fossato tra la società moderna (e post-moderna) e la fede cristiana. E lo si può fare accettando le acquisizioni più importanti della civiltà: la responsabilità individuale e l’autonomia della coscienza di ciascuno; la partecipazione degli interessati alle decisioni, specialmente etiche, che li riguardano e, dunque, la creazione nella Chiesa di spazi di dialogo, di strutture di controllo sui poteri ecclesiastici e di regolazioni che permettono il rinnovo di autorità. Si tratta di una comunità più dialogica e più rispettosa del carisma di tutti.
4. Un Dio tolto dall’isolamento, che libera e perdona
C’è una domanda che potremmo rivolgerci alla fine di questo itinerario spirituale: perché ostinarci a proporre (e a proporci) la «scelta cristiana» nella nostra vita? Che cosa essa vuol dire per i nostri contemporanei? In che cosa è sempre di attualità?
La duplice risposta è che il Cristianesimo ha apportato in maniera i-nedita e decisiva
a) una nuova immagine di Dio e
b) ha istituito dei nuovi rapporti tra Dio e l’uomo.
Nella sua straordinaria opera Dio, un itinerario (Dieu, un itineraire) Regis Debray sottolinea con forza che Gesù di Nazareth ha «deterritorializzato» la religione. Egli scrive: «Un divino senza terra, questo non si era mai visto». E prosegue: «Il Dio di Gesù non è più un Dio etnico. Quello del popolo ebreo, l’Unico, escludeva. Questo permette di includere». Egli è l’«Uno per tutti»; noi per lui possiamo tutti essere eletti, senza considerazione di razza, di sesso, di fortuna.
È Dio tolto da «un’enclave», sradicato da una terra singolare; Gesù ha «mondializzato» Dio. «Tutte le nazioni sono ammesse alla sua tavola». Il popolo eletto diventa l’intera umanità. Scrive Delumeau: «Questo sradi-camento fecondo è stato accompagnato da una liberazione dalla schiavitù dei riti, cioè dei 248 comandamenti e delle 365 proibizioni della legge ebraica. Secondo i vangeli Gesù ha insistito a più riprese sulla necessità di non essere schiavi della minuziosità dei riti e sull’ipocrisia che la loro osservanza può nascondere. Egli guarisce in un giorno di sabato e proclama che quest’ultimo è fatto per l’uomo e non viceversa. Quando i suoi discepoli, affamati, raccolgono delle spighe in un giorno di sabato, Gesù li giustifica davanti ai farisei. Prende ancora la loro difesa quando, prima di un pasto, non hanno compiuto le abluzioni previste dalla “tradizione”. Infine l’episodio dei mercanti cacciati dal tempio, che farà scattare il suo arresto. Gesù ha chiaramente privilegiato la santità sul sacro, lo spirito sulla legge, la retta intenzione sul rigore della lettera. Il messaggio rimane valido pure oggi, anche se alcuni ritorni al ritualismo si sono verificati nella storia cristiana. Il cristianesimo nascente affermò veramente la sua personalità e la sua fedeltà al maestro quando, dopo la partenza di Gesù, “gli apostoli e gli anziani” riuniti a Gerusalemme nel 49, decisero di non sottomettere i pagani convertiti alle prescrizioni della legge giudaica, specialmente alla circonci-sione» (Ivi, pag. 178).
Così si può legittimamente assicurare che Gesù di Nazareth ha dato un nuovo statuto alla libertà umana. «Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi», scrive Paolo ai Galati (5, 1.13).
E ha affermato sempre la dignità di ogni essere umano, la sua egua-glianza e la chiamata allo stesso destino della divinizzazione ultima.
Gesù ci ha poi parlato di Dio come di una padre. È una familiarità di cui non si conosce esempio nella storia dell’umanità prima delle lettere di Paolo (Romani 8, 15; Galati 4, 6) e del Vangelo di Marco (14, 36). Scrive Debray: «Al Dio duro degli eserciti, che si vendica e punisce succede uno dolce che perdona e disarma: Jahvè grida; Gesù sorride» del sorriso di Dio.
Nella sua carne Dio si è incarnato: l’Onnipotente non ha fatto finta di essere, ma è stato pienamente uomo e ha condiviso la nostra condizione: gioie e pene, speranze, sofferenze e morte. «Dio piange in una culla – ha scritto Lutero –. Ha succhiato il seno di sua madre ed è stato adagiato nella mangiatoia: ecco l’articolo principale della nostra religione». Egli dunque è nostro compagno di strada; meglio, come abbiamo detto più sopra, egli è il fratello di tutti gli esseri umani, e noi grazie a lui siamo diventati «figli di Dio» (Gv 1, 12). La promozione dell’umanità è avvenuta grazie all’incarnazione. Dio, secondo il Cristianesimo, non è ai margini in rapporto a noi. È presente fra noi, in particolare nei nostri fratelli che soffrono. Mistero, certo. Ma mistero portatore di un’immensa speranza; mistero che ha rivoluzionato l’immagine di Dio e che, in una certa maniera, ha suscitato l’affermazione moderna della «morte di Dio» (Ivi, p. 18).
E poi «l’ultima novità» cristiana, la più paradossale di tutte, ma che dà significato a tutte le altre: la proclamazione della risurrezione di Gesù che è stato «rialzato» tra i morti.
«Mai nessuna religione aveva affermato una cosa simile. Infatti, questa volta non si tratta di una divinità che muore in autunno per risuscitare in primavera, ma del Figlio di Dio strappato definitivamente dal soggiorno dei morti. Noi possiamo rifiutare di credere a questa “follia” – come la chiamava san Paolo -, ma è giocoforza constatare che essa non era mai stata proposta prima nella storia dell’umanità e che non è la base di nessuna religione. In questo c’è proprio un’irriducibile originalità cristiana che, dall’esterno, può sembrare “scandalo” e “stoltezza”. Paolo, tra gli altri, ne ha assicurato con forza il carattere paradossale e perfino provocatorio, spiegando: colui che è stato ignominiosamente crocifisso è risuscitato dai morti. Egli scrive: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1, 23-25). (Ivi, pagg. 182-183).
«Il Cristianesimo crede che ciascuno di noi troverà la piena espansione della propria personalità nella luce del sole divino. E afferma anche che il legame non è interrotto tra i defunti e i vivi; ciò che viene detto dall’espressione “comunione dei santi”, secondo la quale i vivi rimangono uniti ai morti attraverso la preghiera. Certo non possiamo più immaginare il paradiso cristiano come una volta. Il quale peraltro era molto bello, contrariamente a una convinzione diffusa. Aveva accumulato in una son-tuosa somma i temi più seducenti: giardino sempre verdeggiante con fiori eterni, città celeste con mura e porte di pietre preziose, angeli musicanti, assunzione e incoronazione di Maria nell’aldilà, ecc. Oggi sappiamo bene che tali immagini erano soltanto dei modi di dire. Inoltre tutte le scene paradisiache erano localizzate nell’empireo, ultima sfera celeste che inglobava il cosmo di Aristotele e di Tolomeo. Ma Galileo, Keplero e Newton avevano distrutto quell’edificio astronomico così ben costruito; e da allora il paradiso non ebbe più un luogo. Ma Gesù non l’aveva situato né descritto. Il “Regno dei cieli” secondo lui era una situazione di pace e di concordia, il riunirsi felice e definitivo presso Dio di quanti hanno amato il proprio prossimo» (Ivi, pag. 186).
A questa speranza anche noi ci affidiamo, camminando nel «già» e «non-ancora», verso quella pienezza in cui «Dio sarà tutto di tutti».