RESURREZIONE E APPARIZIONI DEL RISORTO
Incontro del 9 Marzo 2014 – Canova
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Nessuna pagina evangelica e del Nuovo Testamento è stata scritta al di fuori della Resurrezione di Gesù di Nazareth. I testi in questione sono post-pasquali: la fede cristiana è fede pasquale.
Seguiamo l’ordine cronologico della loro composizione.
La trasmissione paolina in uno dei testi più antichi.
Lo scritto più antico che parla dell’esperienza del risorto è la prima lettera ai Corinzi di Paolo, databile tra il 54 e il 56 d.C. (Gesù è morto nel 30). In questo testo Paolo esprime il proprio pensiero a riguardo, mentre i Vangeli rispecchiano il pensiero/riflessione delle diverse comunità di riferimento degli evangelisti.
1 Cor 15,3-4 : Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture,
Sono interessanti i verbi: vi ho trasmesso e io ho ricevuto, trasmettere e ricevere; verbi già utilizzati nella 1 Cor 11,23a (Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso). In quell’occasione Paolo è arrabbiato perché viene a sapere che a Corinto accadono cose spiacevoli durante la fractio panis, cioè durante l’eucarestia perché vengono ripresentati gli stessi squilibri/divisioni relazionali presenti nella vita di tutti i giorni (i più ricchi mangiano e bevono perché possiedono e non condividono, mentre i più poveri non trovano nulla), cioè la stessa realtà sociale viene riproposta nella cena e nell’eucaristia. In questo capitolo, prima troviamo il verbo ricevere e poi il verbo trasmettere.
1 Cor 11,23b-25 : il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese un pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Questa è la formula scritturistica sull’eucaristia più antica che abbiamo nel Nuovo Testamento.
Il terzo giorno secondo le scritture.
Oltre al testo di Paolo abbiamo anche la versione dei sinottici (Marco-Matteo-Luca). Il brano paolino però è simile alla versione lucana e lo si deduce molto chiaramente dall’utilizzo dei verbi: Marco e Matteo usano il verbo benedire (teologico) per il pane e rendere grazie per il vino, mentre Paolo e Luca usano solo il verbo rendere grazie. Paolo vi aggiunge l’espressione “secondo le Scritture”, chiave interpretativa di quanto afferma. 1 Cor 15,3a : Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture.
Non si tratta della teoria espiatoria, perché l’aspetto importante non riguarda “i nostri peccati”, ma “secondo le Scritture” e ciò contribuisce a sviluppare una cristologia completamente diversa.
Morì e fu sepolto, due verbi che hanno il compito di fissare nel momento storico l’azione del morire e della sepoltura (in greco all’aoristo, tempo definito/fissato nell’azione storica); risorto (il tempo di questo verbo è diverso) indica l’essere per sempre risorto, cioè non fare più l’esperienza della morte.
E’ risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture: significa che non è risorto il terzo giorno (72 ore dopo la morte), ma il terzo giorno secondo le scritture.
Di questo giorno si parla in due libri dell’Antico Testamento. Amos dice che Dio ci percuoterà, ma il terzo giorno ci solleverà. Giona viene rigettato dal pesce, dopo che per tre giorni era rimasto nel suo ventre (scena spesso rappresentata sui sarcofagi del periodo paleocristiano).
Come dire, la vita che supera la morte era già adombrata nell’Antico Testamento. Ma anche il fatto del numero tre, che nella Bibbia significa completamente, ciò che è completo. Qui, il “secondo le Scritture” interpreta “il terzo giorno“, come dire che la resurrezione di Gesù affonda le radici nella tradizione biblica, dove c’è il Dio della vita e non il dio della morte: la sua resurrezione è completa, definitiva. Il terzo giorno non va conteggiato cronologicamente, ma biblicamente.
Solo cambiando scala di valori Paolo vede Gesù risorto.
1 Cor 15,5-8 : e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.
Paolo aveva detto: vi ho trasmesso quanto ricevuto. Ma ora si apre un problema: visto che questa è la descrizione più antica, da chi l’ha ricevuta?
Da quando Paolo comincia a cambiare idea fino a quando diventa apostolo passeranno dai 17 ai 19 anni. La famosa scena di Damasco: cade a terra, gli occhi si chiudono, viene condotto a Damasco da Ananìa, le squame gli cadono dagli occhi, riprenderà la vista dopo che per tre giorni è rimasto cieco (anche qui tre significa completamente); i tre giorni di Saulo con gli occhi chiusi sono circa 17 anni, tradotti in termini storici.
L’occhio nella simbolica ebraica indica la scala dei valori: Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo (Mc 9,47); che vuol dire: se la tua scala di valori non ti permette di seguire Gesù, perché è fondata sull’avere e sul dominio, meglio cambiarla col donare e col servizio. Se vuoi entrare nel Regno di Dio seguendo Gesù, cavati quest’occhio, cioè cambia scala di valori. Saulo, preso da zelo (quello della tradizione e teologia ufficiale) per Dio, va a catturare quegli ebrei ellenisti che vivevano fuori dalla Palestina e che mostravano simpatia per il movimento dei discepoli di Gesù, come Stefano. Saulo li arresta e li porta a Gerusalemme per farli processare ed eventualmente condannare e giustiziare. E’ lui che presiede all’esecuzione di Stefano.
Ebbene, lui deve cambiare quella sua idea di Dio che a partire dall’età di cinque anni ha bevuto insieme con il latte: non ci vorranno tre giorni di numero, ma quel giusto periodo per modificare completamente la sua teologia/scala di valori. Paolo infatti dirà che, dopo aver incontrato Gesù, quelle cose in cui credeva prima sono diventate spazzatura/escrementi.
Paolo ha ricevuto questa catechesi, si è impegnato, ma queste apparizioni (cristofanie) non le comprende nell’ottica visiva, ma sul piano dell’esperienza vitale. Gesù non si fa presente alla vista dei suoi, ma alla vita dei suoi. Cioè non si rende visibile agli occhi dei suoi discepoli, ma alla loro vita (cfr. i due di Emmaus).
Questo è importante, perché noi siamo portati a pensare che i discepoli abbiano visto Gesù come noi vediamo noi stessi e gli altri. Non è così. Per questo, nessuno è un privilegiato per aver visto Gesù: la possibilità di fare l’esperienza dell’incontro con Gesù è offerta ad ogni uomo in ogni tempo e non è un privilegio di quei pochi all’inizio. Non possiamo dire: beati loro che l’hanno visto in carne ed ossa, e noi sfortunati perché non l’abbiamo visto! Non è così: il Cristo risorto non si rende disponibile alla vista (a livello oculistico), ma alla vita di chi lo vuol seguire.
Dodici, Undici e mondo intero.
Nella testimonianza di Paolo (1 Cor 15,5-8) nessuna donna è compresa, aspetto che nei Vangeli è presente. Gv 20 dedica a Maria di Magdala l’esperienza fondamentale.
In Paolo si parla dei 12 e si parla degli apostoli, come dire che c’è differenza fra le due categorie: come dire che gli apostoli non sono i 12, ma tutti sono apostoli.
Nei sinottici invece si parla di 11.
Luca però ha la preoccupazione di ricostruire il gruppo dei 12: infatti in Atti c’è l’elezione di Mattia che prende il posto di Giuda Iscariota (1,26). Agli altri evangelisti questo non interessa: il loro numero resta 11, ed hanno ragione.
Il numero 12 rappresenta l’Israele definitivo/escatologico (dei tempi ultimi): sono quegli ebrei provenienti dalla Palestina (la stessa famiglia di Gesù…) che hanno dato adesione a Gesù, che in Gesù hanno riconosciuto il Messia di Dio.
Si va dall’Israele storico, con le sue 12 tribù, all’Israele definitivo dei discepoli di Gesù.
Ma ad un certo punto che succede? Che anche l’Israele definitivo (attraverso il numero 12) cede il posto al mondo intero: Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli (Mt 28,19). Se Giuda ha rotto il circolo dei 12, restano gli 11, facendo saltare anche l’ultimo rischio di etnicismo: la persona e il vangelo di Gesù non sono per un popolo particolare, ma per ogni uomo.
Resta comunque da sapere quale sia la fonte di Paolo quando scrive ai Corinzi. Probabilmente Paolo sta già trasmettendo qualcosa che nelle comunità dei discepoli di Gesù sta accadendo, cioè un nuovo ruolo tra donne e uomini: è un aspetto che si trova nei Vangeli, ma anche nel resto del nuovo testamento e negli apocrifi.
L’esperienza al sepolcro nei Vangeli.
Storicamente, subito dopo la lettera di Paolo troviamo il Vangelo di Marco, che potremmo datare con probabilità tra il 55-60 oppure tradizionalmente verso il 65-70.
Mc 16, 1-4 : Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande.
Ci sono tre donne (tra cui due Maria) che portano aromi per ungere Gesù, al sorgere del sole, il primo giorno della settimana e si chiedono chi potrà aprirle la tomba (è l’unico Vangelo che fa porre questa domanda alle donne).
Passiamo al Vangelo di Matteo, la cui redazione finale è databile tra gli anni 70 e 80.
Mt 28, 1-2 : Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.
Qui ci sono due donne (le due Maria) e un angelo; per la seconda volta in Matteo c’è un terremoto (la prima volta con la morte di Gesù), che nella Bibbia indica sempre la manifestazione di Dio. In Marco le donne si chiedono: “chi ci apre?” e poi la trovano aperta.
Vangelo di Luca (redazione tra gli anni 80 e 90).
Lc 24, 1-3 : Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.
In Luca la scena cambia di nuovo: ci sono sempre gli aromi (ma non si dice per farne cosa) e le due Maria assieme ad altre donne menzionate in seguito (Lc 24,10 Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli.), che entrano nel sepolcro già aperto e vuoto.
Paolo invece non aveva parlato né di donne né di aromi. Neanche Matteo aveva parlato di aromi. In Luca non ci sono domande delle donne e terremoti, la tomba è già aperta.
Infine il più recente Vangelo, quello di Giovanni (90-100).
Gv 20,1 : Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro
(Qui c’è soltanto una Maria, che corre subito ad avvertire i discepoli). Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». (Gv 20,2). I due discepoli corrono al sepolcro, lo vedono vuoto e se ne tornano a casa.
Come si può notare, sono cinque teologie, cinque esperienze diverse, cinque comunità cristiane che ragionano sulla stessa fede, ma in modo diverso.
Questo non deve spaventare, anche se noi saremmo portati a credere che sarebbe meglio avere anche la stessa idea e invece dobbiamo ancora imparare che una cosa è avere la stessa fede e un’altra avere le stesse idee sulla fede.
La tomba vuota.
Mc 16,5-6 : Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: « Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto.
Questo giovane conosce i motivi che hanno condotto lì le donne, sa che cercano Gesù il crocifisso, quello cioè che aveva ricevuto una condanna ufficiale da parte delle autorità. Ma il giovane sa che essendo Gesù resuscitato non può essere lì.
Ecco che si sta facendo strada l’idea della tomba vuota, argomento non presente in Paolo che invece parla dell’essere risorto secondo le Scritture. Teologie e cristologie diverse.
Perché nasce l’idea della tomba vuota e all’interno di quale contesto nelle comunità delle origini? Ci sono tanti motivi a favore della tomba vuota quanti sono quelli contrari. Se le ossa sono in una bara, diciamo che lì c’è la persona? Noi sappiamo benissimo che nella bara c’è il cadavere, che conserva alcuni tratti esteriori con la persona, ma non la persona nella sua individualità/soggettività/ontologicità.
La stessa cosa vale per Gesù.
Però si poneva un problema antropologico. Per la cultura ebraica il corpo è un unicum, una totalità. Non si distingue tra dimensione materiale e dimensione spirituale: se nella tomba c’è il corpo, l’uomo è lì. Sarebbe andata in crisi la predicazione del Cristo risorto se la tomba avesse contenuto il cadavere di Gesù: come faceva ad essere risorto se il suo corpo era ancora lì?
Il messaggio (kerygma) della resurrezione proposto dalle comunità cristiane avrebbe trovato molti ostacoli, forse non sarebbe neanche partito.
Leggete il discorso apologetico di Pietro in Atti 2,14-41 sul parallelismo fra Gesù di Nazareth, morto e risuscitato, e Davide rimasto nel sepolcro.
L’idea di resurrezione nel mondo ebraico.
Per l’ebreo, con la morte non ci sarebbe stata la separazione tra corpo ed anima ma si finiva totalmente nello sheol. Solo a partire dalla metà del II secolo a.C. si fa strada l’idea di resurrezione.
Fino alla rivolta dei Maccabei, gli Ebrei credevano che i morti finissero nello sheol (per i greci Ade e i romani inferi), il luogo della morte da cui non si poteva uscire.
Il giudizio di Dio avveniva durante questa vita, su questa terra: coloro che vivevano secondo la Torah, venivano premiati con ricchezza-vita lunga-tanti figli; gli altri venivano puniti con sterilità-povertà-vita breve.
Questa logica però viene messa in crisi in modo sistematico dal libro di Giobbe. Ma ancor più, esistenzialmente, durante la rivolta dei Maccabei contro il dominio ellenistico, quando con la morte di parecchi giovani che non avevano fatto in tempo a sposarsi-fare figli-accumulare salta tutta l’impalcatura sul premio in questa vita.
Il premio quindi va posticipato a dopo la morte. All’epoca di Gesù era universalmente accettata l’idea della resurrezione dopo la morte ad esclusione del gruppo dei Sadducei.
In sintesi: per l’ebreo l’uomo è corpo, è anima, non un composto da realtà distinte. Quando muore, il destino è nello sheol, ma se è stato giusto e cioè osservante, potrà resuscitare nell’ultimo giorno, cioè alla fine del mondo. Quindi la resurrezione, all’epoca di Gesù, è prevista per la fine dei tempi (cfr. il dialogo fra Marta e Gesù in Gv. 11) e non per tutti, ma solo per i giusti.
Quando le comunità cristiane proclameranno nel mondo ebraico che Gesù è già risorto ora e non bisogna aspettare la fine dei tempi, lo scontro non sarà semplice perché non riguarda solo la teologia ma anche l’antropologia: diverso modo ci comprendere l’uomo e anche Dio.
Questo aspetto lo si vede bene nel Vangelo di Giovanni, perché nelle comunità giovannee vi sono ancora molti discepoli che ragionano alla maniera giudaica sul senso/significato della morte per cui l’evangelista fa un’enorme fatica a far comprendere questa novità e cioè che Lazzaro non è morto ma è in cammino verso il Padre.
Gv 11,20-24 : Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà ». Gesù le disse: « Tuo fratello risusciterà ». Gli rispose Marta: « So che risusciterà nell’ultimo giorno ».
Marta-Maria-Lazzaro rappresentano la comunità cristiana e ribadiscono l’idea della resurrezione nell’ultimo giorno. Nella comunità di Giovanni c’è chi ragiona ancora con le categorie teologiche del mondo ebraico.
Gesù è la resurrezione e la vita.
Gesù a Marta dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno.” (Gv 11,25-26).
Da notare che “Io sono” è il nome di Dio. E’ al presente. Sta dicendo a Marta: Io Sono l’ultimo giorno, Io Sono il giorno definitivo.
Gesù opera un cambiamento radicale: è qui, ora, da vivi che si resuscita e non dopo morti e alla fine dei tempi. L’ultimo giorno nel Vangelo di Giovanni è la croce di Gesù, la sua morte che coincide con la sua resurrezione: quello è il giorno definitivo (l’eskaton), la pasqua di Gesù di Nazareth.
Gesù dice a Marta: Lazzaro è già risorto, sei tu invece che lo credi morto. Marta e Maria (cioè la comunità cristiana) fanno fatica a capire queste cose. Ecco allora che Gesù le porta al sepolcro (una grotta contro cui era posta una pietra).
“Togliete la pietra!” (Gv 11,39) dice Gesù davanti alla tomba di Lazzaro: non dice “togliamo la pietra” o “pietra rotola via”, ma “voi dovete toglierla”; è la pietra che avete nella testa, è la vostra idea che con la morte finisce tutto, perché la vita non muore, non finisce mai.
Per il mondo ebraico il corpo che finisce nel sepolcro lì resta, si fatica a pensarlo vivo.
Ecco dunque il tema della tomba vuota: le comunità cristiane, quando entrano in polemica con il mondo ebraico e devono far fronte a questa obiezione, parlano di un sepolcro spalancato per un’azione dall’alto, per volontà di Dio, ma anche vuoto.
L’azione di liberazione dai lacci della morte appartiene a Dio.
Dio non è d’accordo con la sentenza del processo di Gesù e con le sue conseguenze: infatti tutti i testi antichi dicono che “Dio lo ha resuscitato dai morti”. Non è Gesù che si auto-resuscita, ma è l’azione attiva di Dio che lo resuscita: Dio cioè interviene nel giudizio di condanna, lo ribalta e libera Gesù dalle mani della morte annichilendone il potere.
“La pietra” che troviamo in Gv 20,1, è già comparsa precedentemente, qui in Gv 11,39. Stesso contenuto teologico: l’evangelista sta dicendo che la vita non muore mai, che la vita non può finire sotto terra. Teologicamente, anche se nel sepolcro ci fosse stato il corpo di Gesù, questo non avrebbe inficiato il messaggio della resurrezione. Sarebbe stata più problematica l’evangelizzazione, la catechesi.
Paolo, che è il primo a scrivere, non parla di tomba vuota; gli evangelisti, che scrivono più tardi, invece sì perché si pongono già un problema kerygmatico, di annuncio.
L’idea di resurrezione si scontra con altre culture.
Quando poi il messaggio evangelico entra nel mondo greco, ci si pone il problema della identità di Gesù.
Gv 21,13-14 : Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
Lc 24,37-43 : Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Qui c’è la preoccupazione dell’evangelista di creare una identità totale tra il Gesù che camminava per le strade di Palestina e il Risorto.
Per il mondo greco l’uomo è composto di corpo (mortale) e anima (immortale). La sopravvivenza è data dall’immortalità dell’anima (è possibile anche la reincarnazione). C’era quindi il rischio che il messaggio di Gesù risorto potesse essere frainteso come una delle tante manifestazioni di questa anima eterna. Ecco perché Gesù dice: “sono proprio io!”, non sono un fantasma, non è un altro diverso da me. L’obiettivo dell’evangelista è quindi l’identità di Gesù.
Il messaggio della resurrezione di Gesù è difficile per entrambi i mondi. Per quello ebraico, va fatto capire che Gesù è morto ma anche risorto (e quindi il tema della tomba vuota), per quello greco-ellenistico, occorre precisare che una cosa è la resurrezione e un’altra l’immortalità dell’anima.
1 Cor 15,16-17 : Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.
Il mondo culturale di Corinto infatti pensa che la sopravvivenza è data dall’immortalità dell’anima, non dalla resurrezione (che è resa inutile se c’è un’anima immortale): il messaggio evangelico in tale contesto diventa vano.
Nel brano dei discepoli di Emmaus, Gesù non viene riconosciuto dagli occhi dei due.
Nessuno riconosce Gesù perché lo vede: lo riconoscono o grazie alla sua Parola o a quei gesti avvenuti tra loro e il Maestro.
Lc 24,30-31 : Quando fu a tavola con loro, prese il pane disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.
La Parola di Gesù e il nostro substrato culturale.
Il Vangelo di Marco (il primo vangelo redatto) manca delle cristofanie: la parte finale (Mc 16,9-20) è stata aggiunta in seguito da più mani.
In realtà il Vangelo termina con il giovane seduto nel sepolcro che dice: «Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura. (Mc 16,7-8).
Che significa? Che lì nel sepolcro non c’è nulla e che bisogna fondare la propria vita alla luce della Parola di Gesù.
Quindi non ci si può fare una qualsiasi idea di quello che potrebbe essere accaduto nel sepolcro, perché tutto quello che è avvenuto va letto in base a quello che ha detto Gesù: per tre volte in Marco troviamo l’affermazione “Io andrò a Gerusalemme, sarò perseguitato, sarò ucciso, ma il terzo giorno risorgerò”.
L’esperienza della resurrezione non è il risultato dei nostri ragionamenti, ma di quello che Gesù ha già detto di sé: la sua vita spesa per amore non farà l’esperienza della morte. Quelle parole di Gesù danno la chiave interpretativa di quello che noi stiamo sperimentando.
Quando affrontiamo questo tema ci portiamo dentro tutto il nostro substrato culturale, per cui il primo lavoro da fare è confrontarci col messaggio evangelico, scrostando se necessario quello che ci portiamo dentro. Pensiamo alle scaglie sopra gli occhi di Paolo: egli fino ai 30 anni si era creato una forte visione delle cose e solo dopo 17/19 anni di ripensamento ha potuto togliere ciò che non andava e costruire il nuovo; un lavoro non facile da portare avanti.
Anche sulla resurrezione noi abbiamo una certa idea nella testa, l’abbiamo da tutto quello che abbiamo introiettato (catechesi-liturgia-canti-arte), però se ci mettiamo a confronto con i testi siamo costretti a ripensarla.
Anche nei funerali o al cimitero, dove usiamo indistintamente termini come anima, persona, corpo, dobbiamo sapere che quello è solo un retaggio del nostro substrato culturale che nei Vangeli non troviamo.
Ad essere pignoli, i Vangeli non descrivono la resurrezione. I Vangeli ci narrano di Gesù tolto dalla croce, deposto in un sepolcro e l’incontro con il Risorto. E’ chiaro che tra la sepoltura e l’incontro c’è di mezzo la resurrezione, però tutti gli evangelisti concordano sul fatto che sulla croce Gesù rese lo Spirito e nessuno afferma che Egli morì (quello che traduciamo con spirare non vuol dire esalare il respiro, ma rendere/donare lo Spirito). Dal punto di vista storico certamente Gesù è morto, ma l’evangelista sta facendo teologia e ci vuol far capire il senso degli avvenimenti: sulla croce Gesù non sta subendo la morte ma sta donando la vita, la forza di Dio.
Questo significa che quella non è morte, ma vita: ecco perché non parlano di resurrezione, ma di incontro con il Risorto: si tratta di una vita donata, non della vita di un morto.
I padri della Chiesa avevano bene intuito quando, di fronte al colpo di lancia (“ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.” Gv 19,34), avevano intravisto i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia, cioè la vita che comunicandosi genera altra vita.
Oggi buona parte dei credenti ragionano così: prima si muore e poi si risorge. Ma questo passaggio è nella nostra testa, in quanto figli della catechesi e della nostra conoscenza religiosa; ma non è questo che i testi evangelici ci vogliono dire: ecco l’importanza fondamentale dell’incontro con la Parola di Dio.
L’esperienza del Risorto nei Vangeli.
Nessuno è testimone di questa esperienza della resurrezione. Perché? Perché per fare questa esperienza non devi andare al sepolcro, ma guardare quella croce e capire cosa sta accadendo lì: lì avviene la resurrezione e non nel sepolcro. Ma lì chi c’è? Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti. (Lc 23,49). Sono costoro che fanno l’esperienza della resurrezione, non chi è andato al sepolcro. Questa visione ha bisogno di un cammino radicalmente diverso: nessuno sa niente di resurrezione, se non quello che c’è nel Vangelo.
Mt 28,3-7 : Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l’angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ ho detto».
L’angelo sta parlando alle donne e non alle guardie tramortite: è Dio che parla. E sta seduto sulla pietra, per indicare che essa ha perso la sua funzione: non rotolerà mai più davanti ad alcun sepolcro.
Con Gesù, è cessata l’idea che con la morte finisca tutto. Il vestito bianco come la neve ricorda la trasfigurazione. L’angelo sa perché le donne sono arrivate fino al sepolcro.
La resurrezione non potevano constatarla le donne, perché si fonda sulle stesse parole di Gesù: è Lui che la certifica e non gli altri che se ne possono fare un’idea, è grazie alle sue parole che vanno letti gli avvenimenti.
Anche qui si cerca di dimostrare che la tomba è vuota. Come in Marco, l’esperienza del Risorto va fatta in Galilea. Tutto questo viene detto dall’angelo che è metafora di Dio e come sottofondo c’è la sacra Scrittura.
Abbandonato il sepolcro, le donne provano la stessa grande gioia dei Magi quando avevano visto il bambino. Ecco che Gesù va loro incontro.
Anche le cristofanie cambiano da un Vangelo all’altro: diverse esperienze comportano diverse teologie.
Lc 24,4-11 : Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: « Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno ». Ed esse si ricordarono delle sue parole. E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un’allucinazione e non credettero ad esse.
Le donne, dopo aver visto come Gesù è stato messo nel sepolcro, se ne tornano a casa per osservare il sabato e solo dopo vanno al sepolcro. Arrivate, lo trovano aperto, entrano ma non c’è il corpo di Gesù. Ci sono invece due uomini in vesti sfolgoranti che le rimproverano perché stanno cercando tra i morti il Vivente. E’ come dire: avete sbagliato posto, state cercando tra i morti colui che non è mai morto.
Solo in Luca viene esplicitato ciò che Gesù aveva detto, ma all’evangelista serve per dare una motivazione al rimprovero: queste donne che avevano seguito Gesù (erano cioè discepole) avevano rispettato il sabato e preparato gli aromi (Lc 23,55-56) perché per loro Gesù era morto secondo la concezione religiosa del mondo ebraico.
I due stanno dicendo alle donne: attenzione, perché se conservate l’idea ebraica della vita e della morte, non farete mai l’esperienza di Gesù vivo.
Qui non c’è il giovane (come in Marco) o l’angelo (come in Matteo), ma due uomini. Come si vede, non siamo davanti a un resoconto storico, ma ad una interpretazione teologica. Le vesti sfolgoranti indicano anche qui l’irruzione del divino.
Gli Undici, che in Atti torneranno ad essere Dodici, non credono alle donne. Anche Pietro, dopo aver corso al sepolcro (da solo a differenza del testo giovanneo), non capirà nulla: non aveva fatto l’incontro con i due uomini, che avevano detto alle donne di ricordarsi delle parole di Gesù.
Il “Ricordatevi” è fondamentale, perché si riferisce alla Parola di Dio: troviamo lo stesso aspetto nei versetti seguenti, quando Gesù ricorda ai discepoli di Emmaus tutte le Scritture che si riferivano a Lui (Lc 24,27).
Questo tema di Luca lo troviamo anche in Giovanni. La Maddalena (Gv 20,11 : Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro), spostando lo sguardo dal sepolcro verso l’altra parte (Gv 20,14 : si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi), darà inizio a un cambiamento di visuale (Gv 20,16 : Essa allora voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: « Rabbunì! », che significa: mio Maestro!). Finché la Maddalena guardava nel sepolcro non poteva fare l’esperienza di Gesù vivo, finché lo pensava morto non lo poteva scoprire vivo nella sua vita.
In Matteo, c’è la scena dei soldati di guardia al sepolcro.
Mt 28, 11-15 : Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’ hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all’orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia». Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.
Con il denaro Giuda tradisce Gesù, con il denaro si cerca di negarne la resurrezione. Ma significa pure che la tomba è vuota.
La descrizione colorita e particolareggiata degli apocrifi.
I pittori, nel raffigurare la scena della risurrezione, prenderanno spunto non tanto dai quattro vangeli canonici quanto, invece, dagli apocrifi che forniscono più dettagli ed elementi fantasiosi. L’esempio più importante lo troviamo nel Vangelo apocrifo di Pietro che proviene con probabilità da comunità giudeo-cristiane in contrasto con il mondo religioso-teologico ebraico.
Lo lasciamo per la curiosità dei lettori.

[7] Gli Ebrei, gli anziani e i sacerdoti compresero allora il grande male fatto a se stessi e cominciarono a lamentarsi battendosi il petto e a dire: “Guai ai nostri peccati! Il giudizio e la fine di Gerusalemme sono ormai vicini”.
Io ed i miei amici eravamo nella tristezza e, con l’animo ferito, ci nascondevamo: eravamo, infatti, ricercati da loro come malfattori e come coloro che volevano incendiare il tempio.
A motivo di tutte queste cose, digiunavamo e sedevamo lamentandoci e piangendo notte e giorno, fino al sabato.

[8] Gli scribi, i farisei e gli anziani allorché si radunarono insieme e udirono che tutto il popolo mormorava e si lamentava battendosi il petto, dicendo: “Se alla sua morte sono avvenuti segni così grandi, vedete quanto egli era giusto!”; ebbero paura e andarono da Pilato supplicandolo e dicendo: “Dacci dei soldati affinché la sua tomba sia vigilata per tre giorni.
Che non capiti che vengano a rubarlo i suoi discepoli, il popolo creda ch’egli sia risorto dai morti e ci faccia del male”.
Pilato diede loro il centurione Petronio con dei soldati per vigilare la tomba; e con loro si recarono alla tomba gli anziani e gli scribi e tutti quanti erano là con il centurione; i soldati rotolarono una gran pietra, la posero sulla porta della tomba e vi impressero sette sigilli; quivi drizzarono poi una tenda e montarono la guardia.

[9] Di buon mattino, allo spuntare del sabato, da Gerusalemme e dai dintorni venne una folla per vedere la tomba sigillata.
Ma durante la notte nella quale spuntava il giorno del Signore, mentre i soldati montavano la guardia a turno, due a due, risuonò in cielo una gran voce, videro aprirsi i cieli e scendere di lassù uomini, in un grande splendore, e avvicinarsi alla tomba.
La pietra che era stata appoggiata alla porta rotolò via da sé e si pose a lato, si aprì il sepolcro e vi entrarono i due giovani.

[10] A questa vista quei soldati svegliarono il centurione e gli anziani, anch’essi, infatti, stavano di guardia; e mentre spiegavano loro quanto avevano visto, scorgono ancora tre uomini uscire dal sepolcro : i due reggevano l’altro ed erano seguiti da una croce; la testa dei due giungeva al cielo, mentre quella di colui che conducevano per mano sorpassava i cieli.
Udirono dai cieli una voce che diceva: “Hai tu predicato ai dormienti?”.
E dalla croce si udì la risposta: “Sì!”.

[11] Allora quelli deliberarono tra loro di andare a manifestare queste cose a Pilato.
E mentre ancora stavano ragionando, apparvero nuovamente i cieli aperti ed un uomo scese ed entrò nella tomba.
A questa vista, il centurione e quelli che erano con lui si affrettarono, nella notte, da Pilato, lasciando il sepolcro che avevano vigilato e, grandemente agitati, spiegarono tutto quanto avevano visto e dissero: “Veramente era figlio di Dio!”.
Pilato rispose: “Io sono puro dal sangue del figlio di Dio, siete voi che avete deciso così “.
Tutti poi si accostarono pregando e supplicandolo affinché ordinasse al centurione e ai soldati di non dire a nessuno le cose viste.
Dicevano: “Per noi, infatti, è meglio essere colpevoli davanti a Dio del più grande peccato, che non cadere nelle mani del popolo ebraico ed essere lapidati”.
Pilato dunque ordinò al centurione e ai soldati di non dire nulla.

[12] All’alba del giorno del Signore, Maria Maddalena, discepola del Signore, che per timore degli Ebrei poiché bruciavano d’ira, non avendo fatto alla tomba del Signore quanto solevano fare le donne per i morti da loro amati, [51] prese con sé le amiche e andò alla tomba dove era stato posto.
Esse temevano di essere viste dagli Ebrei, e dicevano: “Se nel giorno in cui fu crocifisso non abbiamo potuto piangere e lamentarci battendoci il petto, facciamolo ora almeno alla sua tomba.
Ma chi ci rotolerà la pietra posta sulla porta della tomba, affinché possiamo entrare, sederci attorno a lui e compiere il nostro debito?
Perché grande, infatti, era la pietra e temiamo che qualcuno ci veda.
Se non possiamo, deponiamo almeno sulla porta ciò che portiamo in sua memoria: piangeremo e ci lamenteremo percuotendoci il petto fino a quando ritorneremo a casa nostra”.

[13] Quando giunsero, trovarono il sepolcro aperto.
Avvicinatesi, si chinarono e videro un giovane seduto in mezzo al sepolcro: era bello e vestito di una risplendentissima stola; disse loro: ” Perché siete venute? Chi cercate? Quello, forse, che fu crocifisso
E’ risorto e se n’è andato. Se non ci credete, chinatevi e guardate il luogo dove giaceva: non c’è più!
E’ infatti risorto e se n’è andato là donde era stato mandato”.
Allora le donne fuggirono impaurite.

[14] Era l’ultimo giorno degli azzimi.
Molti se ne andavano via e ritornavano alle proprie case: la festa era finita.
Ma noi, i dodici apostoli del Signore, piangevamo e ci rattristavamo; ognuno, pieno di tristezza per quanto era avvenuto, se ne andò a casa.
Io invece, Simon Pietro, e mio fratello Andrea, prendemmo le nostre reti, ci recammo al mare. Con noi c’era Levi, figlio di Alfeo, che il Signore…